L’analisi sensoriale degli acini, le maturazioni e la chimica dell’uva per decidere quando vendemmiare

In questo wineblog mai sono state pubblicate futili previsioni sulle vendemmie o banali generalizzazioni sull’andamento climatico dell’una piuttosto che dell’altra annata, neanche nelle antitetiche e tanto pre-criticate 2014 e 2017 (sulle quali, a giochi fatti e a vini in commercio, in molti si sono ravveduti), ma da anni ripropongo con piacere uno degli aspetti più affascinanti e tecnicamente interessanti relativi alla raccolta: l’analisi sensoriale dell’uva.

acino uva assaggio vendemmia

L’Analisi sensoriale degli acini d’uva – Un metodo affidabile per decidere quando vendemmiare

Si tratta di un metodo tanto empirico quanto attendibile (sono molteplici gli studi che ne hanno confermato l’utilità, manifestando minime differenze in comparazione ai dati emersi da analisi di laboratorio) per definire l’epoca di vendemmia, ancora utilizzato da molti esperti vignaioli, nonché da agronomi ed enologi che hanno affinato questa tecnica.

L’analisi sensoriale dell’uva consiste nell’osservazione, nella manipolazione e nell’assaggio dell’acino in ogni sua componente e in particolare buccia, polpa e vinaccioli.

acino uva parti
sezione acino uva
Fonte: rivistadiagraria.org

L’importanza di tale metodo è tale da aver dato origine a veri e propri corsi di analisi sensoriale dell’uva, che generalmente consigliano la raccolta a campione di ca. una decina di acini (c’è chi ne consiglia solo 3, ma “melius abundare quam deficere”) da varie aree del vigneto e da diverse parti del grappolo, con ancora il pedicello attaccato, sui quali adottare la seguente prassi analitica:

scheda analisi sensorial uva
Scheda tecnica di analisi sensoriale dell’uva realizzata dall’Institut coopératif du vin di Montpellier – Fonte Agrinotizie.com

Scheda tecnica di analisi sensoriale dell’uva realizzata dall’Institut coopératif du vin di Montpellier – Fonte Agrinotizie.com

Valutazione tattile dell’acino: si analizza la facilità di distacco dell’acino dal pedicello e, successivamente, si comprime leggermente la bacca fra le dita esercitando sempre la stessa pressione e valutandone elasticità e durezza.

Valutazione cromatica dell’acino: si analizza visivamente il colore della buccia che, in base al vitigno, deve aver raggiunto la sua colorazione ottimale.

Valutazione organolettica dell’acino: il terzo passaggio e quello relativo all’assaggio dell’acino, che di effettua mettendolo fra lingua e palato, cercando di percepire il grado di facilità di distacco della polpa dalla buccia. A questo punto è possibile “recuperare” bucce e vinaccioli per esaminarli nel palmo della mano.
I vinaccioli devono distaccarsi bene dalla polpa e essere di colore marrone scuro per poterli considerare maturi. Se sono ancora verdi totalmente o in parte è bene non schiacciarli fra i denti. Se sono maturi, si può procedere con l’assaggio. Sono indicatori di cui tenere conto il grado di “croccantezza” e la loro capacità tannica in base all’astringenza (tendenzialmente più lignificati e meno astringenti sono più la maturità fenolica è vicina). Si può percepire anche la componente aromatica, tenendo conto del fatto che i sentori di torrefazione sono indice di maturità.
Per quanto concerne l’esame della solo buccia occorre masticarla al fine di comprenderne l’attitudine alla “triturazione”, valutandone l’eventuale rilascio di succo e il grado di tannicità e di sentori vegetali. E’ bene passare il prodotto della masticazione all’interno dell’intero cavo orale (palato, guance, gengive).
Altri parametri di cui tenere conto sono la secchezza della buccia e la sua capacità di sviluppare già degli aromi.

L’analisi sensoriale tramite l’assaggio delle uve è un surrogato “empirico” e tradizionale (comunque molto valido e codificato con metodologie e tabelle ufficiali, ad esempio in Francia) delle analisi di laboratorio che, comunque, molte cantine effettuano anche in addizione a tale metodologia, per avere maggiore sicurezza riguardo i parametri di maturazione.

Come accennato poc’anzi, questa metodologia è stata codificata da numerosi enti (noto l’ICV con sede centrale a Montpellier) ed è possibile effettuare dei percorsi di formazione a riguardo ma, altrettanto importante, si dimostra l’esperienza in campo. E’ solo con l’esperienza diretta in vigna, infatti, che si possono distinguere al meglio le peculiarità che ogni varietà (quel clone e/o biotipo, con quel determinato portainnesto e quelle specifiche pratiche agronomiche), in quel determinato contesto pedoclimatico, può manifestare in termini di equilibri maturativi. E’ proprio grazie ai vignaioli e ai tecnici che ho avuto modo di affiancare in pre-vendemmia che ho capito che alla prassi convenzionale si aggiunge, in molti casi, il modus operandi del singolo produttore che conosce al meglio il “comportamento” dei propri vigneti e le dinamiche meccaniche, fisiche e organolettiche delle relative uve.

L’analisi sensoriale tramite l’assaggio delle uve resta, ovviamente, un procedimento analitico non del tutto obiettivo, quindi non in grado di sostituire in toto le analisi di laboratorio. Per questo molte cantine effettuano, anche in addizione a tale metodologia, analisi chimiche per avere maggiore sicurezza riguardo i parametri di maturazione.

I delicati equilibri delle maturazioni dell’uva

Inutile dire che in questi ultimi anno, a causa dei cambiamenti climatici, si stanno manifestando scompensi fra le 4 principali maturazioni indotti da siccità, esposizione della pianta a temperature eccessive per prolungati periodi, il tutto “condito” con eventi atmosferici calamitosi come gelate tardive, episodi grandinigeni e bombe d’acqua. A tali “scompensi” si sta cercando di porre rimedio tramite una conduzione agronomica che tiene sempre più conto degli esiti del global warming, a partire dalle valutazioni relative ai nuovi impianti (in particolare porta innesto, densità e sistema di allevamento) per poi proseguire con la sperimentazione di tecniche come la cimatura post-invaiatura, la potatura post-germogliamento, la defogliazione tardiva e l’utilizzo di zeolite e caolino. Di questi aspetti ne ho già parlato in passato, ma pubblicherò nei prossimi mesi un approfondimento a riguardo, con l’intervento di importanti agronomi italiani e non solo.

Tornando alle 4 maturazioni dell’uva, per chi non avesse dimestichezza, eccovi un riepilogo utile a comprendere al meglio quanto sopra:

Maturazione fisiologica, tecnologica, fenolica e aromatica

La Maturazione Fisiologica

La maturazione fisiologica: in viticoltura si distinguono maturazione tecnologica e maturazione fisiologica, in quanto per quest’ultima si intende l’interruzione della connessione vascolare fra frutto e pianta e la piena maturità del seme (che sarebbe, ipoteticamente, in grado di germinare).

La Maturazione Tecnologica

La maturazione tecnologica: in termini analitici si va ad analizzare il rapporto fra zuccheri e acidità totale presenti nell’acino in un determinato momento. La maturazione tecnologica di un vitigno è determinata , quindi, attraverso l’individuazione di 3 valori ottimali: zuccheri; acidità; pH. Per procedere con l’analisi dello zucchero naturale contenuto nell’uva – prima dell’ammostamento – al fine di determinare il periodo ideale di vendemmia si possono utilizzare un rifrattometro (principio della rifrazione della luce) o un mostimetro (principio di Archimede), entrambi utili anche a prevedere il grado alcolico che si andrà ad ottenere dopo la fermentazione. Le unità di misura in questo caso variano da paese a paese (e devono essere misurate a determinate temperature e tener conto del tipo di vinificazione: in rosso, in bianco e con o senza raspi) e le più utilizzate sono: Klosterneuburger Mostwaage (KMW o grado Babo); Oechsle (Oe); Brix (Bx); Baumé (Bé).

grado babo zuccheri uva

Esiste anche una determinazione chimica degli zuccheri e il metodo più diffuso è quello volumetrico. Si procede determinando il volume di soluzione zuccherina necessario per la completa riduzione di un certo volume di reattivo (soluzione cupro-alcalina o reattivo di Fehling), impiegando come indicatore/reagente il blu dimetilene o metiltioninio cloruro.

Il PH e le acidità nel vino

Altro fattore fondamentale ai fini dello sviluppo del vino in cantina e successivamente in bottiglia è l’acidità o ancor meglio il PH. Innanzi tutto il vino ricade tra i composti acidi, in quanto ha mediamente un PH compreso tra 3 e 4. Per intenderci, più alta è l’acidità, più basso è il PH e viceversa.

Il PH, nello specifico, è un indicatore più attendibile dell’acidità “reale”, in quanto legato alla quantità di acidi liberi presenti. Mentre l’acidità totale tiene contempla nel suo valore anche gli acidi salificati con le basi.

PH DEL VINO ACIDITA'

Il PH è importante per diversi motivi:
Conservazione e potenziale evolutivo del vino (specie nei bianchi che sono poveri di sostanze antiossidanti presenti in quantità maggiore nei rossi – che hanno dalla loro anche un grado alcolico solitamente più alto – per quanto l’acidità sia importantissima anche nella stabilità a lungo termine di tutti i vini – escludendo altri conservanti come i solfiti ovviamente);
Selezione e attività microbiche durante la fermentazione alcolica (i lieviti lavorano meglio con un PH relativamente basso mentre con PH alto alcuni batteri come quelli acetici e lattici trovano condizioni più favorevoli di coltura) al fine di mantenere un andamento “pulito” della fermentazione stessa. Meglio che lieviti e batteri non compiano fermentazioni promiscue, cosa molto più complessa da gestire in maniera naturale in annate calde. Ecco perché per la produzione di vini rispettosi e in sottrazione (chimica) è fondamentale arrivare ad ottenere mosti con PH “bassi”. Una buona acidità totale rappresenta, quindi, un buon viatico per la pulizia e la longevità del vino e non solo un fattore legato alla percezione di “freschezza” organolettica del quale spesso si abusa in termini comunicativi.

Gli acidi presenti nell’uva e nel vino possono dividersi in:
acido tartarico: è distintivo de mosti e ha un gusto tendenzialmente amaro. Nel vino si può trovare in quantitativi che vanno dai 3 a 6 g/l principalmente in base a vitigno, zona di produzione, annata e suolo;
acido malico: presente in molti altri frutti ha un gusto simile alla mela acerba, quindi molto acido. La sua concentrazione varia da 1 a 5 g/l. Il suo sviluppo è inibito dal caldo. In quasi tutti i vini rossi il malico viene volutamente trasformato in lattico dai batteri lattici durante la fermentazione malolattica al fine di conferire al vino che si andrà a produrre una minor sensazione acida e una maggior “morbidezza”;
acido citrico: presente in molti agrumi ha un gusto simile a quello del limone non maturo. Nel mosto è presente bassissime concentrazioni (0,5 – 1 g/l).
acido acetico: prodotto soprattutto per l’attività dei batteri acetici dopo la fermentazione ed il suo quantitativo nei vini sani può variare tra 0,2 a 0,6 g/l, con casi particolari dove può raggiungere anche 1 g/l dando ai vini rossi con un lungo affinamento e un potenziale evolutivo importante maggior complessità e apertura.
Altri acidi contenuti nel vino sono quello lattico D e L, l’acido succinico, l’acido butirrico e l’acido propionico.
L’acidità totale sarà quindi quella prodotta dalla sommatoria di tutte le componenti acide mentre l’acidità volatile terrà conto della sola concentrazione (g/l) di acido acetico (e altri acidi allontanabili per ebollizione) e l’acidità fissa (tartarico, malico, succinico, lattico, citrico) sarà il risultato dell’acidità totale meno quella volatile. L’acidità, unitamente al PH e alle altre sostanze presenti nel vino contribuiranno alla sua stabilità e agli equilibri organolettici nel calice. Ecco perché è più corretto parlare di sensazioni taglienti o morbide, ampie o verticali, piuttosto che legare questi concetti direttamente all’acidità del vino.

Tra gli acidi non viene quasi mai citato, ma risulta sempre più importante l’acido oleanolico presente nella Pruina. Un elemento di cui tener conto, specie per le vinificazioni con fermentazioni spontanee con o senza pied de cuve. La Pruina è quella patina biancastra che sembra essersi depositata sui grappoli dall’esterno ma in realtà è prodotta dalle cellule epiteliali degli acini. Contiene cere e lieviti, nonché l’acido oleanolico che, oltre a essere un ottimo alleato contro i raggi UV, la disidratazione e i batteri nocivi (è un antisettico naturale), funge da nutrimento per i lieviti in fermentazione, insieme ad altri lipidi.
Tutti questi parametri possono essere monitorati al fine di agevolare vinificazioni ottimali in termini di stabilità, pulizia e qualità potenziale, sempre in base al vino che si vuole andare a produrre e in base alle dinamiche di produzione. Per quanto si possa credere che il vino considerato “artigianale” o comunque quello che io considero rispettoso e vinificato in sottrazione possa tener meno conto di tutti questi parametri analitici e per quanto qualche vignaiolo sostenga di poter fare a meno di effettuare analisi è, a parer mio, ancor più importante scegliere un’epoca di raccolta perfetta per poter portare avanti vinificazioni che possano limitare l’intervento dell’uomo all’aspetto meccanico e “tecnologico” (es.: controllo della temperatura) e escludendo quello chimico (acidificazione, zuccheraggio ecc…).

In base all’annata andrà valutato quanto lasciare l’uva in pianta con l’obiettivo di arrivare ad una maturazione zuccherina ottimale, senza far decadere vertiginosamente l’acidità, in base alle condizioni pedoclimatiche e alle caratteristiche varietali. E’ fondamentale, in questi termini, tener conto sin dal principio del vino che si vorrà andare a produrre. Ovviamente un vino più improntato sulla freschezza non potrà essere prodotto con un uva surmaturata in pianta, per quanto la perdita di liquido porterà ad avere una maggior concentrazione non solo degli zuccheri ma anche degli acidi.

maturazione fenolica

La Maturazione Fenolica

La maturazione fenolica: è fondamentale per le uve a bacca rossa e fa riferimento al potenziale di estrazione dei polifenoli e delle antocianine. Se generalmente gli antociani crescono di concentrazione e maturano dall’invaiatura in poi, raggiungendo il proprio picco, solitamente, in concomitanza con la maturazione tecnologica, è pur vero che le condizioni pedoclimatiche, l’altitudine e l’esposizione nel rispetto dell’andamento dell’annata possono dilatare il gap temporale fra le due maturazioni rendendo molto delicata la scelta dei produttori. Questo gap è accentuato dagli effetti del Global Warming e, dati alla mano, è sempre più difficile trovare (specie in alcuni areali e per alcuni vitigni) una corrispondenza fra maturazione tecnologica e fenolica. La valutazione dei tannini è ancor più delicata e andrà considerata sia per quanto riguarda quella del tannino da vinacciolo che per quella da buccia. I tannini dei vinaccioli tendono a decadere man mano che l’uva matura, mentre quelli presenti nelle bucce possono restare invariati o addirittura aumentare con la permanenza in pianta (condizioni climatiche e fitosanitarie permettendo) andando a compiere un primo “affinamento” delle sensazioni legate alle durezze prodotte da tali sostanze. Oltre all’analisi sensoriale, è possibile determinare la maturità fenolica chimicamente e il metodo di Glories è una delle analisi più attendibili, seppur richieda molto tempo, in quanto basata sull’estrazione degli antociani da un campione di mosto. Esistono anche altri metodi come il più rapido Metodo CASV della camera dell’agricoltura di Bordeaux, che prende gli antociani come indicatori della maturità fenolica o il più preciso e dettagliato Metodo S.A. Baron De Rothschild.

La lignificazione del raspo

A margine, per alcune tipologie di vino e di vinificazione è importante valutare anche la maturità dei raspi, in quanto utili alla macerazioni a grappolo intero. Interessante in tal senso, oltre alla soggettiva valutazione di tali vinificazioni (a me l’utilizzo del “raspo” come “strumento”, se ben dosato, piace molto) è la loro capacità di caratterizzare lo spettro aromatico, stabilizzare l’acidità del vino e di addurre longevità. I raspi, infatti, contengono potassio che alza il PH dei mosti e quindi abbassa l’acidità a fine fermentazione, ma i test fatti su più microvinificazioni dimostrano che nei vini prodotti con quantità di grappolo intero maggiore hanno una più alta acidità titolabile a fine affinamento. Riguardo alla longevità, oltre all’aumento generale di composti fenolici, si stanno studiando gli effetti degli stilbeni, potenti antiossidanti naturali contenuti negli organi legnosi della vite, tra cui i vinaccioli e gli stessi raspi lignificati. Sono proprio questi ultimi, secondo alcuni studi, a poter influenzare significativamente il contenuto in stilbeni del mosto e quindi una maggior longevità.

La Maturazione Aromatica

La maturazione aromatica: è vincolata allo sviluppo e alla concentrazione degli aromi varietali, soprattutto del gruppo dei terpeni. La concentrazione e l’espressività aromatica dell’uva aumenta gradualmente con la maturazione, ma tende a decadere con la surmaturazione, quindi è fondamentale scegliere un epoca di raccolta congeniale al mantenimento di uno spettro aromatico primario adatto al vino che di andrà a produrre. Va detto che gli aromi possono essere presenti nella polpa e altre, invece, sono legate agli zuccheri e ad altri precursori (presenti principalmente nella buccia) che ne mostreranno la reale espressività solo in vinificazione e, specialmente, a fermentazione ultimata. Eccezion fatta per le uve considerate “aromatiche” che possono avere una buona corrispondenza fra aromi dell’uva e quelli del mosto e poi del vino (almeno per quanto concerne lo spettro aromatico prettamente primario e varietale).

vendemmia 2022

Questo pezzo non è altro che il sunto di appunti presi nel corso di letture, studi e, soprattutto, delle esperienze fatte in campo e in cantina durante le ultime vendemmie e il fine non è esclusivamente “didattico”. Lungi da me dare lezioni di enologia e viticoltura a chi di certo ha una più strutturata formazione e una più importante esperienza di me, ma l’obiettivo della mia condivisione è quello di mostrare la complessità celata dietro a un gesto apparentemente semplice come quello di tagliare un grappolo durante la vendemmia; quanto l’ottenimento di un mosto che possa anche solo anelare a divenire un ottimo vino dipenda da molteplici fattori e variabili; quanto difficile e ricco di ansie e premure sia il lavoro che viene prima di quel gesto, di quel taglio, di quell’evento chiamato vendemmia. Analisi e valutazioni che rappresentano il culmine del lavoro di 12 mesi e, al contempo, l’inizio di un altro ciclo lavorativo (quello in cantina) che andrà ad affiancarsi all’avvio di una nuova annata in vigna. Scelte complicate e delicate che, per quanto fondamentali, danno solo una base più o meno ottimale dalla quale nascerà, crescerà e si evolverà ciò che a distanza di tempo ritroveremo in bottiglia e nei nostri calici, nella speranza che il risultato ottenuto in vigna venga rispettato il più possibile nelle sue peculiarità e nella sua identità.

Ecco perché, mi rammarica vedere persone, anche quest’anno, criticare un’intera annata ancor prima di averne valutato i risultati di areale in areale, di realtà in realtà, di vigneto in vigneto, di vino in vino. Credo che nonostante sia tutto analiticamente misurabile, la bellezza e l’unicità del vino risieda proprio nella sua imprevedibilità evolutiva e nel modo che queste mille variabili hanno di incastrarsi, intersecarsi ed interagire fra loro al fine di raggiungere un proprio equilibrio, una propria armonia che non necessariamente coincida con quella meramente matematica/chimica/fisica.


Perché i grandi vini ci insegnano che il “tutto” è sempre maggiore della somma delle parti.

F.S.R.

#WineIsSharing

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