Cantine Fina – A Marsala, vini di famiglia intrisi di lungimiranza e bellezza

Al mio ritorno dalla splendida Sicilia,
inizio a condividere alcune delle mie più nitide emozioni e della
mie impressioni enoiche riguardo vigne, vini e cantine.
Lo faccio portandovi con me a conoscere le Cantine Fina, una realtà a conduzione familiare, che negli ultimi anni ha avuto
una curva di crescita sia in termini di qualità che in termini di
popolarità davvero importante, grazie alla capacità di produrre
ottimi vini con un appeal trasversale, senza mai scadere nella mera
omologazione.
Cantine Fina
L’azienda nasce nel 2005 grazie alla lungimiranza ed
all’impegno dell’
enologo Bruno Fina e sua moglie Mariella, che fin
dagli inizi hanno definito la Cantina il loro quarto figlio.



Oggi, a portare avanti un vero e
proprio sogno diventato realtà ci sono Bruno (enologo) e i suoi 3
figli Marco, Sergio e Federica.
Marco, il più grande dei tre, si
occupa della parte commerciale ed amministrativa, Sergio è un
enotecnico e braccio destro del padre, ha vissuto più in vigna che a
casa e Federica la più giovane si occupa di marketing e
comunicazione e da ormai un annetto della gestione dell’enoturismo
“Orizzonte Fina”, progetto che si sta dimostrando davvero
interessante.
Bruno Fina è da anni un noto enologo
siciliano, ma è grazie all’incontro con Giacomo Tachis che inizia a
vedere la Sicilia come un vero e proprio continente con micro e macro
areali più vocati all’allevamento di quasi ogni tipologia di
varietale, tanto che, nei vigneti ai quali attingono per la creazione
dei propri vini, le Cantine Fina oggi hanno numerosi vitigni sia
autoctoni che alloctoni nazionali ed internazionali.
Il concetto è semplice: analizzare il
terreno e le condizioni pedoclimatiche, prendendo la storia come
riferimento, ma non come sinonimo di perfezione assoluta (basti
pensare alle lacune in termini di know how presenti nel passato), e
trovare il vitigno adatto alla microzona in cui verrà impiantato, in
modo da poter produrre la migliore espressione di quell’uva nel
territorio più vocato alla sua coltivazione.
Per quanto riguarda gli autoctoni
abbiamo il Grillo, seguito dallo Zibibbo, Nero D’avola e Perricone;
per gli alloctoni abbiamo Traminer, Sauvignon, Chardonnay, Viognier,
Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot.
Il 70% dei vigneti attualmente a
disposizione dell’azienda è biologico, ma la parte restante ha già
inviato il processo di conversione.
Quando ho chiesto un aneddoto legato
alla loro vita nel vino i Fina ne hanno tirati fuori molti, a
testimonianza di un legame col territorio, con la propria azienda, ma
soprattutto tra i membri della famiglia che è parte integrante di
quanto poi troviamo in bottiglia. Il più simpatico e quello più fa
comprendere la personalità di Bruno Fina è legato al primo anno di
produzione del loro Kikè (90% Traminer e 10% Sauvignon Blanc),
momento nel quale il figlio Marco ed il direttore commerciale Enrico
volevano imbottigliare solo una parte del vino prodotto, non credendo
a questa pazza sfida dell’enologo siciliano di produrre e vendere un
vino del genere dalla Sicilia. Eppure, Bruno con grande sicurezza
impose di imbottigliare tutte e 8000 bottiglie, dichiarando che se
mai avessero avuto difficoltà nel venderle se le sarebbe bevute
tutte lui. Neanche a dirlo, a tre mesi da quelle parole non avevamo
più una bottiglia in cantina e negli anni successivi il Kiké è
divenuto il vino più rappresentativo dell’azienda per la sua unicità
e per la sua attitudine ad incuriosire in maniera trasversale dal
neofita al winelover incallito.
Io, da par mio, vi consiglio di
assaggiare tutta la linea, ma vi segnalo i 5 vini che di più mi
hanno emozionato, ovvero il Kiké per il suo naso equamente
aromatico ed il suo sorso fresco e vibrante; il Taif, che non è
altro che uno Zibibbo secco dal naso avvolgente e suadente, carico di
sole e di calore, che poi ti stupisce con la sua verticale acidità
ed una nota marina che ne rende il sorso inerziale; il Perricone, tra
gli autoctoni siciliani quello che negli ultimi anni mi ha
incuriosito di più, qui interpretato come piace a me, ovvero senza
uso ed abuso di legno, permettendo al varietale di esprimersi nella
sua schietta complessità, con grande freschezza e con un frutto
nitido e croccante… davvero piacevole!
Poi abbiamo i due vini, agli antipodi,
che vorrei sempre avere in cantina il Caro Maestro e l’El Aziz.
Caro Maestro 2002: ho avuto modo di
assaggiare anche l’annata attualmente in commercio, ma ci tengo a
condividervi con voi le mie impressioni sulla prima annata di
produzione, della quale ho avuto modo di assaggiare una delle 24
bottiglie (ora 23) rimaste nello storico della Cantina, ovvero la
2002. Il nome dice tutto, si tratta del vino dedicato al compianto
Tachis, vero e proprio maestro di vite e di vita per Bruno Fina, che
ha sentito di volerlo omaggiare con questo taglio bordolese di
Cabernet Sauvignon, Merlot e Petit Verdot.

Proprio come Tachis, anche Bruno Fina
vede la Sicilia come un “continente” enoico dalle immense
variabili e quindi dalle infinite potenzialità espresse ed
inespresse. A volte pensiamo che l’identità territoriale e
l’autenticità risiedano solo nei vini prodotti da uve autoctone o
tipiche, ma dimentichiamo che di molti di quei vitigni non abbiamo
riferimenti o termini di comparazione se non in determinati contesti
di appartenenza. Eppure sono territori e produttori che hanno un
carattere così forte e marcato da rendere identitario e quindi unico
ogni vitigno ed ogni vino, pur mantenendone le principali
peculiarità, permettendo di confrontare queste caratteristiche con
vini prodotti in altre zone d’Italia e del mondo. È proprio questo
il caso del Caro Maestro, che nella sua prima annata di produzione,
ovvero questa 2002, si è dimostrato un cavallo di razza, per nulla
stanco, con vigore e resistenza da vendere. Davvero un piacere
trovare così tanto equilibrio e non trovare alcun cenno di cedimento
in quello che a tutti gli effetti è il “bordeaux”
siciliano.

Dulcis in fundo, la vendemmia tardiva di Grillo (nasce come Chardonnay, quasi per errore ed oggi è una delle migliori espressioni di vino dolce base grillo) El Aziz: parliamo di un vino che non necessita di grandi affinamenti (appena qualche mese di barrique e 6 mesi di bottiglia) al fine di non perdere la freschezza e la potenza espressiva del varietale e per mantenere, anche, un sorso di grande bilanciamento fra residuo, struttura, freschezza e quella leggera vena sapida che sembra voler ricordare l’estuario di un fiume in cui l’acqua dolce incontra il mare. Un vino da tramonto in riva al mare, senza pensieri, gettando lo sguardo e l’anima oltre l’orizzonte.
A proposito di tramonto, a breve potrete scoprire anche voi una novità, assaggiata in anteprima proprio al calare del sole, nello splendido terrazzo panoramico delle Cantine Fina, vale a dire il Metodo Classico base Pinot Nero e Chardonnay, un’altra sfida non da poco, che dal bicchiere già fa pensare che Bruno Fina, anche questa volta, potrebbe dimostrare la capacità di questa meravigliosa regione di offrire terroir atti a vincere ogni sfida vitivinicola ed enologica. Dovremo attendere ancora qualche mese per saperlo, ma le premesse sono più che valide.

Ci tenevo molto a visitare questa realtà, nonostante avessi avuto modo di assaggiare della famiglia Fina in più di un’occasione, al fine di distaccarmi da una concezione che ammetto sia stata a volte statica di un territorio che, seppur lentamente, sta evolvendo e non più solo verso la quantità, ma soprattutto in favore di una qualità che prescinde preconcetti e limiti culturali.
Ci tengo, però, a concludere invitandovi ad andare a trovare questa famiglia, che oltre a produrre ottimi vini, fa dell’umanità e della simpatia due valori imprescindibili del proprio essere, tanto che andarsene è stato davvero difficile!

F.S.R.
#WineIsSharing

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