Io sono “strano”, spesso è difficile persino per me stesso capire cosa voglio, per questo cerco di delegare il meno possibile, eppure questa volta mi sono lasciato guidare. Sì, l’ho fatto perché la meta del viaggio enoico che vi racconterò è una di quelle zone in cui sono riuscito ad andare meno negli ultimi anni, pur avendo modo di conoscerne e riconoscerne le potenzialità attraverso assaggi ed incontri con numerosi produttori locali.
A tavola ho voluto ritrovare e conoscere tutti i produttori coinvolti in questo mio tour dell’Oltrepò Pavese ed il colpo d’occhio delle persone e dei vini che ognuno ha voluto condividere a cena già diceva molto sulla varietà di identità, di generazioni e di idee di vino in campo. Giovani e meno giovani, convenzionali, biologici e biodinamici, micro-aziende ed aziende più grandi, tutte unite nel voler far conoscere la propria terra e nel mostrare e dimostrare che lo screditamento enoico generale e generalizzato causato da eventi infausti non ha affossato tutto l’Oltrepò e che c’è una grande voglia di rivalsa, di rinascita su tutti i livelli. La volontà che è emersa quella sera a cena e che mi accompagnerà per tutto il viaggio è quella di una terra antica che sa rinnovarsi, di un manipolo di produttori che non ha mai smesso di anelare alla qualità, senza ungere gli ingranaggi di dinamiche malate e senza prostrarsi passivamente ad un mercato cattivo demiurgo.
Il mio viaggio fra i vini tipici del territorio come Bonarda, Buttafuoco, Cruasé e Sangue di Giuda, nonché tra i vitigni autoctoni ed alloctoni più diffusi come Barbera, Croatina, Uva Rara, Ughetta (o Vespolina), Moscato, Riesling Italico e Renano, Pinot Nero, partirà proprio da lui, da Gianluca Cabrini, un giovane vignaiolo come giovane è la sua cantina, nonostante gran parte dei vigneti non lo siano affatto!
Tenuta Belvedere: siamo a Montecalvo Versiggia, presso la Tenuta Belvedere, una cantina nata dal volere di Gianluca di riprendere in mano le vigne della famiglia di sua moglie ed iniziare a produrre vini che fossero il più rispettosi possibile, in una terra difficile, ma altamente vocata. È proprio quest’amore per la terra, unito alla voglia di rifuggire il “logorio della vita metropolitana” milanese, a fungere da stimolo per la nascita e lo sviluppo della cantina. Credo di non fare torto a nessuno pregiandomi del vanto di aver intuito in tempi non sospetti, nonostante innumerevoli difficoltà – non dovute ad incuria di Gianluca, ma al fato avverso -, le qualità della persona e del vignaiolo, ma la più grande soddisfazione è vedere i suoi vini essere apprezzati da molti appassionati e addetti ai lavori. Io ho trovato molto divertente ma per scontato il metodo ancestrale WAI, tutto freschezza e spensieratezza, ma è il Riesling Renano 2014 affinato in tonneau di acacia a confermarsi il vino più promettente dell’azienda. Molto territoriali la Croatina e la Bonarda, ma l’attesa freme per il nuovo Metodo Classico che verrà sboccato tra qualche mese. Questa era una delle aziende che già conoscevo e non posso che apprezzarne la notevole evoluzione sia nella consapevolezza del vignaiolo che nella maturità e nella pulizia dei vini prodotti.
Tenuta Scarpa Colombi: location stupenda, datata fra il 1600 ed il 1700, costruita sulle rovine di un antico castello, di quelle in cui si fa fatica, a primo acchito, a pensare al lavoro. Una mera illusione che viene subito dissolta da un uomo che del lavoro fa la sua ragion d’essere. Parlo di Roberto Colombi, uno di quei produttori che sembrano avere 8 braccia, 2 teste e 100 cuori tanta è la mole di lavoro che riescono a gestire da soli e tanta è la passione che riversano in ogni litro di vino da essi prodotto. Con la vendemmia agli sgoccioli, tini da svinare e mosti in fermentazione la sua attenzione io e la cantina – com’è giusto che sia – ci giocavamo le sue attenzioni, ma nonostante ciò, Roberto mi ha mostrato vigneti più che in forma ed una cantina che non manca di nulla, finendo con l’assaggiare insieme i suoi vini, tra i quali spiccano i metodo classico base Chardonnay ed il Pinot Nero con li quale ci siamo spinti indietro nel tempo senza timore, scoprendo insieme una 2005 da capogiro che roteandolo nel calice non sembrava fare i soliti archetti, bensì pareva scrivere “anche in Oltrepò si può fare!”. Sono molto molto colpito da ciò che Roberto da solo riesce a fare nella sua cantina, specie dopo aver saputo che ne gestisce anche una in Piemonte, zona Nizza-Monferrato. Instancabile! Mi rincresce non esser riuscito ad assaggiare anche il Sangue di Giuda, in quanto altro vino più che tipico della zona, ma ci sarà modo e tempo per rifarmi.
Piccolo Bacco dei Quaroni: piccola realtà, a conduzione veramente familiare, nella quale è più facile sentirsi come a casa che in una cantina. Sì, ma solo restando nel delizioso agriturismo di proprietà, perché una volta arrivato nei vigneti di Riesling Renano e Pinot Nero la musica è cambiata e di “brutto” anche! Vigne difficili, di quelle che puoi provare ad educare quanto vuoi, ma serberanno sempre e comunque una propria indole selvaggia, nell’accezione più “naturale” del termine. E’ proprio questo gioco di connubi e contrasti fra libertà e controllo, fra spontaneità ed eleganza che rende davvero interessante ogni vino prodotto da questa piccola cantina di Montù Beccaria. Il Riesling 2013 assaggiato in una mini verticale di 3 annate si è dimostrato a dir poco straordinario… uno degli assaggi più interessanti dell’intero viaggio. Di sicuro tornerò a trovare questa famiglia, ma soprattutto continuerò ad assaggiare i loro vini palesemente in fase di ascesa.
Azienda Agricola Bisi: ci spostiamo a San Damiano al Colle, dove mi aspetta Claudio Bisi. Pronti, via! Siamo già in vigna, dove Claudio ci tiene a focalizzare la visita sull’estrema ricerca dell’identità territoriale che si rispecchia nella scelta dei vigneti e nell’impianto dei vitigni – principalmente Barbera e Croatina, ottime nelle loro interpretazioni in purezza – più adatti a quelle condizioni pedoclimatiche. Questa è la linea che l’azienda ha sempre portato avanti. Ogni vigneto è gestito e coltivato direttamente con metodi accorti, ma rispettosi del territorio e della tradizione. Lo stesso vale per le uve, che vengono raccolte e selezionate, per poi essere immediatamente vinificate secondo i ritmi biologici di maturazione. L’obiettivo è quello di tradurre la più classica tradizione oltrepadana in una produzione di qualità e di grande identità. La massima espressione di questo concetto si ha nel vino “Senzaaiuto” prodotto – come dice il nome stesso – dalle uve barbera di un vigneto condotto ad inerbimento spontaneo, scevro dall’uso di diserbanti e/o dissecanti, con pratiche agronomiche manuali. La fermentazione è spontanea e le follature sono eseguite manualmente. Il vino riposa sui propri lieviti in serbatoi di acciaio inox per un affinamento ed una chiarifica naturali. Non subisce nessuna pratica enologica atta a modificare le caratteristiche originali: non è stato tolto nulla. Non è stata fatta nessuna filtrazione, nessuna chiarifica, nessuna stabilizzazione forzata. Non è stato aggiunto nulla, non sono stati aggiunti solfiti di sintesi ne altri coadiuvanti o additivi. Segnalo anche il Calonga, un’elegante interpretazione di Pinot Nero e sempre nell’ottica della ricerca di una spiccata identità territoriale l’Ultrapadum, bonarda rifermentata in bottiglia alla stregua delle bonarda tradizionali.
Bruno Verdi: a guidare l’azienda oggi è Paolo Verdi esponente della settima generazione di viticoltori della famiglia Verdi, che dall’800 lavora queste terre con passione, rispetto e costanza. Come chiedo – e spesso vengo accontentato – sempre, anche questa visita parte dalla vigna, ma non da una vigna qualunque, bensì dal vigneto Cavariola, divenuto celebre in quanto il suo nome è il nome del vino da esso prodotto sin dal 1980. Al romanticismo del cancellino in ferro battuto che oltrepassiamo per entrare succede subito la positiva fatica che si fa nel salire quella ripidissima salita sulla quale si stagliano i filari in parte ancora del vecchio impianto ed in parte rinnovati. Bellissimo, a pochi minuti da questa intensa passeggiata in vigna, ritrovarsi nel calice proprio il il “Cavariola” Oltrepò Pavese Rosso Riserva DOC (croatina 55%, barbera 25%, uva rara 10%, ughetta di canneto 10%) di varie annate (compresa un’eccezionale ’99 in magnum che mostra la longevità di questi vini). Un vino tra più noti di tutto l’Oltrepò che, pur non riportandolo in etichetta, rispecchia in pieno il blend tradizionale del Buttafuoco. Molto validi anche i Metodo Classico, con il Vergomberra Dosaggio Zero 46 mesi a colpire particolarmente per intensità ed eleganza. Un riferimento assoluto per l’intero territorio in termini di qualità e lungimiranza. Vini tecnicamente ineccepibili, capaci di stupire oggi e nel tempo per integrità e personalità.
Colle del Bricco: torno con piacere a Stradella da Matteo Maggi, giovanissimo vignaiolo che fa parte di quella nouvelle vague di piccoli ed intraprendenti produttori sempre in grado di stupire con la propria passione per il lavoro e la propria dedizione alla terra. Scelte controcorrente per Matteo, che crede come i suoi avi e più della maggior parte dei produttori odierni, nel Riesling italico che, neanche a farlo a posta, nella sua interpretazione non risulta così dissimile dal più noto fratello maggiore del Reno, specie con qualche anno di bottiglia. Il suo Khione ha un naso fresco e divertente da giovane per poi tendere a nitide sfumature minerali con l’evoluzione in vetro, ma è il sorso a regalare grande slancio verticale ed una profondità inattesa da un italico. Impressionante per struttura e potenza la sua Bonarda Makedon. In generale, un’azienda in crescita costante diretta da un giovane sempre più consapevole dei suoi mezzi. Io continuerò a seguirlo e sono certo che non mancherà di stupirmi ancora. Matteo sta sperimentando anche un Metodo Classico base Riesling Italico e sono certo che saprà trarne qualcosa di fuori dagli schemi.
Anteo Vini: siamo a Rocca de’ Giorgi, in un’azienda tanto cara all’indimenticato Gino Veronelli: Anteo. Una tappa imprescindibile per comprendere a fondo l’Oltrepò nelle sue evoluzioni, involuzioni e piccole grandi rivoluzioni. Per avere un’idea concreta dell’importanza di questa cantina nelle dinamiche del territorio è bastato fare una passeggiata nei vigneti – oltre i 400mslm e molto ricchi di calcare attivo – che circondano l’azienda, partendo da quelle parcelle che per prime hanno ospitato un impianto di Pinot Nero in Italia a metà dell’800. Molto positivo l’opportuno contrasto fra la conoscenza tecnica e la consapevolezza enologica atte alla produzione, per lo più, di vini spumanti ed una conduzione delle vigne molto tradizionale, con inerbimento perenne da sempre, nessun diserbo e solo rame e zolfo per quanto riguarda i trattamenti.
Una delle due realtà che per prime hanno creduto nelle potenzialità di questo territorio per la produzione di Metodo Classico, tanto da aver prodotto solo quello per diversi anni. Oggi l’azienda è guidata dai due fratelli Antonella e Ettore Cribellati, eredi di un pezzo di storia dell’Oltrepò e dell’Italia del vino, che ancora ha molto da dire e da dare a giudicare dalle bottiglie che riposano sulle pupitre nella monumentale cantina “cattedrale”. Tra gli assaggi spicca sicuramente la Riserva del poeta, un metodo classico complesso e di struttura ma che non lesina una beva fresca e dinamica. Molto interessante il Cruasé, che si lascia bere con piacevolezza, scevro della monotonia intrinseca ad alcune interpretazioni di “rosé” locali. Un viaggio attraverso tempo e territorio, fatto camminando fra le vigne ed assaggiando vini nella piena convivialità, con persone che hanno dato e daranno ancora molto all’Oltrepò.
Castello di Stefanago: l’ultima tappa del mio wine tour dell’Oltrepò mi porta verso Casteggio e più precisamente a Borgo Priolo, uno dei più bei borghi d’Italia, in cui sorge l’imponente Castello di Stefanago sede di una cantina che tutto meno che una di quelle aziende da “nobili” che vantano tanta storia, ma poca sostanza. Qui si lavora e si sperimenta (l’impianto del vitigno resistente Bronner ne è un esempio), si fa vino in maniera ragionevolmente pulita, ma con il massimo rispetto in vigna ed in cantina riducendo al minimo ogni intervento dell’uomo. E’ qui che i due “Country-Lords” del Castello, i fratelli Antonio e Giacomo Baruffaldi, non si dilettano, ma lavorano la propria terra ed il suo frutto con grande costanza e premura.
L’aria che si respira al Castello profuma di casa e sa di famiglia… nessuna sovrastruttura, bensì la giusta e vitale alternanza fra gioviale leggerezza e rigorosa operatività. Gli spumanti sono il fulcro della produzione aziendale e le vinificazioni sono tutte tradizionali, dai metodo classico ai tre ancestrali (anche nella versione Cruasé). E’ il Riesling Renano, però, il vino più rappresentativo dell’azienda e del suo potenziale in termini di identità espressiva e finezza nella pulizia al naso ed al sorso. Un vino, il San Rocco, che ho avuto modo di assaggiare in una degustazione verticale di 5 annate, tutte ancora in forma smagliante, specie per quanto riguarda le annate più fresche. Ad acidità e mineralità tipiche del varietale si aggiunge una forte personalità che rende il San Rocco un Riesling Renano d’eccellenza che, a differenza di molti altri, risulta riconoscibile e riconducibile al territorio ed alla mano del vignaiolo.
Forse la più intensa delle visite in cantina, culminata con una cena in famiglia di quelle che non dimentichi per il realismo dell’evento e la piacevolezza del confronto conviviale, ma a suo modo tecnico e centrato sui vini assaggiati e sull’enosfera in generale. Se capitate da quelle parti fate, prima di girare a destra verso il Castello di Stefanago, fermatevi a farvi spillare una birra artigianale dai giovani di casa Baruffaldi, che gestiscono il micro-birrificio Stuvenagh. Questo viaggio si conclude qui, nell’attesa di tornare per approfondire nuove terre ed altre realtà produttive, ma soprattutto di incontrare e rincontrare persone e vignaioli che si stanno davvero dando da fare per far tornare l’Oltrepò Pavese al lustro che gli compete.
Non mi resta che ringraziare ancora tutti i produttori ed in particolare Gianluca che ha dimostrato che, che dir se ne voglia, anche in Italia sappiamo fare squadra e che “volere è potere!”. Riunire vignaioli e produttori così eterogenei per una figura come la mia che di certo non potrà cambiare le sorti di un intero territorio con qualche parola scritta su di un wineblog, vale davvero molto per me e dovrebbe far riflettere anche altri produttori. Si passa sin troppo tempo a lamentarsi dell’immobilismo dei consorzi – spesso con tutte le ragioni del caso -, ma se c’è una cosa che la comunicazione contemporanea ed il mondo del vino odierno possono dare è l’opportunità a chiunque di parlare di sé e far parlare di sé senza un grande dispendio di energie, tempo e finanze. Organizzare un incoming, mostrare il proprio territorio a comunicatori italiani e stranieri può solo far bene a realtà che non devono far altro che far parlare le proprie vigne e i propri vini per scacciare ogni dubbio.
Di certo c’è che di qualità in Oltrepò se ne fa e se ne può fare ancora e che il fallimento delle grandi cantine sociali ha portato molti piccoli conferitori a tentare la strada della produzione di propri vini, creando un tessuto di vignaioli di ogni generazione votato alla riqualificazione dei vigneti e del proprio lavoro. C’è un’eterogeneità costruttiva, che può creare interesse ed i numeri non mancano per fare massa critica. E’ importante credere ancora nei vini tipici e nei vitigni storici, ma si possono fare grandi cose anche con il Metodo Classico e con le due bestie nere della viticoltura internazionale, ovvero Pinot Nero e Riesling Renano, sempre evitando meri scimmiottamenti di Borgogna, Alsazia e Mosella, ma cercando di far sì che su questi due nobili vitigni prevalga il territorio senza prevaricarne slancio ed eleganza.
Ultima cosa, ma non per importanza, è che l’Oltrepò, pur essendo uno degli areali vitati più grandi d’Italia, a differenza di altre zone, ha il vantaggio di potersi spostare in alto con le coltivazioni, là dove i cambiamenti climatici lo dovessero imporre.
Informazioni aggiuntive sull’Oltrepò Pavese
Ora potrei mettermi a parafrasare alcune pubblicazioni di cui ho fatto incetta durante il mio viaggio, ma sarebbe inutile e rischierei di fuorviarvi, quindi per vostra utilità riporto qui di seguito alcune informazioni tratte dai depliant e dai libri pubblicati negli ultimi anni dal Consorzio Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese.
Cos’è il Metodo Classico Cruasé? Cruasé è il marchio collettivo del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese che identifica l’Oltrepò Pavese DOCG Metodo Classico rosé che nasce dal Pinot nero del territorio che ne è il punto di riferimento italiano, con 3.000 ettari in produzione. Il nome del marchio nasce dalla fusione tra “cru” (selezione) e “rosé” (come il mosto rosa da cui nasce). Il percorso per arrivare al nome del nuovo prodotto simbolo dell’Oltrepò Pavese spumantistico, pura espressione rosa del Pinot nero, ha dato modo di riappropriarsi di un pezzo importante di storia locale. L’idea giusta per farlo è arrivata mentre il Consorzio stava lavorando sul concetto “naturalmente rosé” mai espresso in Italia come elemento distintivo, preferendo invece quasi sempre puntare su cuvée da uve bianche e rosse, da mosti o da vini. Cruasé è oggi il marchio collettivo di proprietà del Consorzio, normato da un apposito regolamento, a supporto del disciplinare Oltrepò Pavese DOCG Metodo Classico Rosé. Il regolamento per produrlo prevede una serie di parametri restrittivi che, comunque, partono dalla base del disciplinare: minimo 85% di Pinot nero, con la specifica di vitigno nella DOCG. Nel regolamento del marchio viene dato molto peso alla presentazione delle bottiglie e all’abbigliaggio, alla regolamentazione della base di partenza e all’affinamento. Cruasé non è una fredda invenzione del marketing, ma la veste moderna di un’antica tradizione vitivinicola lombarda e nazionale, incarnata dalla storia vitivinicola e spumantistica dell’Oltrepò Pavese. Un vino pensato per il canale HoReCa ma anche per il winelover di cultura che a un vino chiede qualità, emozioni e il racconto di un’evoluzione rispettosa della storia.
Dove si produce il Cruasé?
Le differenti vocazionalità territoriali prevedono la distinzione tra aree adatte alla vinificazione delle basi spumante e zone più idonee alla vinificazione del Pinot nero in rosso. Le varie delimitazioni sono state create analizzando i parametri climatici, pedologici e morfologici. Le aree più indicate per la base spumante sono caratterizzate da suoli con tessiture fini, localizzate prevalentemente in aree alte e fresche che risultano più piovose, con temperature più miti e con i maggiori balzi termici giornalieri.
La “zonazione” del Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese
Le unità territoriali del Pinot nero in Oltrepò Pavese si sviluppano ad altezze medio-alte, comprese tra i 200 e 550 metri, e sono caratterizzate da versanti con esposizione Est/Ovest. Le pendenze sono moderate. La suddivisione del territorio della DOCG Oltrepò Pavese in 6 differenti unità territoriali identifica le aree di coltivazione delle varietà Pinot nero in cui le prestazioni vegetative, produttive e qualitative si possono considerare sufficientemente omogenee e confrontabili, ha permesso all’Università di Milano di elaborare modelli di conduzione specifici per ogni unità territoriale realizzando delle schede contenenti dei consigli riguardanti sia le scelte di gestione del suolo e di gestione della parete vegetativa che le scelta genetiche (clone e portainnesto) integrate con i consigli enologici più appropriati in base all’obiettivo di vinificazione.
Nella “Guida all’utilizzo della denominazione di origine Pinot nero in Oltrepò Pavese”, data alle stampe dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese nel 2009, sono racchiusi i dettagli tecnico-scientifici di anni di ricerca e di studio, che stanno alla base della qualità delle produzioni Pinot nero a denominazione Oltrepò Pavese.
Io ne ho presa una copia cartacea, ma vi invito ad accedere al link ipertestuale per leggere la guida in formato ebook, in quanto l’ho trovata davvero ben fatta.
Denominazioni di origine dell’Oltrepò Pavese
– Docg: Oltrepò Pavese Metodo Classico; Cruasé, marchio collettivo consortile per la versione rosé;
– 7 Doc: Bonarda dell’Oltrepò Pavese, Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese, Casteggio, Oltrepò Pavese, Oltrepò Pavese Pinot grigio, Pinot nero dell’Oltrepò Pavese e Sangue di Giuda dell’Oltrepò Pavese; – Igt Provincia di Pavia.
Qui trovate tutti i disciplinari di produzione delle varie denominazioni di origine dell’Oltrepò Pavese: www.vinoltrepo.org/it/consorzio/download/.
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