lontano da dove sono nato e cresciuto che se fosse geolocalizzato in
regioni d’Italia e del mondo più floride a livello di notorietà
enoica sarebbe considerato, con buone probabilità, un “Grand Cru” per
via delle sue peculiarità pedoclimatiche uniche.
un vero e proprio blocco di Calcare che sembra esser stato scagliato
sulla costa adriatica da Dio o forse da Bacco con grande generosità
per gli occhi, per il turismo e, soprattutto, per la biodiversità
che questo angolo di paradiso marchigiano vanta.
che rende l’agricoltura in generale e la viticoltura sostenibili più
concretamente realizzabili che in zone in cui, ormai, la vigente e
imperante monocoltura rischia di rendere “sterile” la ricchezza
di flora e fauna fondamentale all’equilibrio che ogni habitat di
insediamento della vite dovrebbe avere al fine di ottenere le
condizioni ideali per una conduzione rispettosa e identitaria.
famiglia Moroder che coltiva queste terre da oltre 250 anni, ovvero
da quando la famiglia originaria della Val Gardena decide di
spostarsi ad Ancona (in Ancona per gli autoctoni) creando un
complesso agricolo che ancora oggi è il fulcro dell’azienda.
certificato biologico e interamente all’interno del Parco Naturale
del Conero, copre un’area di 52 ettari, di cui 28 dedicati alla
coltivazione delle uve.
Il cuore dell’azienda è la cantina. I
vigneti, che la incorniciano a 360° seguendo la linea sinuosa delle
colline, si mescolano a frutteti, querceti e uliveti, per poi
affacciarsi sul mare.
Le strutture originarie sono state
recuperate e, mantenendo inalterato il fascino degli spazi, ne è
stato trasformato l’utilizzo. La vecchia cantina è stata ampliata
e, in armonia con la storia del territorio e nel pieno rispetto
ambientale, il nuovo spazio è stato sviluppato interamente nel
sottosuolo. L’azienda agricola vera e propria nasce circa 100 anni
dopo, nel 1837 e continua ad essere condotta di generazione in
generazione dalla famiglia Moroder. E’ nei primi anni 80 che
Alessandro Moroder e sua moglie Serenella decidono di dedicarsi con
passione e impegno alla viticoltura e alla produzione di vino di
qualità.
circondato da vigneti e uliveti a 360°, con strutture completamente
ristrutturate che si dividono fra i locali di vinificazione e di
affinamento, i due ristoranti Aia (pizzeria con pizze a KM “0”) e
Aiòn (dove è possibile assaggiare i piatti della tradizione con e
geniali portate a base del tartufo raccolto nella tartufaia
dell’azienda) e un piccolo e perfettamente curato B&B.
parallele della aziende vitivinicole che vi racconto, ma in questo
caso le strutture ricettive e i ristoranti sono così integrati nel
manage aziendale che non è possibile scinderle dal discorso vino,
tanto che è proprio attraverso di essi che da quasi 30 anni gli
avventori autoctoni e alloctoni vengono introdotti e accompagnati nel
mondo dell’enogastronomia del Conero.
e Serenella, nonché dei figli Marco e Mattia, però, è sempre stato
quello di “portare la cantina ad essere un punto di riferimento
del panorama vitivinicolo marchigiano, facendo del Rosso Conero un
prodotto di eccellenza in grado di rispettare e valorizzare il
territorio” e il tempo, i riconoscimenti, e la qualità raggiunta
dai propri vini possono confermare che la famiglia Moroder ha portato
a termine la missione. Eppure, la vita e la vite insegnano che non ci
si può mai considerare arrivati e che ogni annata è una storia a
sé, specie in una denominazione che parte della stampa nazionale
continua a dichiarare in una sorta di crisi. E’ proprio per confutare
questa tesi che ci tenevo particolarmente a vivere quest’esperienza
nel Conero e in particolare a conoscere meglio una realtà della
quale, negli anni, ho avuto modo di assaggiare spesso i vini. E
sapete cosa? Il Conero non è in crisi, sta solo vivendo una fase di
transizione importante e in questa realtà è talmente palese che il
“cambiamento” lo si può notare dall’avvento alla guida della
Cantina dei giovani fratelli Marco e Mattia e dalla scelta di
affidare la conduzione enologica alle mani giovani ma esperte e alla
mente fresca e aperta di Marco Gozzi.
Marco G. a passeggiare con me nei ripidi e rigogliosi vigneti che
affondano le radici in terreni che a livello di disponibilità di
calcare attivo hanno pochi eguali nel mondo, ma se in vigna il
rispetto e la sostenibilità (a parte l’odierno ingresso ufficiale
nella certificazione biologica) sono una costante del pensiero e
dell’attività della famiglia Moroder da generazioni, è in cantina
che ho avuto modo di constatare l’evoluzione non solo dei vini ma
anche dell’idea di vino aziendale.
particolarmente ad assaggiare erano, sicuramente, le due annate
ancora in affinamento del Dorico, il vino più rappresentativo
dell’azienda ma al contempo il vino che mi ha sempre messo più in
crisi, per via di alcune annate che ho definito “mai pronte”. Il
passaggio a macerazioni più brevi e la scelta del tonneau al posto
della barrique, ma soprattutto la decisione di fare del Dorico un
vino da singola vigna, dedicando il miglior cru aziendale alla
produzione di questo Conero Riserva Docg sono sintomi del nuovo che
avanza. Un nuovo che non va a ledere in alcun modo la tradizione e
non agevola l’omologazione commerciale, bensì vira verso un’ancora
maggior espressività e un’identità più nitida e concreta per un
vino che vuole abbinare alla sua grande complessità e al potenziale
di longevità una maggior freschezza e una dinamica di beva che
questi terreni hanno insite in sé favorendo acidità verticali e
sapide mineralità.
Detto questo, anche i vini in bottiglia meritano attenzione a partire dall’Aiòn, un Rosso Conero DOC solo acciaio che mostra la più spontanea espressività del Montepulciano in questa terra, evidenziandone lo slancio fresco e minerale, con un’ottima dinamica di beva. Il vino che di più rappresenta la tradizione è il Rosso Conero DOC “Classico”, un Montepulciano in purezza affinato in botte grande che aggiunge complessità, spinta e fitezza tannica senza, però, ledere le beva che i vini di questo areale possono e devono avere, grazie alla disponibilità di carbonato di calcio nei terreni e alle forti escursioni termiche.
Il Dorico, nonostante, avesse palesemente bisogno degli accorgimenti introdotti dalla famiglia Moroder grazie, anche, ai consigli del nuovo giovane enologo, resta un vino che ogni marchigiano vorrebbe e dovrebbe avere in cantina perché capace di evolvere in maniera lenta ma con una crescita inesorabilmente positiva. Tra le annate assaggiate la 2011, pur facendo solo sbirciare dalla finestra del tempo, mi ha stupito per potenza espressiva e integra acidità, privo di alcun cenno di stanchezza, ancora in piena spinta e forte di una trama tanto fine quanto intatta.
La mia visita alla famiglia Moroder mi ha convinto ancor di più delle potenzialità di questa terra, che non può essere sottovalutata da chi scrive e parla di vino e ancor prima dai vignaioli stessi, che possono trarre da questo terroir vantaggi che in molte altre parti d’Italia farebbero carte false per avere. Questa realtà lo sta facendo e sono certo che presto si riuscirà ad avere una massa critica tale non solo a far tornare in auge il Conero, bensì a farne valutare le peculiarità in maniera così approfondita da renderlo, finalmente, il “Gran Cru” delle Marche del vino.
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