Enzo Pontoni e la Cantina Miani – Vini rari come raro è il Vignaiolo

Il mondo del vino è pieno di leggende, di quelle che di bocca in bocca, di penna in penna, cambiano, vengono enfatizzate, a volte travisate e stravolte. Nel mondo del vino, però, esistono soprattutto storie! Storie di uomini e di donne, di territori e di vigne ed ovviamente storie legate al vino stesso.
Quella che vi racconterò oggi è una storia che ha assunto i toni della leggenda, ma che non ha – per nostra fortuna – avuto modo di essere snaturata, perché così intrisa di semplicità e di verità, che sarebbe stato impossibile fraintenderne i principi e divulgarne una versione distorta.
Enzo Pontoni – Miani
Il protagonista di questa storia è Enzo Pontonivignaiolo, artigiano della terra e della vite… un contadino, come ama definirsi lui e come amerò definirlo io, più volte, in questo fiume di parole, di impressioni ed emozioni che sto per condividere con voi.
Partiamo dal principio: Enzo Pontoni è stato un metalmeccanico, come tanti – o forse no, dato quel che è riuscito a fare… -, che per motivi personali, non in giovanissima età, ha deciso di lasciare la sua precedente attività per dedicarsi anima e corpo alla vigna ed ai suoi vini.
Mi piace pensare ad Enzo Pontoni come ad un anti-personaggio, perché uomo schivo, riservato, difficile da trovare nella sua cantina, non perché se la tiri – passatemi il termine -, ma perché lavora “tutto il giorno” in campagna ed è poco incline alle visite.
Un uomo mite ma sicuro, una mente nitida, dalle idee terse come il cielo del giorno in cui sono stato a trovarlo nei Colli Orientali del Friuli, più precisamente a Buttrio, presso quella che è la dimora dei suoi vini, la cantina Miani.
Tornando all’”anti-personaggio”, in realtà, per chi di voi non lo sapesse, in molti hanno provato a far diventare Enzo Pontoni un personaggio di spicco dell’enologia italiana e globale, tanto che i suoi vini spiccavano su motori di ricerca enoici come wine searcher tra i più costosi e rari al mondo ed importanti riviste, siti e blog ne hanno tessuto le lodi. Eppure, Enzo è rimasto fedele alla sua dedizione al lavoro in vigna, al suo essere contadino, ma al contempo ha preferito accrescere la propria cultura tecnica-enologica studiando e assaggiando – ho capito molto del suo garbo e della sua idea di vino dopo aver scorto bottiglie vuote di grandi Borgogna e barolo adagiate su una mensola, in alto, nel suo ufficio.
Il suo Refosco Calvari è, ancora oggi, una delle bottiglie più ricercate tra gli appassionati e ha raggiunto cifre seconde solo a grandi nomi del gotha del vino italiano e mondiale, ma a testimonianza della sua totale noncuranza delle dinamiche commerciali e mediatiche quando iniziamo a parlare di questo suo grande vino, con grande leggerezza e schiettezza Enzo dice “Il Calvari non lo produco più da qualche anno, perché io vinifico solo per singola vigna e quel vigneto ce l’avevo in affitto… il proprietario l’ha venduto ed io non avevo interesse nell’acquistarlo. Ho preferito dedicarmi ad altri vigneti”.
In questo aneddoto che saprebbe un po’ di follia per la stragrande maggioranza dei produttori risiede una peculiarità dell’uomo e del vignaiolo in questione, ovvero la sua continua ricerca di “sfide” con sè stesso, con la terra e con la singola pianta, ma soprattutto la volontà di creare il vino più buono per sé e per quei pochi che avranno modo di berlo. Sì, perché ad oggi la produzione di Enzo Pontoni non supera le 12000 bottiglie annue, pur gestendo più di 15 ha. Questo perché un’altra delle particolarità dei vini Miani, oltre al provenire tutti da una singola vigna, è la resa bassissima che Enzo “impone” alle sue piante, ma senza forzature, cercando piuttosto un equilibrio della vite, ceppo per ceppo, in base alla sua conoscenza di quella parcella ed alla sua spiccatissima sensibilità agronomica.
Tutto questo fa riflettere, comunque, sui tanti – spesso giusti – preconcetti legati al branding ed all’influenza dell’etichetta sul prezzo di un vino, in quanto per una volta un vino ed il lavoro di un vignaiolo sono stati riconosciuti sia dalla critica specializzata, che dai media indipendenti che, e soprattutto, dal mercato per la sola qualità intrinseca.
Fatta questa premessa, torniamo alla mia visita in cantina…
Era da molto che tra i miei desideri enoici figurava quello di conoscere Enzo Pontoni in quanto esponente di una razza ormai quasi estinta di pragmatisti del lavoro capaci di infondere nella pratica non solo consapevoli valori tecnici, ma anche e soprattutto valori atavici che tanto sanno di verità e poco di pseudo-filosofia. Scusate, mi sono appena riletto e sembrava volessi farvi una sorta di supercazzola! Per farla breve, Enzo Pontoni è il vignaiolo e l’articolo determinativo non è casuale!
Eccomi, finalmente, presso la cantina Miani che rispecchia in tutto e per tutto la indole di Enzo e la sua predilezione nei confronti di una razionalità minimale e votata all’ottimizzazione del lavoro artigiano del fare vigna e del fare vino piuttosto che alla comunicazione. Un piccolo ufficio, senza tanti fronzoli, in cui è accampato un vecchio pc che lo stesso Enzo mi confida di utilizzare molto poco – un onore per me sentirlo ricordare il mio nome, appreso da una mail -, un piazzale anonimo divide la struttura dell’ufficio da quello che ha tutta l’aria di essere una rimessa di mezzi agricoli (che poi scoprirò essere stati progettati in parte dallo stesso Enzo), ma che in realtà nasconde “antri e sotterranei” nei quali fermentano e maturano i vini Miani.
Cantina Miani
La mia curiosità era palpabile e dopo qualche attimo di impasse, per mia fortuna, è Enzo a pronunciare le paroline magiche “andiamo ad assaggiare qualcosa di sotto!”. E’ così che ha inizio una delle mie esperienze enoiche più intense e qualitativamente elevate della mia vita da amante spassionato del vino e di tutto ciò che gira intorno ad esso.
Nulla di scontato o di preventivato, una camminata fra le vasche dei bianchi 2016 prima e qualche assaggio da botte poi. Guardandomi intorno vedo solo piccole vasche inox, un paio in cemento e piccole botti di diverse tonnelerie di borgogna e bordeaux, il tutto nell’ottica di dare ad ogni singola parcella un contenitore ideale, scelto accuratamente da Enzo secondo la sua idea di vino e la conoscenza che ha di quel determinato vigneto. La volontà è quella di mettere l’uva a cui ha dedicato il 90% del suo lavoro nelle condizioni migliori per esprimersi in senso varietale e territoriale. Un sorriso appare sul volto calcato da tempo, sole e fatica, nel confidarmi che quella stessa uva, così tanto accudita e rispettata in vigna, una volta arrivata in cantina deve essere un po’ “trattata male”, per poter estrarre il meglio da ogni suo componente e specie dalla buccia.
Un “trattar male” che non prevede la legge del contrappasso, bensì un ricco dono aromatico in cambio, come si evince da ogni naso sentito ed ogni sorso fatto, dalla Ribolla ai Sauvignon, passando per il Friulano e lo Chardonnay.
Interessantissimo scoprire di assaggio in assaggio la diversità espressiva di ogni singola vigna (vigne dai quali nascono vini che portano i nomi dei toponimi Filip, Le Zitelle o Saurint ad esempio) che pur mantenendo integri i principi organolettici varietali danno origine a vini radicalmente differenti per intensità, complessità ed eleganza, avendo, però, come filo conduttore una spiccata sapidità minerale.
Darvi descrittori tecnici di vini ancora in fase di affinamento sarebbe riduttivo e poco sensato, ma la cosa che mi ha impressionato di più è stata la stabilità di questi vini, la loro torbida chiarezza. Vini che hanno insito il mistero del come saranno, ma che in realtà sanno già di poter essere grandi, se non addirittura grandissimi.
E’ con i rossi ed in particolare con il Refosco, però, che mi sono emozionato a tal punto da commuovermi segretamente come un bambino che prova vergogna nel mostrare gli occhi lucidi al padre dopo esser stato messo di fronte alla nuda verità. Enzo mi versa il primo, un naso esplosivo, un corpo prosperoso, sensuale ed un animo scuro, profondo, impenetrabile se non con grande sensibilità alla prospettiva. Mi emoziono, guardo Enzo ed esclamo qualcosa del tipo “Questo è un grandissimo Vino… che potenza straordinaria!” ed il vignaiolo mi fa “sì, quella vigna è così, ora assaggia questo!”. Vedo Enzo inserire “il ladro” in una delle barrique giusto un po’ più in là ed ormai con una reazione quasi involontaria porgo il calice iniziando a comprendere alcune differenze già dal modo in cui quel secondo Refosco si stagliava nel bicchiere. Lo guardo meglio, lo porgo al naso, lo assaggio pensando tra me e me che non avrei potuto trovare anche in quella barrique un’emozione liquida così forte…
Eleganza, finezza, verticalità e profonda lunghezza, con il ritorno di una sapidità che pensavo di non ritrovare nel suo Refosco dopo il primo assaggio. Un vino che per eleganza e profondità acida e minerale sembra strizzare l’occhio alle più nitide espressioni di Pinot Nero, Nebbiolo e Sangiovese. E qui, scusatemi, ma l’occhietto lucido c’è scappato.
Detto questo, Enzo Pontoni mi aveva dato un’oretta – tra l’altro solo grazie all’intercessione di un comune amico produttore con cui suole farsi un “taglio” (il tipico bicchiere di vino che si prendeva nelle tradizionali frasche friulane) -, dedicandomi quella che è solitamente la sua “pausa pranzo”, ma dopo 2 ore abbondanti eravamo ancora in cantina ad assaggiare con mia immensa gioia! Potermi confrontare – per lo più ho ascoltato ed annuito, dato che ogni mio pensiero veniva anticipato da una sua affermazione – con un uomo della sua cultura della vite e del vino e con le sue competenze enologiche (il tutto da autodidatta) è stato davvero impagabile!
Semplicità, schiettezza, nessun volo pindarico, nessuna favoletta, bensì lavoro, praticità e ragione il tutto intriso di grande sensibilità e di un raro rispetto per la vigna in senso stretto e la natura in senso lato… ecco cos’ho trovato quel giorno da Enzo Pontoni, oltre a vini potenzialmente grandiosi!
Concludo dando un po’ di speranza a tutti coloro che vorranno assaggiare i vini di Enzo Pontoni, condividendo con voi la mia personale parafrasi di un pensiero dello stesso vignaiolo che, penso, possa aiutarvi a capirne la personalità ancor più chiaramente:
“Sto pensando di produrre qualche bottiglia in più, senza snaturare la mia natura e senza crescere come cantina. Vorrei, però, avere più margine per dare lavoro ai giovani del luogo, perché sarebbe bello vedere un ritorno al lavoro in campagna delle nuove generazioni, specie oggi che il lavoro manca persino in città. Inoltre, vorrei poter lasciare un po’ della mia esperienza a chi in futuro potrà metterla in atto.”
 
Auguro a molti di voi di poterlo conoscere personalmente o attraverso i suoi vini, perché ne vale davvero la pena, enoicamente ed umanamente parlando! Io, stesso, dopo centinaia di incontri con vignaioli, enologi ed agronomi raramente mi sono sentito così arricchito lasciando una cantina.
 
 
F.S.R.
#WineIsSharing

Lascia un commento

Blog at WordPress.com.

Up ↑