Inizio questo 2023 con un tema tanto distante dal mio approccio al mondo del vino quanto interessante per andare a definire il potenziale di un ambito comunicativo al quale si pensa molto poco in campo enoico ma che può rappresentare un veicolo di contenuti tanto capaci di arrivare a un pubblico “generico” quanto in grado di approfondire temi cari anche agli addetti ai lavori. Parlo della TV e ad aiutarmi a comprendere alcune dinamiche di quello che è, ancora oggi, il mezzo più impattante per la comunicazione generalista sarà Isabella Perugini, nota autrice di programmi televisivi legati al racconto dei territori italiani e delle loro eccellenze.
Millesimo ottantaquattro, non un’ottima annata diciamolo (io lo so bene!), Isabella ha cominciato ad occuparsi di vino per “mestiere” sei anni fa, grazie al corso di sommelier che l’ha spinta ad appassionarsi alla storia dei nostri artigiani del vino. La “professione” di autore è cominciata proprio grazie al vino e oggi racconta la meraviglia del nostro patrimonio agricolo, storico, sociale e culturale in trasmissioni Rai di territorio.
Qual è il tuo rapporto con il vino?

Del vino mi affascina al di là del prodotto l’aspetto umano e di territorio che si racchiude dentro un bicchiere. Amo, ad esempio, perdermi nelle sfumature che un terroir di langa interpreta ad ogni collina. Carpirne le storie, il valore di ogni scelta. Nel vino comprendi fino in fondo quanto il rapporto tra uomo e natura possa creare magia quando si basa su un sentimento di rispetto. Mi piace incontrare i protagonisti, con loro di solito parlo raramente di tannini ed acidità, anzi forse quasi mai, ma parliamo di vino parlando di vita. Perché un artigiano è in fondo colui che ha in testa una visione, che si fa interprete di un racconto di terra, pioggia e sole. Del vino amo poi la capacità che questo settore ha dimostrato negli anni di guardare il futuro, ritengo sia uno dei comparti agricoli che più di tutti abbia puntato sul tema della sostenibilità con scelte concrete, dal campo, passando per la cantina fino ai materiali utilizzati per imbottigliare.
Sei autrice di programmi “cult” legati all’enogastronomia e alla sostenibilità, i due pilastri della mia vita. Che ruolo ha il vino in questi programmi?
Ho iniziato la mia professione di autrice proprio con un programma interamente dedicato al vino, si trattava de “I signori del vino”. Una bella intuizione di Marcello Masi e Rocco Tolfa che a distanza di decenni dalle magistrali incursioni televisive di Mario Soldati e Luigi Veronelli hanno riportato il racconto del vino in TV e lo hanno fatto improntando la narrazione sulle storie, i protagonisti e i territori del grande patrimonio vitivinicolo che abbiamo a disposizione. Nelle trasmissioni non prettamente legate al tema della viticoltura un occhio di riguardo c’è sempre perché sono convinta che il vino sia nel dna del nostro Paese. Ogni regione, ogni comune, ogni luogo hanno una storia di vino da raccontare ed è sempre un racconto capace di emozionare. C’è poi un tema importante alla base di quello che facciamo ed è la possibilità di diffondere nel nostro piccolo la cultura del vino, far comprendere alle persone quel forte legame tra la bevanda di Bacco e la sua comunità.

Il vino è storia e bellezza, ma anche fatica e incertezza; sono i territori e le genti che li abitano e vi lavorano; è tradizione e progresso. Quali sono le peculiarità del mondo del vino che vorresti raccontare ancor più profondamente e che ancora non sei riuscita a sviluppare attraverso il tuo lavoro di autrice?
Il vino è un atto umano e culturale, c’è nel fare artigiano un racconto di decenni di intuizioni, impegno. I tanti vitigni autoctoni sono poi i dialetti della nostra terra. Ecco mi piacerebbe dare voce a tutto ciò, raccontare le sfumature del nostro Paese. Riuscire a trasmettere l’emozione che mi da un tavolo di legno, un salame nobile del Giarolo tagliato sul momento, con la fetta che deve rimanere rigorosamente in piedi, un calice di Barbera e le discussioni fatte di vino. Mi piacerebbe raccontare gli uomini del vino italiano anche quelli che purtroppo ci hanno lasciato come Beppe Rinaldi.
Cosa pensi della comunicazione del vino odierna?
Credo ci sia un bellissimo racconto comune in corso che parte da Soldati, Veronelli, Brera e arriva fino ai giorni nostri. Un racconto che è fatto di storia, terroir e perché no di emozioni. La pandemia ha incentivato poi positivamente l’utilizzo dei social in chiave informativa da parte delle aziende.
Forse possiamo migliorare nei prossimi anni la nostra capacità di incidere su una comunicazione mondiale del vino. Per esempio le guide, che rappresentano uno strumento importante, rimangono il più delle volte confinate nel nostro Paese. In merito al mondo degli influencer, leggo dei bellissimi racconti e dei modi di comunicare innovativi che hanno avuto il pregio di avvicinare molti al mondo del vino. Noto, per fortuna solo in sporadici casi, il ricorso a manifestazioni visual che poco hanno a che fare con il vino, che invece, come spesso affermava Lino Maga, è una cosa seria.
Qual è l’esperienza enoica che ti ha emozionata di più fra quelle che hai avuto modo di vivere grazie al tuo lavoro?
Era il 2017 stavo partecipando ad una manifestazione di vino siciliano, eravamo a Taormina con vari produttori del Piemonte, c’era anche Beppe Rinaldi. Una mattina arrivai nella hall dell’albergo e Beppe mi disse “vorrei andare a fare un giro sull’Etna”, chiamai Salvo Foti, un’altra delle persone a cui devo molto in fatto di vino. Ci venne a prendere. Passammo alcune ore insieme ai piedi de ‘a muntagna, a parlare di vite, vulcano, sogni. Ascoltare Salvo e Beppe parlare fu un’emozione immensa, me la porto ancora con me. Spesso i racconti che mi hanno fatto persone come loro sono per me il metro con cui mi rapporto alla narrazione del vino, sempre in punta di piedi, sempre con un linguaggio che passa prima attraverso il senso del rispetto.

Quanto incide l’aspetto meramente emozionale del vino sul tuo lavoro?
È fondamentale. Le emozioni per me sono una parte imprescindibile della vita. Quando mi trovo davanti ad un foglio bianco di quello che sarà un copione metto in ordine le idee, ma soprattutto le emozioni. Ti faccio un esempio, qualche settimana fa dovevamo girare un racconto su Beppe Fenoglio e la malora. Non mi convinceva una location già vista, volevo qualcosa che rendesse fino in fondo il senso delle parole fenogliane. Era una domenica di alta langa, incontrando il sindaco di San Benedetto Belbo ho iniziato a fargli domande sui luoghi, le vie, le abitazioni, e quando ci siamo imbattuti in quella che doveva essere la casa dei Braida narrata dal partigiano con la penna, ho provato un’emozione forte. Ho capito in un istante che quello sarebbe stato il set del racconto. Il resto è venuto da sé ed è stato uno dei set più belli da quando scrivo.
Pensi ci sarà spazio per altri programmi interamente dedicati al vino in tv? Se sì, stai lavorando a qualcosa in tal senso?
Spesso le persone che incontro mi dicono “ma perché il vino non può avere lo stesso successo del cibo in televisione?” me lo sono spesso chiesto anche io, e penso di aver trovato la risposta nel fatto che due sono i limiti che presenta una bottiglia di vino rispetto ad un piatto di pasta al pomodoro ed entrambi hanno a che fare con la capacità di coinvolgere. Il primo riguarda il fatto che quando dico “piatto di pasta al pomodoro” a quasi la totalità di noi si manifesta la madelaine proustiana, tutti ne conosciamo il sapore ed ognuno di noi ne ricorda le sfumature che lo legano alla sua famiglia. Non dimentichiamoci inoltre, che ogni piatto di pasta al pomodoro ha la fortuna di essere riproducibile da parte del telespettatore. Basta una ricetta, degli ingredienti e il gioco è fatto! Il vino, invece, è un’altra storia! Quindi la questione principale è non paragonare il vino al cibo, ma coglierlo per il suo valore culturale, sociale e storico. E su questo ci stiamo lavorando… spero di darti presto notizie a riguardo.

Ringrazio Isabella per la disponibilità nel condividere esperienze, emozioni e progetti che hanno il vino al centro e che possono portare il vino nelle case di chi è già appassionato e di chi deve ancora scoprire di poterlo essere. La speranza, da par mio, è di poter incontrare sempre più spesso programmi capaci di trattare il vino e del vino in maniera rispettosa, approfondita e dinamica per fare cultura enoica da un lato e per educare al buon bere le nuove generazioni, che vengono bombardate da un tipo di comunicazione, spesso, superficiale e fuorviante.
F.S.R.
#WineIsSharing
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.