Cantina Colognola a Cingoli – Prima tappa del viaggio alla scoperta del Verdicchio di “casa mia”

Quella di oggi è la prima di due tappe attraverso le quali vi accompagnerò per scoprire altrettante realtà vitivinicole che, ormai, da diversi anni stanno dando lustro al luogo dove sono nato e cresciuto: Cingoli.

Capita spesso che mi venga chiesto il perché del mio amore spassionato per il mondo del vino e, ogni volta, mi piace partire da quella che è stata casa mia per tanti anni e che, in realtà, ovunque io mi trovi, non smetterà mai di esserlo. Sì, perché è proprio in queste campagne in cui l’occhio si perde affacciandosi da quello che viene chiamato “Balcone delle Marche” – ovvero le mura della cinta muraria (in latino “Cingolum”) che circondano il centro storico della città di Cingoli – che mi sono avvicinato alla vigna ancor prima che al vino, dapprima entrando per gioco da bambino a “rubare” qualche acino d’uva matura a ridosso della vendemmia – facevo meno danni dei cinghiali, fidatevi! – e poi andando a studiare o, semplicemente, a leggermi un libro steso in mezzo ai vigneti, perché già all’epoca trovavo quel luogo fonte inesauribile di serenità per me.
E’ proprio in quelle campagne che, oggi, sorgono alcune delle realtà che negli ultimi anni mi hanno colpito di più per qualità dei vini prodotti e rispetto del territorio. 
Quella di cui vi parlerò oggi è la Cantina Colognola – Tenuta Musone, fondata nel 2002 e acquistata da Walter Darini intorno al 2010, che provvederà alla sua completa ristrutturazione e ad avviare un progetto di viticoltura sostenibile in un territorio di rara bellezza e vocazione grazie alle proprie caratteristiche pedoclimatiche: siamo a Cològnola, nel comune di Cingoli, a 360 mt slm, affacciati su di una valle che arriva a scoprire il Monte Conero, con terreni prevalentemente ricchi di calcare attivo e forti escursioni termiche giorno-notte.

vendemmia colognola verdicchio cingoli
L’azienda, oggi, è a conduzione familiare, e vede coinvolti Walter Darini, sua figlia Serena Darini e suo marito Matteo Bordoni, oltre all’enologo interno Gabriele Villani e all’impiegata Roberta Nardi, che conosco dai tempi delle elementari. Per quanto riguarda vigneti e produzione è tanto bello quanto raro vedere che a lavorare per l’azienda siano persone cresciute in zona che collaborano con la cantina sin dal principio. 
Ovviamente, il Verdicchio ricopre quasi la totalità dei 25 ha di vigna che circondano l’azienda con altitudini che variano dai 360 ai 400 metri slm, una piccola parte è, invece, destinata al Montepulciano dal quale vengono prodotti i rossi e il rosato.
Tutta la produzione deriva dalle sole uve dei vigneti aziendali condotti in regime biologico e tutti i vini prodotti sono frutto di vinificazioni in purezza.

vigneti bio verdicchio colognola

Detto questo, per me che sono nato e cresciuto in queste terre è bellissimo poter appurare una crescita così ponderata e rispettosa di un’azienda che seguo sin dalle prime bottiglie prodotte, ma come accade nella vita e nei rapporti interpersonali in particolare, sono proprio le situazioni in cui si tiene di più a qualcosa o a qualcuno che le pretese aumentano e lo spirito critico si fa più attento. E’ per questo che, nonostante siano anni che frequento le vigne e la cantina della Tenuta Musone, solo dopo l’ultimo confronto con Serena e Matteo, nonché con i loro vini, ho deciso di portarvi con me in questo viaggio verso casa. 
Un viaggio che parte dai profumi e dai sapori del Verdicchio a me così familiari, per volgere ai colori di un tramonto dalle varie tonalità di rosso e di rosa che sa di Montepulciano. 
Come già accennato poc’anzi, non poteva che essere il Verdicchio il vitigno principe dei vigneti della tenuta e, quindi, della produzione della Cantina Colognola che negli ultimi anni si è cimentata con successo non solo nelle vinificazioni ferme ma anche nella spumantizzazione metodo classico.
E’ proprio dai due metodo classico dell’azienda che partirò:
Musa Brut Metodo Classico 2016 – Cantina Colognola – Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC: questo vino è frutto della volontà di Serena e del resto dell’azienda di portare nei calici il lato più fresco, agile e dinamico del Verdicchio, privilegiando la bevibilità alla complessità ma senza tralasciare la precisione e la nitidezza dei profumi e del varietale che emergono ancor più integri grazie alla minima incidenza dei lieviti.
Un Brut che non risente affatto del residuo, in quanto la sferzante acidità, il suo finale leggermente amaricante e la netta sapidità che in molti casi riesce a mostrare trovano nella lieve morbidezza un fattore di equilibrio al palato che rende un vino come questo più piacevole e democratico.



Darini Extra Brut 2013 (Sbocc. 2017) – Cantina Colognola – Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC: se il Musa è stato volutamente studiato per raggiungere un pubblico più ampio e divertire sin dal subito con la sua dinamica di beva e la sua freschezza varietale, il Darini è un Metodo Classico votato a trarre dal Verdicchio tutta la sua nobiltà d’animo attraverso la complessità e l’eleganza che questo vitigno sa e può mostrare. 
A primo naso capita sovente che scomodi paragoni importanti d’Oltralpe, ma basta poco per far sì che i lieviti lascino spazio alla forza espressiva del Verdicchio nella sua veste più di classe in cui fiore, frutto e mineralità si fondono con grande armonia, facendo da preludio ad un sorso dritto, ma affatto esile, profondo e inerziale grazie alla nota salina finale. Uno dei metodo classico da autoctoni che di più ho apprezzato nell’ultimo anno solare per finezza, compostezza e equilibrio.


Passiamo ai Verdicchio fermi:
La Ghiffa 2016 – Cantina Colognola – Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore DOC: è il Verdicchio che meglio rappresenta il terroir di questa realtà e le potenzialità di Cingoli e delle sue vigne nel lasciar esprimere questo vitigno nella maniera più nitida e dinamica. La Ghiffa, infatti, coniuga la freschezza del frutto alla complessità delle sfumature floreali e balsamiche, forte del tocco del vetro che di sicuro permette confermare quanto il Verdicchio goda di almeno un anno extra di bottiglia. Un vino ancora in piena spinta al sorso, che entra ampio e si distende con grande agilità, lasciando che il sale dia inerzia al sorso, tanto che risulterebbe impossibile, a tavola, non versarne un secondo calice. Questo è il Verdicchio che mi piace trovare in aziende con i vigneti alla giusta altitudine, con terreni fortemente calcarei e una visione enoica molto affine alla mia, fatta di rispetto e di quella contemporaneità che non lede in alcun modo la tradizione, bensì la attualizza e la contestualizza enfatizzandone le peculiarità. 


Labieno Riserva 2015 – Cantina Colognola – Castelli di Jesi Verdicchio Classico Riserva DOCG: sulle Riserve di Verdicchio ho sempre avuto qualche “riserva”, passatemi il gioco di parole, perché in molti hanno per anni forzato un po’ troppo la mano, cercando di proporre vini troppo carichi e rischiando, così, di ledere una delle peculiarità che rendono il Verdicchio il grande vino che è e può essere, ovvero la sua longevità frutto non solo della sua struttura ma anche e soprattutto della sua spina dorsale acida. Questo, per fortuna, non è uno di quei casi, tanto che a un naso molto profondo e intrigante – dato da uve raccolte a vendemmia ormai ultimata – segue un sorso pieno ma al contempo teso e dirompente nella sua lunghezza. E’ proprio la lunghezza di questo vino a determinarne la superiorità, benché il Verdicchio abbia dalla sua la capacità di stupire anche nei vini “base”. Proprio per questo vi consiglio di assaggiare anche il Via Condotto e di tenerne in cantina qualche bottiglia da stappare nei suoi primi 3 anni di vita per comprendere quanto, anche un vino volutamente più pronto, possa e sappia evolvere con grande piacevolezza e armonia.


E’ palese che sia nel caso della Ghiffa, in cui freschezza e dinamica di beva la faranno da pradrone per ben più di 3 anni, e del Labieno, nel quale struttura e acidità andranno danzeranno per più di un lustro senza versare una sola goccia di sudore (le annate “vecchie” assaggiate ne danno una chiara idea), stiamo parlando di due vini che oggi esprimono solo un lato della propria personalità, ma che non saranno timidi nel mostrarvi le altre interessanti sfaccettature di bottiglia in bottiglia. 


Dal Montepulciano qui a Colognola si producono tre vini IGT: il Via Rosa, il Cantamaggio e il Buraco.
Se il Via Rosa e il Cantamaggio sono la versione in “rosa” e in “rosso” di un Montepulciano fresco, che si lascia bere con estrema piacevolezza ma senza risultare scontato, il Buraco è il vino rosso di punta dell’azienda, intenso, secco, dall’ottimo finale ferroso. Un Montepulciano che ha avuto modo di armonizzare la propria personalità e smussare gli spigoli del proprio carattere in botte per un paio d’anni, dando vita ad una buona espressione di questo varietale in una zona in cui è il Verdicchio a dominare incontrastato. Un vino da non sottovalutare, neanche in termini di longevità potenziale.



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Concludo con un plauso a Serena che con il suo ingresso in azienda, insieme a Matteo, ha saputo dare una spinta importante a questa realtà ritrovandosi circa 7 anni fa, catapultata in un mondo nuovo, partendo proprio dal palcoscenico più importante e complesso: quello del Vinitaly.
“All’epoca io non conoscevo ancora i miei colleghi e stavo muovendo i primissimi passi nel mondo del vino, perciò la mia prima sensazione davanti ai clienti fu di puro terrore, come una ballerina che si ritrova al saggio finale senza aver mai fatto una lezione di danza in vita sua, ma fu importante perché instaurai da subito un bellissimo rapporto con quello che oggi è il nostro consolidato staff, uno staff fatto di persone che rappresentano il mio punto di riferimento per tutte le decisioni e scelte che non vengono mai fatte senza ascoltare le loro opinioni. Individuai subito quelli che sarebbero stati i miei insegnanti per i successivi 7 anni, e che lo sono ancora oggi, grazie a loro mi sono appassionata a questo mondo che è diventato il mio stile di vita.” Serena Darini.
Quando assaggio un Verdicchio di Colognola, oggi, sono felice di non trovare i vini che assaggiavo sin da bambino, che per quanto genuini erano frutto di una consapevolezza tecnica e di un rispetto in vigna e in cantina sicuramente approssimativi; quando assaggio un vino di Colognola sono felice di essere riportato a casa dall’espressione più integra di un territorio che riconosco, oggi, attraverso il suo grandissimo potenziale al tempo inespresso; quando assaggio un vino di Colognola assaggio un vino di Cingoli… della mia Cingoli!
Nei prossimi giorni vi porterò nell’altra azienda di riferimento della mia Cingoli, felice di trovare nel rispetto dalla vigna al bicchiere il comun denominatore tra le due realtà.
F.S.R.

#WineIsSharing

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