Le Potazzine di Gigliola Giannetti – Montalcino in purezza

Nel mio girovagar enoico cerco sempre di scoprire “nuove” – per me – terre del vino, “nuove” cantine e di conoscere produttori ancora a me ignoti, eppure ci sono realtà in cui non riesco a fare a meno di tornare almeno una volta l’anno, per constatarne l’evoluzione e/o per poter scambiare quattro chiacchiere davanti ad un buon bicchiere di vino, magari spillato direttamente dalla botte, con chi quel vino lo fa.
Una di queste realtà è, senza ombra di dubbio, la Cantina Le Potazzine a Montalcino, che da anni seguo con grande attenzione ed incessante curiosità.
Nonostante alcuni cambiamenti all’interno dell’azienda, la mia ultima visita è stata molto simile a tutte le altre fatte negli ultimi 4 anni, perché ad accogliermi c’era ancora una volta Gigliola Giannetti, regina indiscussa di questo piccolo grande regno.  Una regina che della corona se ne fa ben poco e che ha sempre difeso i principi piuttosto che le “cose”, ma di questo ne parleremo più avanti.
Se non cambia Gigliola l’idea di vino de Le Potazzine non cambierà mai, ma se proprio dovessimo giocare al gioco “trova delle differenze” potrei segnare con la penna una piccola ma nitida differenza, sia col recente passato sia con la situazione constatata in altre zone d’Italia e tutti questi cambiamenti li ho potuti scorgere durante una breve camminata fra i vigneti che circondano la cantina: lavorazioni del terreno in senso stretto e dei vigneti in senso lato che danno subito l’idea di una sempre più concreta e convinta conduzione in regime biologico, con alcune pratiche riconducibili all’accezione più razionale e ragionevole della biodinamica, che si traducono in vigneti che, nonostante l’annata calda e siccitosa, versavano in grande salute mostrando, fieri, uve di indiscussa “bellezza”. Questo anche grazie all’apporto agronomico di Ruggero Mazzilli, sensibile agronomo non interventista ed all’altitudine dei vigneti che pone quest’azienda, insieme ad altre con vigneti “in alto”, in una condizione di vantaggio nei confronti di annate sempre più torride e quindi degli effetti del global warming.
Sia chiaro, a Le Potazzine il vino si è sempre fatto in maniera iper-rispettosa con una conduzione accorta in vigna e con quelle che alcuni chiamerebbero “vinificazioni naturali” in cantina, ma la volontà di applicare in maniera ancor più centrata e consapevole pratiche agronomiche atte ad enfatizzare il potenziale di varietale, terreni ed annata mi ha entusiasmato e non poco!
Questo perché se è vero che “non si smette mai di imparare” è pur vero che in talune realtà, specie in terre come Montalcino, è facile adagiarsi sugli allori e smettere di ricercare modi per compiere ulteriori step in avanti, ma questo non è lo stile di Gigliola e non è lo stile de Le Potazzine. Qui l’asticella non si alza ad ogni vendemmia, ma ad ogni alba e lo sa bene Viola, primogenita di Gigliola – la prima Potazzina per intenderci! – che sta entrando sempre più attivamente nelle dinamiche dell’azienda con la consapevolezza di poter fare molto e di dover fare sempre di più perché il potenziale suo e di questa cantina.
Per chi se lo chiedesse il nome “Le Potazzine”, cinciallegre nell'”idioma” locale, deriva proprio dal nomignolo con il quale nonne e genitori ilcinesi chiamavano le proprie bambine, proprio come è accaduto a Viola e Sofia. Due “bambine” che ormai sono divenute giovani donne che hanno ereditato dalla mamma dedizione, tenacia e grande umiltà. Basta guardarle a lavoro, non solo in cantina, ma anche nella vineria che l’azienda possiede nella piccola piazza di Montalcino – dove almeno una volta nella vita ogni winelover dovrebbe passare – per comprendere quanto Gigliola e le sue Potazzine non temano il lavoro, riuscendo a far sembrare semplice e naturale anche la più stressante delle fatiche. 
In molti ormai conoscono Le Potazzine attraverso il vino ivi prodotto, ma non sono così tanti a conoscere bene le dinamiche legate ai risultati raggiunti negli anni da questa cantina. Io, da par mio, mi ritengo un privilegiato ad aver avuto modo di seguire la recente storia aziendale, enoica e personale di una perla rara come questa e c’è una cosa che non è mai cambiata e sono certo mai cambierà, ovvero la convinzione di Gigliola di poter fare grandi vini solo e soltanto rispettando il territorio ed il Sangiovese grosso attraverso l’approccio in vigna e la tradizione del Brunello di Montalcino lavorando in sottrazione in cantina.
Fermentazioni spontanee, nessun controllo della temperatura – in una cantina che lo permette – e solo grandi botti di legno contribuiscono alla trasformazione delle uve prodotte in annate differenti in un prodotto che porti scritto nel suo DNA proprio quelle diversità, ma senza rinunciare in alcun modo a pulizia, finezza ed equilibrio. Un’eleganza mai snob e mai “cosmetica” quella del Brunello di Montalcino delle Potazzine.
E’ proprio da quelle grandi botti che ho avuto modo di veder spillare assaggi di annate ancora in gestazione come la 2014, la 2015. Neanche a dirlo, nonostante l’estrema qualità della 2015 e della futura Riserva che anelano alla perfezione, è la 2014 a lasciarmi letteralmente esterrefatto con un look da “pinot nero”  che già ne dimostra l’identità temporale ed un tannino da “Nebbiolo” che, invece, sembra farsi beffe di un’annata così “scarica”, fredda e piovosa, mostrando quella parte di anima che a differenza degli uomini, il Sangiovese non ha solo insita in sè ma anche a protezione del suo polposo nucleo.
Un vino di una finezza straordinaria, capace di porsi in maniera antistante dalle altre annate e dagli altri vini prodotti in questa cantina, eppure con un fil rouge di equilibrio espressivo e di naturale eleganza che subito ne ricolloca i natali a in questo luogo ed in questo tempo.
Non vi anticiperò nulla sulla 2013, perché avremo modo e tempo di parlarne tra non molte settimane, ma vi parlerò nuovamente della 2012, che ad ogni assaggio mostra un’evoluzione di grande prospettiva.
vino le potazzine montalcino
Brunello di Montalcino Le Potazzine Docg 2012: i vigneti dell’azienda sono quelli in
località Le Prata, esposto a sud-ovest ad una altitudine slm. di
500m e La Torre con una esposizione sud-est a 320 slm, con esposizioni, terreni ed altitudini differenti che permettono di trovare sempre la quadra anche in annate calde come questa.
Ancora una volta ciò che colpisce a primo naso è il raro connubio fra la più sincera
espressione varietale ed una complessa ed intrigante finezza, di quelle “vedo non vedo” che tanto fanno aggrovigliare ed intricare i neuroni di chi dal vino vuole essere sempre messo alla prova. Il sorso è fresco e dritto, nonostante la corposa ampiezza dell’annata, ma è ancora una volta la minerale sapidità a tendere la beva ed a renderla inerziale. A questo Brunello  non occorre lo sfarzo del Barocco, ma ama puntare al cielo, nella sua verticalità gotica.
Annata,
territorio e concetto rispettati in toto.

Rosso di Montalcino Le Potazzine Doc 2015: fratello minore del Brunello? Forse sì o forse sarebbe il caso di contemplare il Rosso di Montalcino in una sezione a parte nello scaffale dei grandi classici ed in casi come questo nella categoria ancor più ristretta dei “grandi autori”. Questo perché rossi di Montalcino come questo hanno una vita propria e meritano un’esistenza scevra da costanti paragoni con chi nasce da uve da maratona e segue un allenamento da maratoneta, a differenza del rosso che può nascere da uve da velocista o da mezzofondista, seguendo un “training” improntato sulla forza esplosiva o su forza, dinamica di corsa e resistenza allo sforzo. Quest’ultimo è il caso del Rosso di Montalcino de Le Potazzine da sempre, ancor più in una 2015 capace di mostrarsi già brillante e performante ma che allo stesso tempo fa percepire potenzialità ben di ben più ampia prospettiva.

Parus IGT Toscana Rosso Le Potazzine 2015: altro giro altro Sangiovese in purezza, ma stavolta solo e soltanto acciaio, per mantenere integri frutto e freschezza di un varietale unico nel suo genere. Un vino che “scrocchia” già dal naso con il suo frutto fresco e croccante, ma che da il meglio di sé sin dal primo sorso con una beva di disarmante disinvoltura, eppure mai scontato. Un vino pronto potreste pensare… ed avreste ragione solo a metà, perché assaggiando una 2013 ci si rende conto di quanto sia insista nel sangiovese ed ancor più in quello coltivato a Montalcino, specie se in vigne come quelle de Le Potazzine, la naturale vocazione a stupire nel tempo senza cedere il passo alla stanchezza, bensì sviluppando un notevole portamento.

La differenza primaria fra le piccole aziende vitivinicole e le grandi aziende produttrici di vino: le prime sono legate imprescindibilmente alle dinamiche umane di chi le gestisce e lo sono così tanto da poter subire duri colpi dai cambiamenti che avvengono in quelle stesse vite, ma al contempo possono trarne nuova linfa vitale cercando ulteriori forme di progresso, senza dimenticare ciò che di buono si sia fatto in passato. E’ questo ciò che ho trovato a Le Potazzine: la volontà di fare ancor di più e meglio – per quanto già si facesse bene – in vigna, senza cambiare nulla in cantina, se non un sempre più valido e concreto apporto di Viola e la scelta di un enologo che al Sangiovese da del “tu” come Paolo Salvi, allievo dell’indimenticato “Bicchierino”, ovvero Giulio Gambelli “gran maestro del Sangiovese”.
A prescindere da persone e cambiamenti, il vino de Le Potazzine è sintetizzabile in un concetto che Gigliola non ha mai smesso di ripetermi dal primo giorno in cui l’ho incontrata nella sua cantina, “qui il vino lo fa la vigna e noi dobbiamo essere solo bravi a non sciuparlo, cercando di rispettare territorio, uva e quindi di interpretare al meglio l’annata”.
Il supporto che chi enologo ed agronomo possono dare è solo in funzione di una sempre più nitida e rispettosa espressione di un terroir in cui c’è tanto di chi in questa azienda ha creduto sin dall’inizio, non cedendo alle mode passeggere e non vendendo “l’anima al diavolo”, continuando a fare grandi Sangiovese in purezza su tutti i fronti, dal Brunello al Rosso passando per l’IGT. Sì, in questa realtà c’è tanto di Gigliola Giannetti, della sua forza d’animo e della sua grande umanità e nei suoi vini non mancherà mai la finezza di chi sa cosa fare ed ancor più cosa non fare per ottenere un grande Sangiovese.
Concludo con un in bocca al lupo a Viola che da Potazzina ora può e deve spiccare il volo, dando il suo contributo sempre più concreto in azienda.

F.S.R.


#WineIsSharing

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