“Come quando fuori non piove” – Dove impiantare? Con quali portainnesti? Irrigazione sì o irrigazione no? La risposta sembra essere, come sempre, EQUILIBRIO!
usati in degustazione e come gran parte dei descrittori enoici,
anche, uno dei più abusati.
spesso, di vini equilibrati, bilanciati, armonici eppure mi rendo
conto che in alcune annate, per alcuni produttori, in alcuni territori e terreni è praticamente impossibile arrivare ad ottenere dei mosti potenzialmente equilibrati.
deve necessariamente partire da quello nel vigneto e quindi
dall’equilibrio della pianta.
aspetti che mi interessano e mi vedono coinvolto solo in parte, ma che non
ho un’adeguata preparazione per valutare a pieno, ma vorrei esporre e
condividere semplici impressioni e considerazioni alla luce dei miei
ultimi viaggi in giro per le vigne italiane, nella maggior parte dei
casi affiancato da agronomi del territorio o vignaioli che meglio di
chiunque altro conoscono le proprie vigne.
regioni del Sud, del Centro e del Nord Italia, dall’inizio
dell’estate ad oggi, le prime considerazioni riguardavano le gelate
di aprile, capaci di colpire a macchia di leopardo in tutta la
penisola, compresi areali difficilmente prevedibili come quelli del
nord della Sardegna.
messaggio che questa eloquente 2017 sembra aver voluto inviare è
stato quello relativo al collocamento di molti impianti giovani o
relativamente giovani. Ciò che ho visto, infatti, è stata una
maggior percentuale di danni nei vigneti in zone storicamente poco o
per nulla vitate, nei fondovalle e nelle zone più umide e solo in
rari casi si sono evidenziati danni nei vigneti collinari. Con questo non voglio assolutamente dire che la viticoltura di qualità sia possibile solo in collina o alta collina, ma che i vigneti più in alto sembrano rispondere meglio ad annate difficili come questa.
Eloquente
il caso di un vignaiolo toscano che stimo molto, che camminando nei
suoi vigneti mi ha confidato di aver subito danni solo nell’impianto
più giovane, fatto (sue testuali parole) “dove la vigna non c’è
mai stata”, ovvero nella parte più bassa della sua terra e vedere la precisione con la quale il gelo si è fermato all’ultimo nuovo filare prima dell’inizio del vecchio vigneto, fa quanto meno riflettere. Ripeto, non si può di certo generalizzare, specie in
una terra vitivinicola dalle infinite e cangianti condizioni
pedoclimatiche come la nostra, ma in molti casi la situazione è
stata questa e ne va preso atto.
se le gelate non fossero bastate a compromettere previamente
l’annata, ha messo ancor più in difficoltà le piante puntando il
grande fare dell’attenzione sull’equilibrio della pianta. Uno dei
luoghi comuni più fuorviante, infatti, è quello che vorrebbe una
vite in stress capace di una produzione di più alta qualità. Che la
vite sia un’organismo vivente capace di incassare meglio di Rocky
Balboa contro Ivan Drago lo sappiamo, ma ciò non significa che non
ci sia un limite a tutto! E’ proprio in questo caso che dovremmo
tornare a parlare di equilibrio, cercando di comprendere che lo
stress è tollerabile solo fino ad una certa soglia, che se varcata
non solo può portare ad una produzione ridotta e di più scarsa
qualità, bensì arriverà a danneggiare il metabolismo della pianta
fino, in taluni casi, alla morte.
diatriba tra vignaioli, produttori e consulenti agronomici ed
enologici che vede da un lato lo schieramento dei “favorevoli” e
dall’altro quello dei “non favorevoli” all’irrigazione. Anche in
questo caso non ve la menerò più di tanto parlandovi di agronomia,
ma credo che alcuni principi vadano esposti e chiariti come
potenziali “pro” e potenziali “contro” dell’irrigazione (parlo di “potenziali” pro e contro in quanto ogni pratica agronomica è da contestualizzare nel singolo vigneto e quindi, di nuovo, non è pensabile generalizzare).
-
Possiamo dividere l’irrigazione in
due macro-gruppi: l’irrigazione di forzatura e l’irrigazione di
soccorso (più avanti vedremo come questo termine potrebbe
risultare fuorviante, ma dato che “tecnicamente” e da
disciplinari è così indicato lo utilizzerò anch’io). La prima
votata all’aumento della produzione e non a quello della qualità
(utilizzata per lo più da aziende a carattere industriale), mentre
la seconda votata al mantenimento dell’equilibrio idrico dei terreni
ed alla gestione dello stress idrico* che grazie a pochi e mirati
interventi può essere controllato e mai portato oltre la soglia
“del non ritorno”. -
La microirrigazione a goccia è,
probabilmente, l’intervento agronomico meno invasivo (parliamo pur
sempre di acqua!) ed al contempo più “moderno” che si possa
adottare in viticoltura; -
L’irrigazione a goccia può
portare, anche in annate siccitose come la 2017, al raggiungimento
di un equilibrio biochimico nell’uva e, quindi, organolettico nei
mosti e successivamente nei vini in maniera non forzata; -
La possibilità di controllare lo
stress idrico può salvaguardare in primis la produzione dell’anno
successivo (spesso compromessa da uno stress troppo avanzato in
annate siccitose come quella corrente) ed in secondo luogo la vita
stessa delle piante, che arriveranno ad una maturazione più
graduale e ad un invecchiamento più lento; -
Il controllo dello stress idrico,
portando ad un maggior equilibrio dei mosti, può evitare interventi
enologici in vinificazione;
-
L’irrigazione deve necessariamente
mirare ad un equilibrio fra condizioni idriche ottimali e controllo
dello stress della pianta, pianificando gli interventi in maniera
sensibile e consapevole nelle giuste epoche fenologiche (legagione
ed invaiatura sembrano essere i periodi generalmente più adatti); -
Per i nuovi impianti è più indicato irrigare a goccia che “innaffiare” le barbatelle, specie in annate come questa, per garantirne uno sviluppo più graduale ed equilibrato e per non rischiare un’ingente moria di piante.
carenza d’acqua da diventare limitante per la pianta, portando ad
alterazioni di tipo morfologico, fisiologico e biochimico.
- l’irrigazione del vigneto come
strumento ordinario è tradizionalmente diffusa solo in alcune aree
mentre in altre lo sta diventando, ma presenta problematiche su cui
riflettere - l’irrigazione può snaturare i valori
di terroir e millesimo; - con l’irrigazione le radici delle
piante non sono stimolate a espandersi nel suolo; - l’acqua di
irrigazione (a differenza di quella piovana che è demineralizzata)
contiene sali e la salinizzazione dei suoli può provocare a lungo
andare un decadimento della fertilità biologica - l’irrigazione forzata ed in parte
quella di soccorso possono permettere la coltura di varietali non
propriamente adatti a quelle condizioni geo-pedoclimatiche e quindi
ad una minor identità territoriale;
Ne consegue, che l’irrigazione dovrebbe essere limitata allo stretto necessario, con volumi idrici ridotti ed
elargiti in anticipo alle manifestazioni di stress idrico, secondo la
conoscenza delle fasi fenologiche adeguate e solo nei vigneti e nelle
annata in cui non vi è altra strada da percorrere.
di irrigazione preventiva (o qualitativa) e non di irrigazione di
soccorso. Questo tipo di irrigazione è compatibile con pratiche agronomiche orientate alla qualità e, se dosata con parsimonia, non impedisce alla pianta di evolvere adattandosi anche a principi di stress. Certo è che se si riesce a farne a meno ed a portare ugualmente in cantina della “bella” uva ben venga ma, come si suol dire, “prevenire è meglio che curare!”. C’è da dire, però, che quest’anno di acqua per irrigare ce ne sarebbe stata poca e che se si dovesse correre davvero ai ripari bisognerebbe ragionare sulla creazione di bacini/laghetti artificiali per irrigazione.
riguardo l’irrigazione ed ho cercato di condividerlo nella maniera
più semplice possibile, rischiando qualche “fallanza tecnica”,
per permettere a tutti di entrare nel pieno del discorso ed ancor
prima perché, come già detto, non sono un agronomo e lungi da me
voler insegnare a chi più di me sa e fa in vigna.
di alcuni vignaioli che vedono nell’irrigazione una pratica che in
qualche modo incida sull’andamento naturale degli eventi e, quindi,
dell’annata dando vita a vini che non saranno più specchio fedele al
100% di quel terroir, ma mi chiedo se sia più naturale lasciare che
una pianta soffra fino a produrre poco, male ed a rischiare di non
produrre più o intervenire per quel minimo indispensabile che
occorra non per sopraffare la naturalità dell’andamento dell’annata,
bensì per permettere il raggiungimento di una qualità che quel
terroir può e sa dare in maniera spontanea e costante, se posto
nelle condizioni di farlo…
più bella espressione del lavoro di squadra fra Natura e uomo e
credo che l’uomo abbia dalla sua la capacità di comprendere e di
evolvere, di agire di conseguenza purché con rispetto ed equilibrio.
dovrebbe ragionare sulla dislocazione dei vigneti, non sempre dove “dovrebbero essere” specie con questi cambiamenti climatici in atto, sulle pratiche agronomiche come la defogliazione (quest’anno più che mai l’apparato fogliare è stato importante nel non “succhiare” nutrimento prima con una defogliazione preventiva e nel proteggere dalle scottature poi lasciando una buona copertura della parete verde) o il diradamento (in un’annata come questa lasciare un grappolo per pianta “per partito preso” difficilmente coincide con l’equilibrio della pianta, quindi del grappolo e successivamente dei mosti) e non ultimo sulla scelta dei portainnesti, fatta in molti casi
con un po’ di superficialità indotta da condizioni pedoclimatiche
che sembrano potersi permettere apparati radicali meno forti e
ficcanti. Anche in questo caso, lancio uno spunto e mi nascondo per
evitare di dover giocare a battaglia navale con i nomi dei
portainnesti che ho avuto modo di conoscere nell’ultimo periodo
(invidio gli agronomi per la loro memoria, io sono una frana!).
relativo alle lavorazioni del terreno, volte ad un maggior
contenimento dell’umidità nel sottosuolo in annate calde e secche e ad evitare compattamenti e ristagno in annate piovose.
Curioso, ma fisicamente auspicabile, il fatto che quest’anno terreni
non sempre considerati fra i più “vocati” alla qualità come
quelli prettamente argillosi stiano dando i risultati migliori in
quanto capaci di una maggior ritensione idrica.
debbano essere rivolti alla vigna, prendendo atto dei cambiamenti
climatici che stanno investendo, nello specifico, la nostra penisola
e cercando di confrontarci con tutte quelle tecniche agronomiche che
possano permettere alla vite di mantenere una sua naturale evoluzione
. L’irrigazione di soccorso non deve diventare un must have e non se
ne deve di certo abusare, utilizzando a calendario, compiendo così
l’errore che molte aziende fanno coi trattamenti, ma se il principio
primo della viticoltura, specie di aziende medio-piccole, resterà
quello di fare qualità, o si abbandonano certi areali o si cercano
soluzioni per portare a compimento anche annate così difficili.
devono coincidere con una maggior ecosostenibilità che bandisca
sistemi dannosi per chi fa vigna, per chi beve e persino per chi la
vigna la guardi soltanto, come il diserbo chimico e che riduca al
minimo l’intervento dell’uomo in cantina. Credo superata e di poco
interesse, ormai, la dialettica intorno a solfiti, lieviti ed
additivi, in quanto ogni produttore è libero di fare il proprio vino
e di dimostrare attraverso il bicchiere e la sua personalità la
bontà delle sue scelte e del suo fare. Confido che tutto questo
darsi contro abbia fatto riflettere molti e che possa portare da un
lato ad una produzione sempre più orientata al rispetto e
dall’altro ad una maggior consapevolezza e ad un approccio più
esigente (in termini di informazioni) da parte di chi distribuisce e
chi compra vino.
dobbiamo dimenticare la sostenibilità! Sì, la sostenibilità economica aziendale che non può non tener conto del fatto che fare vino sia la
fonte primaria di reddito e quindi di sostentamento per la maggior
parte di produttori. Produttori che, se è vero che conoscono “le
regole del gioco” e sono pienamente consapevoli della possibilità
di perdere in parte o in toto la produzione annuale a causa di
condizioni climatiche avverse (quest’anno, in alcuni casi la combo gelate, siccità e grandine è stata davvero micidiale!), patologie della vite o altro (non ultimi cinghiali, caprioli, istrici che decimano i raccolti), credo
abbiano il diritto di poter correre ai ripari per ovviare almeno ad
uno dei problemi che potrebbero diventare una costante in alcune aree
d’Italia, come quello della siccità. Il tutto, ovviamente, va tarato anche in base al sistema di allevamento, all’età delle piante e, non ultimo, al vino che si desidera produrre (io mi riferisco in particolare a vini secchi, con un auspicabile equilibrio fra acidità, morbidezza e concentrazione).
Se qualcuno non vorrà bere
vino prodotti da vigneti irrigati sarà libero di farlo, ma
pretendere che un produttore metta a rischio la propria attività e
non cerchi quanto meno di tirare i remi in barca in annate complesse
come questa, denigrandolo per una scelta che ben poco ha a che fare
con l’interventismo chimico in vigna e cantina, mi sembrerebbe
davvero irrispettoso.
attorno ad un concetto tanto grande quanto ragionevolmente semplice,
ovvero quello dell’equilibrio, quindi il mio auspicio non è quello
di vedere l’80% dei vigneti irrigui come da recenti stime sembrano
esser quelli del “Nuovo Mondo”, ma di avere un approccio più
cosciente nei confronti di tutto ciò che può aiutare un vigneto a
non depauperare la sua vitalità e le sue qualità. Girare fra le
vigne e vedere piante che sembravano tirar fuori la lingua come
un’Husky in centro a Roma a mezzogiorno con 40°C, non è un bel
vedere e non mi capacito di come far soffrire fino allo stremo una
pianta possa coincidere con una gestione “naturale” della stessa.
L’acqua è il principio di tutto ed ho visto danzare sotto la pioggia
più di un vignaiolo quest’anno, per poi vederlo ripiombare nella
secca e seccata desolazione nel rendersi conto che quel piccolo
temporale estivo era evaporato ancor prima di poter essere assorbito
dalle piante. Come ho visto vigneti dai quali provengono fior fiori di “grandi” vini non disporre di impianto di irrigazione, ma procedere con irrigazione forzata con tanto di cannoni spara acqua modello “come se non ci fosse un domani”.
tanto e che la vite sia un grande esempio di forza, tenacia e
resilienza, ma non mi sento davvero di biasimare chi dopo quest’anno
vedrà l’irrigazione di soccorso (tra l’altro consentita nella
maggior parte delle denominazioni ed anche nel bio)
spero di non vedere impianti di irrigazione in vigneti ormai vecchi,
che hanno sviluppato una resistenza ed una capacità di adattamento
che portano alla produzione di vini maggiormente espressivi e,
spesso, dalla complessità più spiccata, cosa che verrebbe inficiata
dall’irrigazione. Ci tengo a dire, però, che in alcune zone
quest’anno i vigneti più vecchi, in terreni maggiormente vocati (me
ne viene in mente uno fortemente calcareo) hanno sofferto così tanto
che dubito possano portare a produzioni di vini “cru”. Questo,
però, è plausibile in quanto da certi vigneti e da taluni vini mi
aspetto produzioni di nicchia solo nelle annate più consone alla
qualità ed all’espressione spontanea di quella singola parcella.
Ah, dimenticavo, visto che qualcuno mi ha chiesto di esprimermi sull’annata 2017… vi dico semplicemente, che parlare di vini che nella maggior parte dei casi ancora non hanno visto vendemmiare le proprie uve è qualcosa che mai mi sognerei di fare!
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