Se questo vinitaly si è praticamente volatilizzato solo salutando vecchi amici e assaggiando nuove annate di Vini che conoscevo già molto bene, non potevo esimermi dal dedicarmi a qualche nuovo assaggio random, tra le Cantine che mi avevano incuriosito di più con i loro inviti.
Ho deciso di elencare una piccola selezione di quelle realtà che hanno saputo stupirmi per personalità dei produttori ed identità dei propri Vini, come sempre senza badare a numeri, nomi o fatturati, bensì basandomi sulle persone e sui singoli assaggi, senza pregiudizi o condizionamenti se non quelli umani.
Case Corini: avevo già avuto modo di conoscere Lorenzo Corino, in quanto consulente della Fattoria La Maliosa in Maremma, ma non avevo ancora mai avuto la possibilità di assaggiare i suoi Vini di famiglia, quelli che da anni produce in Piemonte, con quel raro mix di tradizionalità e contemporaneità, di naturalezza ed approccio logico-scientifico che, forse, nessuno come lui sa dosare. Vini disarmanti per armonia e profondità, che nella loro estrema semplicità trovano rendono democratica ed apprezzabile da tutti la complessità del nebbiolo e la barbera. La Barbera Barla 2007 è qualcosa di disarmante, per la schiettezza della sua eleganza, una bambina che recita una poesia di rara bellezza, capace di far commuovere i suoi genitori, ma anche tutto il resto della platea, col suo fare sincero e la profondità di ogni singola parola. So che difficilmente mi ricapiterà di assaggiare questo Vino, ma spero capiti a voi, magari proprio alla presenza di Lorenzo, uno dei più grandi agronomi e ricercatori italiani (se non il più grande, ma non ditelo a lui!), tra i pochissimi a poter argomentare un approccio di profondo rispetto etico-ambientale al Vino, in vigna ed in cantina, in maniera logica, scientifica, razionale e comprobata.
Croce di Febo: Maurizio Comitini è una delle persone, dei produttori e dei personaggi di questo Vinitaly 2016 per me! Avevo avuto modo di conoscerlo tra gli avventori di Benvenuto Brunello e non erano mancate risate sincere e confronti sul ciò che è il Vino e ciò che potrebbe essere, senza tanta retorica e soprattutto senza sfociare in filosofie che spesso sembran più illusorie favolette.
La sua azienda produce Nobile di Montepulciano che a prescindere dalle certificazioni, più che biologico definirei “come si deve”! La Riserva 2010 dell’Amore Mio è davvero una della massime espressioni del Prugnolo gentile, con la naturale propensione al futuro di chi sa dove vuole arrivare ed equilibri gusto-olfattivi giocati tutti sul bilanciamento di morbidezza e freschezza, struttura e tannino.
Un Vino importante, teso che allinea palato, mente e cuore in un sorso davvero lunghissimo.
Angelo d’Uva: un nome una garanzia mi verrebbe da dire ed infatti è proprio così! Una realtà di una terra spesso sottovalutata, ma davvero molto vocata alla viticoltura come il Molise. Una storia di famiglia, fatta di veri uomini e di un’agricoltura sempre più consapevole, che oggi diventa l’apice della modernità, abbinata ad una volontà imprescindibile e davvero fortissima di esprimere in ogni calice dei propri vini peculiarità del singolo vigneto, espressività del varietale, vocazione della terra e sincera interpretazione dell’annata. Ottimo il Montepulciano Riserva, se pur ancora giovanissimo, interessante come sempre la Tintilia e strepitoso il passito bianco di Moscato reale, dagli aromi ed il gusto del sole, senza mai eccedere in dolcezza. Devo ringraziare Enrica per quest’ultimo assaggio, in quanto, sin troppo spesso, si perde l’occasione di provare un passito per via della convinzione di non poter poi degustare al meglio i successivi Vini, ma sono sempre più del parere che (distillati a parte) la bocca sia da trattare alla stregua dei nostri calici e quindi vada solo avvinata o al massimo sciacquata per poi poter percepire al meglio altri assaggi. Da provare anche il proverbiale Cabernet Sauvignon che non sa di peperone, ma sa di Molise!
Le Guaite: pensavo di aver trovato la piccola azienda più interessante della Valpolicella l’anno scorso a fine vinitaly, conoscendo Lara e Daniele Damoli, ma quest’anno la giovane Noemi con la sua azienda di famiglia Le Guaite ha fatto il paio… che sia ormai diventata una sorta di tradizione quella di trovare una grande azienda della Valpolicella negli ultimi scampoli di fiera? Beh… se così fosse, non vedo l’ora di arrivare alla fine del prossimo vinitaly! Detto questo, la linea di Vini prodotti da Le Guaite ha una coerenza disarmante e affascina per freschezza nei vini più “giovani” come l’IGT rosso veronese 2010, che nonostante i suoi quasi 6 anni guarda al futuro con gli occhi di un neonato, e per armonica profondità nel Ripasso e nell’Amarone, Vini che hanno bisogno anch’essi di tanta bottiglia per giungere al loro apice, ma che fanno già intuire di che stoffa siano fatti. Io gli dedicherò un bello spazio in cantina mi sa, ma intanto mi preparo ad approfondire la conoscenza di questa realtà della quale vorrei parlarvi ancora nei prossimi giorni. Ah… per non farsi mancar nulla, a Le Guaite si “dilettano” anche nella produzione di olio, non in una, non in due, non in tre versioni, bensì in 5, davvero interessanti e capaci di mantenere l’eleganza e la sinuosità degli oli del nord, con quel pizzico di piccante sfrontatezza di quelli del Centro e del Sud Italia.
Villa Parens: la carissima Elisabetta Puiatti mi porse il suo invito con estrema eleganza e senza alcuna pretesa, con l’umiltà di chi pur sapendo di aver fra le mani dei grandi Vini, frutto di tanta cura ed attenzione, volesse con me un confronto aperto e sincero. Una storia fatta di passaggi familiari, professionali ed imprenditoriali che spero di raccontarvi più avanti, ma che mi ha affascinato sin da subito, in quanto frutto di scelte importanti e che in pochi avrebbero fatto, a tutela della propria etica, del proprio passato e del proprio territorio. Da questo profondo rispetto e dalla grande consapevolezza di Giovanni Puiatti scaturiscono Vini di rara finezza, mai scomposti, mai eccessivi, sempre in grado di emozionare con classe, senza bisogno di fuochi d’artificio. Uno di quei casi in cui la bottiglia esprime già dal suo packaging le principali connotazioni del suo contenuto, che con un minimalismo artistico esprime sauvignon, ribolla gialla, chardonnay e pinot nero nelle loro vesti più eleganti. Uno dei migliori sauvignon assaggiati quest’anno ed una bollicina con un perlage mai visto prima, capace di veicolare con estrema finezza aromi rari per un metodo classico di “soli” 18 mesi sui lieviti… che forse questa corsa a far permanere troppo i metodo classico sur lies sia controproducente, in alcuni casi? Io inizio a pensare che per esprimere territorio e varietale, forse questa sia questa la scelta più azzeccata.
Tua Rita: che posso dire di quest’azienda che non sia già stato detto? Forse una cosa c’è ed è uno punto che vorrei approfondire da qui in avanti, del quale mi sono ritrovato a parlare con amici produttori, inizialmente restii nel comprendere il mio concetto, ma che poi hanno convenuto con me, almeno razionalmente, in questo pensiero.
Parlo della capacità di parlare di territorio attraverso un Vino e dell’erronea convinzione dei più che per far ciò si debbano a tutti i costi utilizzare varietali autoctoni. Tua Rita è l’esempio più lampante in assoluto di quanto un uva non appartenga a nessun territorio, bensì al suo terroir, un terroir che prescinde la geolocalizzazione fine a se stessa, ma che richiede, desidera ed a volte pretende determinate condizioni in quanto a clima, terreni e capacità del produttore/vignaioli di interpretare queste peculiarità. Pensate a quanto ci ostiniamo a fare Pinot Nero ovunque in giro per l’Italia, ma quanto sia difficile trovarne uno come si deve, pensate poi a quanto ci si ostini a non spostare il nebbiolo dal Piemonte, là dove potremmo verificare ed amplificarne la territorialità e quindi espressioni diverse della stessa uva in base a terroir differenti, non solo da un bricco all’altro (comune molto diversi in molti casi), bensì di regione in regione, come ad esempio la Sicilia, che vede nell’Etna il luogo più vocato secondo me (e non solo me) per molti vitigni, compreso il Ruché ad esempio, tanto per restare in piemonte. Beh, faccio questa premessa perché con il Redigaffi, un mito dell’enologia italiana ormai da diversi anni, Tua Rita ha dimostrato quanto un varietale conosciutissimo e coltivatissimo come il Merlot potesse esprimere un territorio diverso da quello di origine e diverso da ogni altro, in maniera così pura, diretta, inequivocabile. E’ questa la forza di questo Vino, far riflettere sulle potenzialità e le unicità di un terreno, di un micro-clima e delle persone che quel Vino lo fanno e lo vivono. Giusto di Notri e Redigaffi sono due perle incastonate nella meravigliosa collana di assaggi di questo vinitaly.
Cossetti: un’azienda di 125 anni che probabilmente non avrei conosciuto se non fosse per uno dei molti “Hey, Saverio vieni assaggiare qualcosa di quest’azienda?”. Poi ti siedi e ti dicono che l’azienda produce davvero tante etichette ed un numero importante di bottiglie, nessun pregiudizio, ma le aspettative per forza di cose si abbassano leggermente, inutile negarlo. Fino a quanto al tuo dire vorrei assaggiare 4 referenze, ti vengono presentati 4 Vini con tiratura molto limitata e tutti in grado di esprimere quel giusto connubio di precisione e territorio che vorresti sempre trovare nel calice.
Un appunto particolare all’Albarossa vitigno in cui in pochi hanno creduto e che a me appassiona molto, soprattutto se si è in grado di permettergli di esprimere al meglio le connotazioni del nebbiolo e della barbera insite in esso con così palese garbo.
Barone Sergio: la Sicilia di questo Vinitaly è stata davvero foriera di emozioni per me ed una delle più sincera è stata di certo quella suscitata dall’incontro con questa realtà. Il mondo del Vino è puntinato di storie di nobiltà e virtù, ma anche di caste e delusioni, ma la storia dell’Az. Agr. Barone Sergio è fatta di amore per il territorio ed i suoi meravigliosi frutti, è intrisa di rispetto e consapevolezza del passato con una grande spinta verso il futuro. Un Grillo, l’Alégre, che sarebbe capace di portare l’estate anche al Polo Nord, senza dover rinunciare alla freschezza ed alla piacevolezza di un Vino che parla siciliano… si, ma al mondo! Poi ci sarebbe il Vino di punta, quello che non t’aspetti, ovvero un Nero d’Avola Doc Eloro, questa sconosciuta, che faccia solo acciaio i si elevi in bottiglia. Insomma, a prima vista sembrerebbe un Vino fatto per non essere richiesto dal mercato ed io, ovviamente mi ci tuffo a capofitto e mi godo l’assaggio che fa urlare al miracolo! Finalmente, forse per la prima volta, ho potuto sentire il nero d’avola che ho sempre voluto assaggiare, quello più simile alle prove di vasca che alle ebanistiche forzature della maggior parte dei Nero assaggiati in vita mia (con le dovute eccesioni, s’intende). La purezza del varietale con la sua speziatura naturale, la sua nota leggermente verde che unitamente ad un buon nerbo acido dona freschezza al naso prima ed al sorso poi di un gran bel Vino!
Sapete qual è la cosa più difficile da credere? Io ho assaggiato una 2010 che sembrava non essersi ancora affacciata all’età adulta neanche per un istante.
Tenuta Cocci Grifoni: siamo nelle mie Marche e parliamo di un’azienda che conosco da anni, eppure, avevo avuto modo di assaggiare ben poche delle loro etichette. Devo dire che gli assaggi del vinitaly hanno implementato la mia curiosità nei confronti di questa Cantina che, in particolare, con il suo Pecorino 2013 mi ha fatto capire quanto lavorino bene in vigna ed in cantine e quanto anche questo varietale possa esprimersi in eleganza, finezza e mineralità, puntando ad una discreta longevità. Sarà mia premura approfondire e tornare da voi con nuove impressioni.
Intorcia: ammetto di aver assaggiato pochi Marsala in vita mia, ma di essere un grande appassionato della storia di questo Vino, che rappresenta la prima DOC italiana della storia.
Mi ero ritagliato un’ora di tempo in questo vinitaly, solo per una degustazione guidata, ed ho scelto proprio quella dei Marsala della Cantina Intorcia, che mi hanno a dir poco catturato per la duttilità di utilizzo, giovane e servito fresco persino come aperitivo o in abbinamento a piatti a base di pesce, di oltre 30 anni a temperatura ambiente con mostri sacri della nobile arte dell’abbinamento come il fois gras. Davvero uno spettro ampissimo di sfumature, intrise di storia, passione ed attenzione, con tecniche che meriterebbero un approfondimento che spero di condividere presto con voi.
Ci tengo ad elencare tra gli assaggi più interessanti anche:
– i tre “single vineyard” del Cabernet Franc della Tenuta di Trinoro annata 2014 nei quali si evince al meglio la diversità di quel mosaico di suoli e sottosuoli presenti nei singoli vigneti;
– il passito di Pantelleria dell’azienda Coste Ghirlanda, che anche nella giornata più uggiosa sarebbe capace di far tornare sole e sorriso;
– il Barberesco Boito Riserva 2011 dell’Az. Rizzi, che nella sua estrema giovinezza fa percepire a pieno le potenzialità del terroir;
– La Malvasia di Castelnuovo Don Bosco di Cascina Gilli, bella, floreale, fresca, con la componente aromatica ben integrata al sorso fresco e setoso, senza squilibri in dolcezza e davvero piacevole al palato;
– Prosecco colfondo Duca di Dolle, un bell’assaggio quello incontrato quasi per caso a questo vinitaly, che mi conferma che il metodo ancestrale, rurale o colfondo, che dir si voglia rappresenti la miglior espressione della Glera. Bello, fresco e per una volta non assomigliava ad una Weiss, per quanto a me piaccia la birra di frumento!
Un appunto extra sulla Cantina della Volta, che per quanto conoscessi già alcuni dei Vini dell’azienda, non avevo avuto ancora modo di assaggiare tutte le sfumature di Lambrusco proposte al Vinitaly e di conoscere la mitica Angela Sini, che con i loro metodo classico aprono le porte ad una percezione completamente diversa del vitigno ed in particolare quello di Sorbara. Christian Bellei si conferma un punto di riferimento se non il punto di riferimento per quanto riguarda l’espressione più elegante del Lambrusco. Io posso aggiungere di aver avuto al mio seguito degli appassionati/neofiti che mi avevano detto pochi minuti prima “voglio proprio vedere se trovi un lambrusco capace di farci ricredere”… inutile dire come sia andata a finire!
In conclusione, anche quest’anno qualche assaggio l’ho fatto, tra conferme, qualche piccolissima delusione e, soprattutto, queste piacevoli scoperte, torno a casa sereno e con l’auspicio di poter scoprire ancora ed ancora nuove realtà e nuovi vini da qui al prossimo vinitaly in modo da poterli condividere con voi, magari in una nuova cartina o chissà cosa mi inventerò!
F.S.R.
#WineIsSharing
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