Ho sempre sostenuto di essere enoicamente laico e continuo a voler credere di poter mitigare l’effetto dei condizionamenti emozionali, umani, sulle mie considerazioni nei riguardi di territori, cantine, vini e vignaioli/e. Eppure, a latere di tale convinzione, non posso che ribadire quanto lo stimolo a voler continuare a fare ciò che faccio, come lo faccio risieda principalmente nella meraviglia, nello stupore e nella capacità di quegli stessi territori, quelle stesse cantine, quegli stessi vini e, soprattutto, quelle stesse persone di sorprendermi. Essere sorpresi, però, si fa cosa sempre più rara quando si viaggia, si assaggia e ci si confronta da tempo e si tratta di temi che, per quanto variegati e aggiornabili, girano sempre attorno allo stesso soggetto: il vino. Ecco perché non è stato arrivando a Lamole la prima volta che quell’incanto mi stupì davvero. Fu la seconda e ancor più la terza, senza parlar della quarta e della quinta, che mi meravigliò a tal punto da tramutare quella che sembrava una mera infatuazione nell’amore più sincero, ovvero quello che ha una base razionale che supporta e sostiene l’irrazionale emozione provata di fronte a quegli alberelli, a quegli scorci, a quei vini leggiadri eppure energici, che non mancavan di nulla. A quegli individui, così dediti alla vigna e alla custodia di uno dei beni più preziosi che si possano avere nel vino e nella vita: l’identità.
Nell’ottica della recente zonazione del Chianti Classico e della definizione delle 11 UGA (unità geografiche aggiuntive) quella di Lamole è in assoluto la più piccola e la sua dimensione contenuta permette di identificare dei comuni denominatori fondamentali per comprendere quali siano le peculiarità pedoclimatiche generali e i loro effetti sulla matrice organolettica dei vini, al netto delle singolarità microzonali e della stilistica della specifica realtà produttiva.

Nella foto sopra un’utile mappa, seppur stilizzata, di quelle che sono le ideali “sottozone” dell’areale lamolese come Casole, Castello di Lamole, Lamole, Le Masse, Case Poggio, La Villa e Le Volpaie, in cui si vanno a innestare, inoltre, alcuni “cru” quali Grospoli, Le Stinche, Campolungo, Poggio all’Olmo ecc…
I vigneti, storicamente adagiati su terrazzamenti rubati ai ripidi pendii dell’alta collina, si distribuiscono su un unico versante esposto in prevalenza a est, con un’altitudine media che si attesta tra i 400 e i 500m slm, con picchi vicini ai 700m slm. A distinguerla ulteriormente dal resto della valle della Greve, a cui di fatto appartiene, è anche l’integrità del contesto paesaggistico-naturale e la sana alternanza fra boschi (qui presenti in abbondanza tanto da dover cercare i vigneti fra i loro abbracci), oliveti e pascoli, con le coltivazioni di Giaggiolo a colorarne il maggio e a ricordarne la particolarità climatica.
Un mesoclima fresco che unitamente al microclima delle terrazze in cui matrice pedologica, alberelli lamolesi (laddove persistano) e muretti a secco rappresentano un caso di studio in quanto capaci di condizionare escursioni termiche e fasi fenologiche della vite in maniera importante e percettibile. I terreni di Lamole possono contare maggiormente sulla formazione del Macigno, un’arenaria non calcarea caratterizzata da elevate percentuali di sabbia, non mancano inserzioni evidenti di Galestro (Es.: nella zona più alta de “Le Masse”), a differenza della maggior presenza di galestro e alberese a Radda e della pietraforte a Panzano.

Un piccolo ritaglio di terra, da guadagnare sia per chi lo ha reso coltivabile e lo preserva tutt’ora utile alla viticoltura che per chi vuole raggiungerlo per godere delle sua unicità, proprio come sottolineava Emanuele Repetti (1833) sostenendo che Lamole si potesse raggiungere soltanto a piedi ma anche che “le viti piantate fra i sassi di cotesto poggio danno il buon vino di Lamole contano lodato”.
Eppure, ciò che rende, a mio parere, Lamole una delle terre da vino più interessanti al mondo e il vero Grand Cru del Chianti Classico sono due fattori fondamentali nella mia ricerca enoica odierna:
- La contemporaneità dei vini: interpretazioni di Sangiovese (e dei suoi gregari, specie se parliamo di “vecchie vigne”) capaci di preservare caratteristiche e dotazioni analitiche di serie messe a dura prova dagli esiti dei cambiamenti climatici in altre zone, come la finezza, l’agilità e la possibilità di portare nel calice uno sviluppo aromatico in cui il fiore e la speziatura naturale (per me marcatori imprescindibili dell’eleganza) non siano mai occlusi e surclassati dal frutto e/o dall’opulenza.
- La futuribilità della viticoltura: nonostante le criticità di una gestione onerosa e della spezzettata parcellizzazione dei vigneti, la viticoltura lamolese si sta dimostrando in grado di mantenere delle costanti difficilissime da mantenere in altri areali, con cicli vegetativi lunghi e maturazioni lente e costanti, senza particolari stress della pianta e una capacità di resilienza, in particolare degli alberelli, di gran lunga superiore a quella del resto della denominazione. La speranza è che il ricambio generazionale, la nascita di nuove piccole e virtuose realtà, nonché l’arrivo di produttori e investitori da altre zone possano dimostrare quanto Lamole possa permettersi di restare sé stessa, con una minima ma fondamentale sensibilità nell’adattare la propria forma mentis al cambiamento climatico ma senza mai snaturare la propria essenza che fa della classicità della sua spontanea eleganza un valore che non potrà mai passerà mai di moda.
Nel mio ultimo focus sulla zona, finalizzato alla preparazione di un importante seminario sul tema della “contemporaneità dei vini di Lamole nell’era dei cambiamenti climatici”, ho avuto modo di approfondire la conoscenza del territorio visitando, una per una, tutte le realtà dell’associazione di viticoltori locali “I profumi di Lamole”.
Podere Castellinuzza






La prima tappa è stata Podere Castellinuzza, piccola realtà di 3.5ha di vigneto, a conduzione rigorosamente famigliare, situata nell’omonima zona. Sono Paolo Coccia (70 vendemmie alle spalle e sulle spalle) e sua figlia Serena Coccia a portare avanti un’attività che affonda le radici nella storia di questo territorio, proprio come fanno gli alberelli ultracentenari di Vigna Marroni. L’altitudine (tra 500 e 600m ca.) e la sensibilità interpretativa fanno il resto (principalmente cemento e una botte grande per la sola Gran Selezione). Un’azienda in cui afferenza territoriale e cifra stilistica si sovrappongono in maniera perfettamente congruente.
Vini dalla forte e percettibile identità che fanno della finezza e dell’agilità i loro, indubbi, punti di forza. Tra tutti spicca proprio il Chianti Classico Gran Selezione 2019, tanto educata ed elegante quanto energica e profondamente saporita.
I Fabbri

La seconda tappa, a me molto cara, è la prima azienda di Lamole della quale ho avuto modo di scrivere in passato. Una realtà che ha sempre anteposto il territorio alla varietà e che è stata capace di attraversare il tempo con una coerenza in divenire, con una nitidezza espositiva sempre maggiore e una definizione tannica che solo Lamole sa raggiungere anche nei vini più “giovani”.
I vini de “i Fabbri” restano un rifermento quando penso alla riconducibilità e alla personalità dei vini del Chianti Classico. Per questo vi suggerisco, anche in questo caso, il Chianti Classico Gran Selezione 2019, capace di coniugare maturità di frutto e finezza floreale, forza e slancio, definizione tannica ed persistente ematicità in maniera decisamente elegante.
Lamole di Lamole





La terza tappa del mio tour lamolese è rappresentata dall’azienda che dispone della maggior estensione di vigneto sul territorio (ca. 40). È proprio per questo che contemplare questa realtà nel mio focus territoriale e valutarne le evoluzioni in vigna e in cantina è stato fondamentale per me. Credo che sia evidente quanto Lamole non solo inviti ma, in un certo qual modo, costringa a una rappresentazione liquida rispettosa della vocazione del soggetto territoriale. Eppure, non è affatto scontato che un’azienda di un imponente gruppo vitivinicolo – che non può esimersi dal tener fortemente conto di mire commerciali solitamente incidenti – porti nel calice vini di tale riconducibilità territoriale e coerenza stilistica. L’azienda della famiglia Marzotto, inoltre, è impegnata nella sperimentazione che parte dal vigneto con l’utilizzo di ben 14 cloni. Ricerca che va di pari passo con il rispetto per il territorio, custodito e rigenerato attraverso una conduzione agronomica biologica con particolare attenzione verso le sfide future imposte dai cambiamenti climatici.
È davvero importante che Lamole di Lamole lavori a questi livelli, per agevolare la conoscenza sempre maggiore di Lamole (i 10mila enoturisti annui che passano dalla grande sala degustazione la dicono lunga su quanto questa cantina faccia per comunicare il territorio) e dei suoi vini in loco, in Italia e nel mondo. Tra i vini degustati, ho scelto per la mia masterclass l’anteprima della Gran Selezione “Campolungo” prodotta da vigneti 420 – 576 mt s.l.m nell’omonima zona, con una vinificazione classica per il Sangiovese. Frutto integro, fiore e spezia che si integrano ad esso con fare garbato e intrigante, sorso materico e tannini fitti e saporiti.
Castellinuzza di Cinuzzi




Prosegue il mio tour delle vigne e delle cantine di Lamole con l’azienda Castellinuzza della famiglia Cinuzzi che, dal 1400, è proprietaria di questa piccola realtà lamolese inscritta nel registro delle aziende storiche d’Italia. Poco più di due ettari per una produzione tanto di nicchia quanto sfaccettata che può contare sulle peculiarità di diversi vigneti quali il “solatio ” e il “bacìo”. Vigne ormai mature (che vanno verso il mezzo secolo) in cui il Sangiovese accoglie fra le sue schiere qualche sporadica pianta di Canaiolo e Malvasia Nera, a testimonianza di un’identità territoriale e di vigna che va oltre la concezione più “moderna” della purezza come apice espressivo. Reputo i vini di Castellinuzza ben definiti e aderenti all’identità zonale, a loro modo orientati a un’eleganza “classica” proprio grazie al contributo del piccolo saldo di uve tipiche capaci di connotare naso e sorso in maniera determinante, oggi più di ieri. Vocazione e consapevolezza tecnica, a discapito dell’interventismo additivo di cantina, fanno il resto.
Raffinati i Chianti Classico con una 2019, anche in questo caso, sugli scudi coerenza, bilanciamento, finezza tannica e persistenza.
Jurij Fiore & Figlia



Lo “straniero” Jurij Fiore (figlio del noto enologo Vittorio Fiore) che, dalla collina di Ruffoli – tanto vicina quanto diversa – in punta di piedi è arrivato a Lamole con l’intento di ripristinare vecchi vigneti e di mostrare tutte le sfaccettature vocazionali di queste terre, dando vita a un progetto di vigna, di vino e di vita che, assieme a sua figlia Sara, porta avanti con grande dedizione e rispetto. Valori che lo hanno portato a integrarsi a pieno con la piccola ma protettiva comunità lamolese che custodisce da tempo immemore questo vero e proprio tesoro di vocazione e identità.
Vere e proprie micro-vinificazioni condotte allo stesso modo per ogni parcella, in quanto atte a carpire e traslare in forma liquida le singolarità di vigneti.
Un lavoro fondamentale quello che sta portando avanti Jurij, che memore dei suoi studi e delle sue esperienze in Borgogna, si sta dimostrando capace di alzare l’asticella sia in termini di interpretative che di posizionamento. Difficile scegliere tra le sue referenze spicca, questa volta, il Puntodivista, prodotto da una piccola parcella mista di 50 anni, nella nota zona Grospoli, a ca. 600m slm. Vino di grande armonia olfattiva in cui frutto, fiore e spezia naturale ben si integrano con le lievi note boisé e la balsamicità in divenire. Sorso equilibrato, dall’incedere fiero e sicuro, agile e disinvolto. Tannini cesellati e finale tra ferro e sale.
Castellinuzza e Piuca




Un’altra interessante tappa quella fatta dalla famiglia Coccia. Meno di tre ettari per una delle tre realtà frutto della divisione dell”85 dell’azienda originale della famiglia. Delle tre “Castellinuzza” questa azienda ha una particolarità che si evince già dal nome, ovvero la disponibilità di alcuni vigneti in località Piuca. Anche in questo caso si può contare su una parte dei vigneti ancora terrazzati e ad alberello, con un’età media di 50 anni. Quella di Giuliano Coccia (decano della viticoltura lamolese) e dei suoi figli è un’azienda agricola classica, in cui si alternano le colture della vite, dell’ulivo e l’allevamento di bestiame. Un sano esempio di circolarità in cui anche il piccolo agriturismo con ristoro funge da tassello importante per la sostenibilità aziendale. I vini sono frutto di un approccio rispettoso dell’espressività più spontanea di queste zone, a partire dall’IGT “Il Vegliardo” che nasce dal mio amato uvaggio “classico” di vigna, che include il Sangiovese e i suoi gregari, nonché un saldo più o meno importante di uve bianche tipiche locali. A colpirmi particolarmente non è tanto l’evoluzione dei vini in termini di longevità (comunque da approfondire), bensì quella della consapevolezza di una piccola cantina che con tanto cemento e poco legno sa declinare i propri vigneti in maniera sempre più nitida e diretta. La crescita degli ultimi anni è palese ed è da ritrovarsi nel sempre più raro (ma a Lamole, è fortunatamente di casa) connubio fra armonia dei profumi ed equilibri fra struttura e acidità, e tra finezza tannica e profondità di sapore. Ottima la Gran Selezione “Vigna Piuca” 2019 esempio di equilibrio fra materia e slancio, eleganza e persistenza ematica.
Il Campino di Lamole

Se c’è una cosa che mi emoziona ancora e mi spinge a non sentirmi mai sazio o, per meglio dire, mai dissetato nella mia ricerca enoica è l’incontro con nuove realtà, magari alla prima uscita in bottiglia. È proprio quello che è accaduto con Mattia Coccia, “nuovo” giovane vignaiolo a Lamole che, nel 2016, ha deciso di riprendere in mano i vigneti di famiglia emancipandoli dal conferimento delle uve, e diventando e diventando così produttore in prima persona. 3ha di vigneto, tra Poggio all’Olmo e Lamole, in parte ad alberello di oltre 80 anni.
Una scommessa quella del giovane Mattia che, dopo aver lavorato in un’altra grande realtà della zona, ha deciso di investire tutto nella sua piccola realtà che, a giudicare dalla sensibilità dimostrata nell’interpretare quest’anteprima, promette grandi cose!
Nasce così, nel 2019, il primo vino dell’azienda Il Campino di Lamole il Chianti Classico “Testardo”. Un’espressione autentica (solo cemento), nitida e centrata della Lamole che fu, che è e che sarà. Una giovane realtà condotta da un altrettanto giovane vignaiolo che fa ben sperare per il futuro di Lamole nell’ottica di un ricambio generazionale rispettoso di ciò che è stato, consapevole ci ciò che c’è e proiettato con umiltà, dedizione e competenza a ciò che sarà.
Le Masse









Se dovessi riassumere Lamole in con un’immagine probabilmente le prime a sovvenire alla mia mente sarebbero quelle dei vigneti dell’azienda agricola Le Masse. Alte (fino a ben oltre i 600m), straordinariamente integre, ricordo vivido e vivo di una viticoltura arcaica che si fa contemporanea per attitudine alla qualità, all’equilibrio e alla mitigazione degli esiti dei cambiamenti climatici.
Una manciata di ettari, per una produzione risicata ma enoicamente didascalica di ciò che questo territorio ha saputo, sa e può essere, ovvero fine, armonico ed elegante senza forzatura alcuna.
Annamaria definisce più volte i suoi vini “semplici” io li definirei classici, piuttosto! In cantina acciaio, castagno e una botte di rovere per la Riserva.
Le Masse sono il cuore attivo e radicato di questo piccolo borgo, con la loro cantina diffusa e i loro vigneti inerpicati sulla collina “sabbiosa” con evidente presenza di galestro.
Un approccio che trascende il tempo, uno stile che immutevole ma, al contempo, capace di evidenziare le diversità di ogni annata, di questa zona e delle singole referenze in maniera chiara, nitida e immediata.
Il Chianti Classico 2019 è la liquefazione del concetto di vino fortemente identitario e, perciò, tutto fuorché banale, capace di grande agilità di beva senza lesinare concretezza, profondità e sapore.
Fattoria di Lamole di Paolo Socci







Lamole è un pezzo importante di storia del Chianti Classico e, di certo, la famiglia Socci è parte integrante di questa straordinaria storia di vino, di vigna e di vita. Una famiglia che affonda le proprie radici in queste terre e nel tempo e che vede in Paolo Socci il custode di un’eredità culturale e colturale fondamentale per questa piccola grande enclave vitivinicola in cui, anche grazie alla Fattoria di Lamole di Paolo Socci, sono stati preservati e ripristinati gli antichi terrazzamenti sassosi, i tipici alberelli e parte degli ecotipi di Sangiovese adattatisi alla pedologia di queste terre e al loro particolare mesoclima. A testimonianza della volontà di tutelare questa ricchezza c’è la storia di Livio, fattore al quale Paolo ha dedicato uno dei suoi vini più importanti, artefice della propagazione di materiale genetico locale rigorosamente a piede franco, perché come soleva dire le viti con piede americano “l’hanno du’ sangui”.
Parlare con Paolo equivale ad attingere alla memoria storica di questi luoghi e farlo mentre si hanno nei calici i suoi vini rende tutto ancor più intenso e comprensibile. Vini pregni dell’identità di Lamole in cui pazienza e sapere, rispetto e consapevolezza si fondono al fine di tradurre tempo, conoscenza e territorio in forma liquida. Il Vigna Grospoli 2016, inno alla pazienza e alla contezza delle prerogative dei propri vigneti e delle proprie uve, è un esempio di quanto i vini di Lamole possano anelare a un’evoluzione positiva, in grado di preservare aderenza territoriale attraverso i propri distintivi marcatori quali la freschezza, l’agilità e l’eleganza, specie in annate così “classiche”.
Lamole, ideale “Grand Cru” del Chianti Classico

In conclusione, l’enclave di Lamole è, oggi, uno dei territori del vino italiano con l’identità più marcata e riconoscibile, seppur mai ostentata. Un’area che ha tutte le carte in regola per anelare a risultati ancor più importanti in termini di eleganza e posizionamento, restando fedele a sé stessa e garantendo una futuribilità della viticoltura che va di pari passo con le esigenze agronomiche, enologiche e di gusto in divenire. I nuovi investimenti dall'”esterno” e, ancor più, la rinnovata consapevolezza degli stoici produttori locali rappresentano l’humus di una seconda giovinezza di questo territorio, in un contesto in cui dimensioni, singolarità pedoclimatiche zonali e parcellari e sensibilità nei confronti del rispetto dalla vigna al bicchiere permettono a Lamole di stagliarsi con orgoglio ma senza superbia all’orizzonte del vino del futuro. Sì, perché di Lamole si può e si deve riconoscere il passato e apprezzare il presente ma anche e soprattutto cogliere le opportunità future, perché saranno quelle che permetteranno a questo manipolo di virtuosi vignaioli e produttori di ritagliarsi un ruolo di prim’ordine nel panorama dei grandi vini italiani e del mondo, con finezza, slancio e spontanea eleganza.
F.S.R.
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