fasti di un maestoso passato, ma lo smog appanna un po’ i sensi, basta andare ad una 50ina di Km più a
nord della Città Eterna per poter respirare un’aria pura, intrisa
della storia più antica immersi in uno scenario mozzafiato.
acropoli etrusca mai rinvenuta, ma io non sono né uno storico né un
archeologo, quindi vi starete chiedendo il perché di un tale
preambolo da guida turistica, beh… parafrasando un detto che ha proprio Roma come protagonista, non
disperate, “tutte le strade portano al Vino”!
E’ proprio in prossimità di un luogo
così ricco di storia e di fascino che si trova una delle più
importanti aziende del Lazio in termini di qualità, azienda che non
poteva portare altro nome di quello della stessa acropoli: San Giovenale.
nei confronti di questo maestoso territorio incastonato in cima alla
valle del Mignone, un piccolo fiume che scorre tra i monti Sabatini e
i Monti Cimini 50 km a nord di Roma, mi spiega Emanuele Pangrazi, ma
per la nascita della Cantina e la prima annata dobbiamo attendere il
2010.
incuriosì talmente tanto per ciò che leggevo e sentivo riguardo il
loro Habemus, da aver fatto svariati Km per partecipare ad un evento
dedicato ai Vini Vulcanici che si teneva ad Orvieto, nel quale sapevo
che l’avrei trovato in degustazione.
un semplice blend enologico… trovai uva sana, matura, terra viva,
naturalmente attiva, rispetto, tanta pulizia, ma voli pindarici a parte, assaggiai “semplicemente” un grande Vino! Ammetto che prima del mio
incontro con l’Habemus la curiosità fosse molta, ma dopo il primo assaggio scattò la molla e dovevo
assolutamente approfondire la conoscenza di quella realtà in modo più diretto. E’ stato allora
che compresi il perché di quella sana complessità e di quella
naturale godibilità, nonostante l’imponenza e la prospettiva di
quell’assaggio. Parliamo di un’azienda che segue e persegue un
approccio non interventista che ha come cardini della propria
filosofia di lavoro i seguenti punti:
- conduzione dei vigneti ad
alberello senza lavorazioni invasive con elevata fittezza, ma solo
con singolo tutore di castagno, senza palificazione e fili di ferro (un vero spettacolo!); - vengono utilizzati solamente
prodotti vegetali per la difesa dalle malattie; - basse rese per ettaro grazie alla
produzione di 2 grappoli per pianta; - Il tutto corredato da certificazione
biologica.
E’ palese quanto Emanuele ed il resto
dell’azienda nutrano un rapporto empatico con questo territorio e con
le proprie vigne, che rappresentano un immane sforzo, ma sempre più
grandi soddisfazioni, grazie all’intuito ed alla sensibilità che
hanno permesso di vincere questa vera e propria scommessa ai
produttori.
Un’azienda che sente forte
l’attaccamento alla Capitale, che non rappresenta soltanto un punto
di riferimento a livello umano, bensì il principale mercato, che i
produttori stessi, non negano, vorrebbero arrivasse a coprire in
termini di domanda l’intera produzione, tanto forte è l’orgoglio nel
vedere il proprio Vino legato a doppio filo a Roma.
Io stesso mi sbilanciai come non faccio
mai, sostenendo che l’Habemus rappresenti l’apice della produzione
rossista del Lazio, ma guardandomi, o meglio, leggendomi intorno
oggi, mi rendo conto di non aver detto nulla di così strano, se non
l’aver condiviso un’impressione che sapeva molto di evidenza.
Non potevo, però, limitarmi ad una
sola annata, quindi mi sono mosso per poter condividere con voi due
tappe della storia di San Giovenale e dell’Habemus:
armonia “sconquassante”, i tre vitigni (Grenache, Syrah,
Carignan) si sostengono, controbilanciano, coadiuvano ed incitano
vicendevolmente; il naso esprime il meglio della grenache ed ammicca
alla Syrah con una nota pepata di rara eleganza ed intriganza. La
struttura è quella di un grande Vino, t’aspetti degli eccessi
alcolici, invece null’altro che armonia. Equilibrio a 360°, anche
adesso che nel calice ho solo le prime pagine di un racconto che si
prospetta lungo e pieno di evoluzioni, colpi di scena, con tanto di
gran finale. Persiste lungamente nella sensazione nitida di aver
appena deglutito un unicum, frutto del perfetto connubio uomo-Natura,
know how e rispetto.
Un Vino inerziale, capace di un crescendo di emozioni che appaga il palato, ma mai l’anima, che sembra continuare a nutrirsi della sua essenza che, imperterrita, continua ad esprimersi nonostante l’ultimo sorso sia, ormai, acqua passata… o meglio, vino passato!
serena, paziente che ti sorride col ghigno di chi sa… di chi sa che
scherzetto ha in serbo da qui a qualche anno. La cosa assurda è che
questi Vini non sembrano affinati in legno piccolo e, per di più,
nuovo… sembrano avere il meglio delle essenze dei fusti insite nel
varietale stesso, tanta è la fusione armonica e romantica che il mio
umile naso percepisce. Sono emozionato e tanto… perché ho
assaggiato un mostro di bontà ed un desiderio che diverrà realtà.
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