9 vitigni autoctoni italiani sconosciuti ai più

Alcuni Vitigni autoctoni italiani sconosciuti: Ribona, Garofanata, Burson,
Centesimino, Ruché, Nascetta, Biancolella, Cococciola e Foglia Tonda.

Se c’è una certezza riguardo le peculiarità dell’Italia enoica questa è, senza ombra di dubbio, la ricchezza di vitigni autoctoni che ci pone in una posizione di primato assoluto, inarrivabile. C’è, però, una ricchezza ancor più grande, che è una sorta di sottoinsieme dell’insieme più grande nel quale sono racchiusi tutti i varietali italiani e sto parlando di quei vitigni sconosciuti o semisconosciuti ai più, che grazie a pochi, ma valorosi, vignaioli sono arrivati fino ai giorni nostri o sono stati riscoperti e rivalorizzati odiernamente al fine di dare ancor più identità territoriale al proprio Vino.

Io, che sono stato definito un “malato dei vitigni sconosciuti”, vorrei segnalarvene alcuni che a mio parere danno vita a Vini d’eccellenza, se pur prodotti in tirature limitatissime, per via delle pochissime piante rimaste, spesso estirpate per far spazio a nuovi impianti di vitigni più conosciuti e performanti.
Il mio sarà un elenco in ordine sparso, mirato ad incuriosire tutti voi winelovers fino a spingervi ad andare a cercare ed assaggiare i Vini prodotti con queste uve nella maggior parte dei casi molto rare, che grazie al vostro supporto potranno continuare ad arricchire il patrimonio viticolo italiano:

Ribona o Maceratino: vitigno autoctono a bacca bianca molto raro, coltivato solo nell’entroterra marchigiano e più precisamente nella provincia di macerata. Ricco di tannino e nerbo acido riesce a dar vita a bianchi di grande longevità, specie se coltivato su terreni ricchi di minerali. Ne producono di ottimi le Cantine Fontezoppa e Boccadigabbia;
Garofanata: Un tempo coltivato tra la vallata del
Misa e del Suasa, a cavallo tra le province di Ancona e Pesaro, era
ormai quasi del tutto scomparso, quando l’azienda Terracruda di
Fratte Rosa, ha pensato bene di avviare un progetto di riscoperta,
reinterpretandolo in chiave moderna e proteggendolo, così,
dall’estinzione.
Burson: l’Uva Longanesi, anche detta Bursona
in dialetto romagnolo, è un vitigno autoctono della zona di Ravenna
e ad oggi gli ettari vitati sono all’incirca 200. Pochissime le
cantine che coltivano questo vitigno dalla storia a dir poco
singolare. Infatti, fu solo nel 1920 che Aldo Longanesi trovò un
vite a lui sconosciuta, abbarbicata ad una vecchia quercia, nel
suo podere a Bagnacavallo, per poi decidere di utilizzarla per vinificarla in purezza. Ad oggi la tecnica di vinificazione è molto simile a quella dell’Amarone, con appassimenti lunghi e grande attenzione nell’affinamento in legno. La Tenuta Uccellina è stata una delle prime a credere in questo autoctono e sta portando alta la bandiera del Burson in Italia e nel mondo. Sempre in Romagna, prodotto anch’esso dalla Tenuta Uccellina e da altre aziende limitrofe, segnalo il Famoso o Rambela, vitigno a bacca bianca molto duttile e di grande piacevolezza. 
Centesimino: ancora Romagna ed ancora una storia a dir poco originale. Il Centesimino è un vitigno autoctono
della zona di Ravenna, Forlì, Cesena e del Faentino. Sembra che questo vitigno sia presente
nella zona sin dagli anni ‘60: si racconta che i numerosi impianti
messi a dimora in quel periodo nella zona di Oriolo dei Fichi
derivavano da piantate precedenti, a loro volta realizzate con il
materiale reperito da un vigneto presente nel “Podere Terbato” di
proprietà del signor Pietro Pianori, detto Centesimino, che stava a
rappresentare la sua avarizia. Ho incontrato per la prima volta
questo vitigno pochi giorni fa in un calice di Monteterbato della Cantina
San Biagio Vecchio e sono rimasto affascinato dal suo deciso, ma mai stonato, impatto
aromatico, oltre che dalle sue struttura, eleganza e persistenza:
Ruché: Grande autoctono piemontese che si sta
facendo conoscere sempre di più e con grandi riscontri fra i
winelovers. Riscoperto grazie a due personaggi di Castagnole
Monferrato: il parroco don Giacomo Cauda che alla fine degli anni
settanta si è dedicato con grande entusiasmo alla produzione del
Ruchè, e il sindaco Lidia Bianco – già segretaria della scuola
d’agraria di Asti – che si è impegnato per fargli assegnare la
denominazione d’origine controllata , peraltro ottenuta nel 1987.
L’etimologia di questo vitigno
autoctono è incerta in quanto la toponomastica locale non annovera
nemmeno in tempi antichi siti ai quali il nome Ruchè sia chiaramente
riconducibile.
Taluni comunque ipotizzano un legame
con la presenza a Portacomano (uno dei sette comuni ove si produce il
Ruchè) di una chiesa benedettina dedicata a San Rocco. Altri ancora
pensano che il nome possa derivare dai luoghi collinari erti ed arsi
dal sole (rocche) nei quali questo vitigno dà il meglio di sè.
Fatto sta che con il Ruché si producono ottimi Vini, in particolare
segnalo quelli della Cantine Sant’Agata, quelli di Montalbera ed il Ruché dell’Az. Agr. Luca Ferraris, tutti con peculiarità
differenti, ma di altissima qualità, che possono farvi apprezzare un
ventaglio di sfumature che solo il Ruché può sfoggiare con tale
impetuosa eleganza;
Nascetta:Il vitigno Nascetta o autoctono
dell’Albese, coltivato sulle colline tra Barolo e Novello
Biancolella: Il vitigno Biancolella è tipico della
Campania, in particolare nella provincia di Napoli e soprattutto
nell’Isola d’Ischia, dove il Biancolella è il re dei varietali
bianchi locali, nonostante la sua contenutissima produzione. E’ un
vitigno molto antico e si dice provenga dalla Corsica, dove è ancora
oggi coltivato con il nome Petite Blanche. Io l’ho conosciuto grazie
ai Vini della Cantina Giardini Arimei, che non solo preserva questo
vitigno, ma ne continua a coltivare altri persino meno conosciuti
come: Forastera, Uva Rilla, San Lunardo, Coglionara.
Il Pietra Box ed il loro Vino da uve
surmature sono espressioni integre e armoniche di un’Isola che, non
dimentichiamo, è stata la prima area mediterranea per la
coltivazione e diffusione della Vitis vinifera (intorno al 500 a.C);
Cococciola: Varietale a bacca bianca abruzzese
(presente anche in Puglia), chiamato anche Cacciola o Cacciuola.
Prima usato prevalentemente per il taglio del Trebbiano, al fine di
conferirgli maggiore freschezza, oggi è vinificato anche in purezza
e persino per la spumantizzazione. Il vitigno lo si trova citato
nell’opera da due illustri ampelografi francesi, Viala e Vermorel.
Parliamo di un vitigno coltivato in un
areale molto ristretto, che comprende, nella zona di Chieti, i comuni
di Villamagna, Vacri, Ari e Rocca San Giovanni. Uno dei miei migliori assaggi di Cococciola è sicuramente quello relativo al Brilla della Cantina Marchesi del Cordano;
Foglia Tonda: Il vitigno Foglia Tonda è un autoctono
che affonda le sue radici nella storia, tanto che se ne trova traccia
anche in trattati di viticoltura della metà dell’Ottocento.
Proveniente dalla Toscana e nello specifico dalla zona Sud del
senese, la sua coltivazione fu abbandonata perché, con il tipo di
potatura a tralcio rinnovabile (guyot o capovolto), andava in
sovraproduzione dando origine a vini di scarsa qualità.
Riscoperto e riportato in auge
dall’impegno di Donatella Cinelli Colombini, oggi concorre alla
produzione di Vini di eccellente qualità come, appunto, il
Cenerentola (Orcia Doc) della Fattoria del Colle di Donatella.

Per oggi mi fermo qui, in quanto non vorrei esagerare e mettervi nelle condizioni di non poter dedicare abbastanza tempo ad ognuno di questi tesori della nostra Italia enoica, ma nei prossimi giorni vi parlerò del Cagnulari, del Susumaniello, del Vermentino nero, della Tintilia, dell’Albarola, dell’Enantio, del Tazzelenghe e del grande Cesanese. Intanto, a prescindere dai Vini che ho segnalato, se trovate uno di questi varietali in uvaggio o in purezza, in un Vino non esitate ad assaggiarlo, appagherete la vostra curiosità e contribuirete, nel vostro piccolo, alla preservazione di queste rarità.
F.S.R.
#WineIsSharing

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