Come capita spesso, ci si ritrova ad aver girato in lungo e in largo l’Italia, saltando a piè pari le zone più vicine a “casa”. Nel mio caso ho l’attenuante del vivere da relativamente poco in Toscana e più precisamente in provincia di Arezzo, zona che devo, però, ammettere di aver trascurato negli ultimi anni. Eppure, grazie alla mia consueta attitudine a trovare del positivo anche nelle situazioni meno fortunate, ho deciso di sfruttare questo periodo in cui non posso guidare e i miei spostamenti sono ancora limitati, per scoprire alcune realtà di quello che si sta dimostrando un areale vitivinicolo tanto vario quanto interessante.
Oggi vi porto a Campriano, a 550m slm, a due passi dal centro di Arezzo. La realtà in cui vi accompagnerò è Buccia Nera, una storica azienda agricola che da quasi 100 anni produce vino seguendo sin dal principio un approccio rispettoso e consapevole in vigna e in cantina.
Oggi nei 50 ettari di vigneto sono banditi i prodotti di chimica di sintesi, pesticidi ed insetticidi e camminando di vigna in vigna è facile comprendere che a dominare è ovviamente il Sangiovese, mentre il restante 20% è suddiviso tra Malvasia del Chianti, Trebbiano Toscano, Grechetto, Malvasia Nera, Ciliegiolo, Canaiolo, Syrah, Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon, Grenache.
Vitigni che danno l’idea di quanto l’areale aretino rappresenti una terra di confine dove le uve toscane incontrano quelle umbre e gli internazionali acquisiscono particolari connotazioni, specie per quanto riguarda il Syrah.
I vigneti sono situati in zone diverse che rappresentano veri e propri cru scelti in base alla vocazione dei terreni e del micro-idro clima nei confronti del varietale impiantato. Si va infatti da terreni ricchi di scheletro, fino a un suolo argilloso, sabbioso e ben arieggiato.
Attualmente alla guida dell’azienda c’è un “team” tutto al femminile formato dalle tre figlie di Amadio Mancini: Anastasia, Alessia e Roberta.
A coadiuvare le tre eredi del sapere enoico di Amadio è Sandro Nalli, enologo pugliese, trapiantato in Toscana per amore di Anastasia.
E’ proprio Sandro a farmi da Cicerone nel mio viaggio attraverso la filosofia vitivinicola ed enologica di Buccianera. Passeggiando in vigna con Sandro, dopo una primavera complessa e laboriosa per via delle continue e ingenti piogge, ciò che si palesa ai miei occhi è l’attenzione riposta in una conduzione agronomica rispettosa e precisa che ha permesso di contenere notevolmente le problematiche indotte dall’andamento climatico stagionale in maniera non invasiva.
A spingermi fin qui, però, non è stata la vicinanza a “casa” dell’azienda Buccianera ma piuttosto la pulce messa nel mio orecchio da un caro amico riguardante un nuovo bianco macerato prodotto da Sandro.
Eppure, mi ritrovo nel calice un’altra inattesa novità, ovvero un metodo ancestrale base Trebbiano vendemmia 2015 interpretato con garbo e schietta saggezza, con un varietale ingentilito dalla permanenza e l’evoluzione sui lieviti e una beva in cui freschezza e sapidità tracciano linee dritte e profonde nel palato.
Subito dopo arriva l'”Orange Wine” di casa Buccianera, il Pa’ro prodotto con uve Trebbiano, Malvasia e Grechetto fatte macerare 40 giorni sulle bucce, per ottenere un vino di carattere, capace di mantenere una spiccata acidità ma al contempo di lasciare integra una materia concreta e tangibile. Il sorso entra ampio per poi distendersi e allungarsi fino al suo finale salino, con una lieve nota di “bitter” classica della macerazione, che fortunatamente non sfocia né nel verde né in un amaro troppo spinto, anzi sembra voler equilibrare la dolcezza del primo naso. Un vino che riberrei volentieri e con il quale si può giocare con le temperature di servizio per metterne in evidenza sfumature diverse della propria spontanea personalità.
Per quanto riguarda il resto della produzione ho avuto modo di assaggiare degli ottimi Chianti e una Syrah di tutto rispetto, ma ciò che mi premeva di più era prendere coscienza delle potenzialità di sua maestà il Sangiovese in questo areale ed in particolare in queste colline che sono da considerarsi a tutti gli effetti una sottozona. Una sottozona che, a quanto pare, si dimostra essere vocata per pedoclima e sapienza dei produttori, seppur pochi, che favoriscono espressioni di Sangiovese tradizionale ma al contempo contemporanee grazie a vigneti con buone altitudini e, quindi, notevoli escursioni termiche, nonché terreni con buona presenza di galestro.
Tra tutti il Guarniente mostra un Sangiovese nella sua veste più pura e agile, senza tanti fronzoli, con una verve tipica dei territori dal grande potenziale nell’allevamento di questo vitigno tanto diffuso nel nostro Bel Paese quanto pretenzioso quando c’è da trovare la propria “casa ideale”.
Buccianera è una realtà che ha saputo trovare negli anni un equilibrio importante fra la gestione di una buona estensione di vigneto e la produzione di un numero di bottiglie opportunamente al di sotto del potenziale produttivo di vigna. Il tutto con una conduzione prettamente familiare che va avanti da generazioni con il rispetto a 360° a far da comun denominatore dal campo alla cantina, fino alla calice di chi ha modo di assaggiare i vini prodotti in questo meraviglioso e ancora solo minimamente esplorato territorio vitivinicolo.
E’ stato, per me, molto interessante poter constatare direttamente la volontà di Sandro e delle sorelle Mancini di mostrare quanto possa essere attenta in vigna e “artigianale” in cantina (le fermentazioni spontanee ne sono un esempio) una realtà non necessariamente “micro”, mantenendo alta la qualità e interpretando ogni annata e ogni vigneto con cognizione di causa e sensibilità.
“Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.” (Andy Warhol)
F.S.R.
#WineIsSharing
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