Brexit e Vino Italiano – Certezze, supposizioni e riflessioni sui mercati enoici globali

Che il Regno Unito non andasse d’accordo con il concetto di Europa lo si sapeva da un po’, ma che vivesse nel giro di pochi giorni l’uscita di tutti i suoi paesi membri dall’Unione Europea con la Brexit e della sua nazionale più rappresentativa, ovvero l’Inghilterra agli europei di calcio, per di più per merito dell’Islanda e suo demerito, chi se l’aspettava?!? Scherzi a parte, qui si parla di Vino, quindi…
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… non vi parlerò di certo di calcio e non mi passa neanche per l’anticamera del cervello di mettermi a disquisire su argomenti che col Vino hanno un’unica cosa in comune, qualche bicchiere può aiutare a dimenticare, tipo la politica.
La mia riflessione riguarda tutto ciò che sto leggendo e il solito labile ed opinabile equilibrio dell’informazione generalista, ma stavolta anche di quella più mirata, riguardo quella che viene dipinta su più fronti come “la catastrofe per il Vino italiano” provocata dalla Brexit.
Razionalmente le cose di cui possiamo essere certi sono solo le seguenti:
  • Il Regno Unito è il 3° mercato europeo per il Vino italiano ed il primo per le bollicine made in Italy (Prosecco in pole position)? Sì, vero!
  • La sterlina è ai minimi storici dall’85? Vero anche questo.
Cosa non possiamo sapere con certezza e quindi è bene non utilizzare per affossare, come tanto piace ai media italiani, lo stato d’animo e la fiducia nel futuro dei produttori italiani ancor prima dell’economia stessa:
  • La sterlina si svaluterà ancora? Non lo sappiamo.
  • Il Regno Unito si riferirà ad altri mercati (Australia, Sud Africa ecc…) per l’import del Vino? Non possiamo saperlo, seppur sia plausibile un aumento delle importazioni, già molto alte, da paesi da sempre vicini alla Gran Bretagna, non solo nell’idioma, bensì nelle politiche di economico-commerciali. Eppure gli Inglesi fra tutti, ci hanno insegnato che il gusto e la qualità, almeno per loro, vanno oltre certe dinamiche. Quindi non escluderei che tutto questo porti ad una maggior ricerca della qualità e ad una sorta di selezione naturale, nella quale non vincerà solo il prezzo più basso, bensì il Vino più adatto ai palati inglesi.
  • Sarà solo l’Italia a soffrirne? No, la Germania, la Spagna e prima ancora la Francia subiranno eventuali ripercussioni proporzionalmente tanto quanto noi.
  • La Gran Bretagna sarà una nuova Russia in termini di chiusura dei mercati e dazi sulle importazioni? Questa è la cosa che si legge di più e sembra darsi quasi per scontata, ma in realtà a giudicare da ciò che dicono in UK non sembra avere alcuna attinenza con la realtà, ma… staremo a vedere!
  • Il Prosecco nel Regno Unito non si venderà più? Intanto, per l’uscita dalla Comunità a livello burocratico ci vorranno mesi se non anni (c’è chi sostiene addirittura 2 anni per il completamento del percorso) e per i contratti in essere ci saranno delle proroghe, ma anche in questo caso non possiamo fasciarci la testa prima di cadere.
  • Il Regno Unito diventerà autosufficente producendo il proprio fabbisogno enoico internamente? E’ vero che in Inghilterra del Sud ed in Galles stanno nascendo delle cantine e che, specie per quanto riguardi le bollicine i risultati iniziano a vedersi, ma non è ragionevolmente plausibile che l’Inghilterra diventi un paese produttore di Vino con numeri atti a coprire il fabbisogno della sola Londra e se si parla di global warming ne dovranno passare di anni prima di capire se il clima britannico stia davvero virando verso situazioni più consone alla viticoltura;
  • I beni/Vini di lusso non ne risentiranno? In realtà i francesi hanno più paura di noi riguardo la Brexit, proprio perché sostengono di avere prezzi troppo alti e di poter essere surclassati dai Vini italiani, gli unici capaci di proporre alta qualità a prezzi competitivi nonostante la svalutazione delle sterlina. Vuoi vedere che i nostri rossi si posizioneranno in fasce più alte accanto ai più rinomati Bordeaux? Chi lo sa… 
La riflessione che faccio è in primis, quindi di non allarmarsi troppo, ma semplicemente di iniziare a vagliare contromosse, o meglio mosse che a prescindere dagli esiti della Brexit possano andare nella direzione di un mondo che è ormai cambiato e non accenna a volersi stabilizzare, se non nel suo concetto di variabilità e diversità.
Ho parlato di questo, già in tempi non sospetti, con produttori di un po’ tutto lo stivale e di un po’ tutte le categorie delineandone le differenze di pensiero e di attitudine, spesso derivanti dalla tipologia di Vino prodotto, dalla forza del brand/denominazione in certi mercati piuttosto che in altri ed una palese cecità al cambiamento di alcuni interi movimenti enoici, è la seguente:
Sono anni che i mercati ci dimostrano la loro poca affidabilità e quanto sia più facile vedersi chiudere porte piuttosto che aprirsene altre; sono anni che ci lamentiamo di quanto il consumo di Vino entro i confini nazionali sia calato e non paghi, ma poi vendiamo Brunello di Montalcino in USA a 10€ senza avere più le certezze degli anni d’oro (pre-crisi) e dovendo essere soggetti a dinamiche legate alla volontà di guide e di wine critics (vedi Parker) che con un punteggio segnano la sorte di una cantina ed incidono radicalmente sulle importazioni da parte di monopoli come quello canadese; ci siamo seduti, accontentandoci dei mercati storici di riferimento, in alcuni casi, ma poi ci chiediamo come facciamo le aziende giovani a vendere in paesi in cui la cultura del Vino è cresciuta con il crescere dell’economia, ma che nonostante le problematiche finanziare attuali rappresentano ancora dei riferimenti (Asia, Scandinavia fra tutti); molto produttori attendono che arrivi l’ordine o che arrivino riconferme da paesi instabili come il Brasile e vanno in crisi se l’ordine non arriva, perché era proprio quello sul quale puntasse per rientrare con le spese di Cantina.
Tutto questo è qualcosa che ho vissuto e che mi fa male, perché tanti sono gli amici produttori che si troveranno in difficoltà a causa della Brexit, ma che già si trovavano in difficoltà a causa della crisi globale, ma mi fa male soprattutto perché ha messo a nudo la poca capacità di adattamento di molte delle nostre realtà ad una tipologia di commercio e di visione globale e globalizzata della cultura del Vino, che non permetta più l’attesa o le retrograde tecniche di vendita, bensì necessiti della volontà di cambiare e non una sola volta, ma con l’elasticità che culturalmente abbiamo perso con l’avvento dell’industrializzazione.
Variare i mercati, avere situazioni in cui un paese possa bilanciare l’altro in casi di temporanee o più strutturate crisi economiche della singola realtà, è l’unica strada da percorrere, oltre a quella di rivalutare il commercio interno ai confini Italiani, che non è morto, ma ha solo bisogno di essere rifondato, partendo dal fattore culturale e dalla promozione, nonché dall’educazione degli italiani al bere Vino. Pensiamo che il Vino costi troppo e che l’italiano non abbia voglia di spendere, quando l’enoturismo in realtà è in crescita e le ultime ricerche di mercato parlano di italiani che sono disposti a spendere oltre 5€ di media per una birra in GDO, solo perché riporti in etichetta la dicitura “artigianale” e che è pronto a spendere fino al doppio del normale per prodotti biologici.
E il Vino? Il Vino ha bisogno di farsi conoscere… è assurdo, è vero! Un prodotto della tradizione, così radicato nella storia italiana e così presente da sempre sulle tavole degli italiani deve farsi conoscere? Sì, perché a parte qualche wine nerd come noi, che comunque ha sempre da imparare e da bere prima di poter dire di conoscere bene il Vino italiano, gli italiani non sanno nulla di questo meraviglioso mondo e basterebbe davvero poco… intanto basterebbe iniziare… per tornare a credere su un bacino potenzialmente validissimo, sul quale non puntiamo da troppo ormai. E’ vero, in Italia è difficile farsi pagare, in Italia non si vende più bene come un tempo, in Italia il mercato in alcuni segmenti sembra essere saturo ed in GDO si vendono solo i soliti brand, capaci di fare numeri a discapito della qualità. Quindi? Aspettiamo che le cose cambino da sole o proviamo a cambiarle noi? Con una sinergia tra produttori, comunicatori, associazioni ed istituzioni? 
Le mie sono solo supposizioni e lungi da me assurgermi a guru, soprattutto in campo economico, nonostante gli studi in questo ambito, ma buttandola sull’aspetto più romantico della questione, mi piange davvero il cuore quando sento aziende dirmi “siamo in crisi perché vendevamo il 90% della produzione in USA” o altre, che io adoro per la qualità dei loro Vini asserire cose del tipo “in Italia abbiamo smesso di vendere da anni!”.


F.S.R.
#WineIsSharing

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