L’emozionante storia del vigneto più “alto” delle Marche e della micro cantina di Ginevra Coppacchioli a Cupi

L’incessante ricerca di emozioni enoiche capaci di dissetare, seppur momentaneamente, la mia riarsa curiosità mi hanno portato in molti luoghi più o meno conosciuti ma tutti resi unici da quel meraviglioso tramite fra la terra e l’uomo che sa essere la vigna.
cantina visso coppacchioli

La paura di, come me, viaggia molto e assaggia altrettanto è quella di vedersi affievolire la sacra fiamma della passione e di vederla intaccata dalla noia e dall’assenza dell’elemento fondamentale per andare avanti in questo percorso di vita e di vino: lo stupore.



Fortunatamente, però, io ho avuto la fortuna di imbattermi in luoghi di rara suggestione, di assaggiare vini dalla grande personalità e, soprattutto, di incontrare persone di notevole valore umano. Questo mi ha permesso di non stancarmi mai e di alimentare quotidianamente il mio bisogno di scoprire nuove realtà, nuove vigne e nuovi vini.
Tra tutti i viaggi enoici fatti negli ultimi mesi, però, ce n’è uno che mi ha emozionato particolarmente attraverso sensazioni tanto pure quanto inattese.
Parlo del mio incontro con il vigneto più alto delle Marche e con la piccola cantina di Ginevra Coppacchioli, giovanissima produttrice che è riuscita a convincermi con pochissime parole ad arrivare fino ai 1000m slm di Cupi, piccola frazione di Visso (MC).

cupi 1000 metri
Siamo nelle mie Marche, quelle più incontaminate, a pochi km da dove sono nato e cresciuto ma a un’altitudine inconsueta per la viticoltura, specie per queste zone.



Salendo verso la posizione che Ginevra mi aveva inviato geolocalizzando la sua piccola nuova cantina (ancora work in progress) non vi nego di aver ricontrollato e riavviato più volte il navigatore temendo di aver sbagliato strada in quanto per km e km il territorio appariva liberamente selvaggio con l’assenza quasi totale dell’intervento dell’uomo nel ridisegnare i tratti del contesto naturale.



E’ anche per questo che trovare come primo segno di antropizzazione il vigneto di Ginevra e della sua famiglia ha indotto in me una certa sensazione di sollievo mista a stupore.
Ad accogliermi, in questo centro devastato dal terremoto del 2016, c’è proprio la giovanissima produttrice con al seguito alcuni membri della famiglia e il suo cantiniere, mancano suo padre Angelo e l’enologo Francesco Sbaffi ma poco importa – penso fra me e me – perché io in questo luogo tornerò, l’ho capito sin dal primo passo fuori dall’auto, fin dalla prima boccata d’aria tersa a pieni polmoni, sin dalla pelle d’oca e gli occhi lucidi che le crepe dei muri delle abitazioni di quel meraviglioso piccolo borgo mostrano come fieri segni di una battaglia che hanno tentato di vincere e che, forse, in parte hanno davvero vinto restando in piedi. L’empatia provata per la natura che mi circondava, per gli edifici e le persone che avevo appena incontrato era così forte da farmi pensare di non essermi sentito così da troppo tempo.
Prima di dedicarci al vigneto Ginevra e “gli altri” ci tengono a mostrarmi quella cantina che tanto avevano desiderato, frutto del sogno di un fratello che non c’è più e di un padre che – a quanto mi raccontano – ha sempre fatto della lungimiranza la sua dote più acuta.



Tre lettere “GLG” spiccano nel cancello della nuova cantina a simboleggiare le iniziali della nuova generazione della famiglia Coppacchioli: Gaia, Lucio e Ginevra.

glg

Oggi, quella che apparentemente potrebbe sembrare una cattedrale nel deserto assume il profilo di uno scrigno pieno di speranze, di sentimento, di passione e di energie che vanno ben oltre il far vino.


E’ lo scrigno in cui Ginevra ha deciso di riporre tutta la sua forza d’animo e la sua voglia di tradurre l’amore per questa terra e per la sua famiglia in liquide emozioni, prodotte con rispetto ed attenzione in un luogo unico al mondo.
cantina ginevra coppacchioli
Quel luogo è il vigneto più alto delle Marche, 2,5ha di sana follia in cui la famiglia Coppacchioli ha deciso di impiantare Pinot Nero e Chardonnay per la produzione di due metodo classico (un Rosé Brut e un Blanc de Blancs Brut) e il Pecorino (qui storicamente detto Vissanello) propagato recuperando il materiale genetico del vigneto centenario ancora presente a ridosso del cimitero di Cupi.
viti maritate
Ricordo ancora vivida l’emozione provata nel contrasto ossimorico che sussiste nel passare attraverso un cimitero dilaniato dal terremoto per arrivare a quello spettacolo tanto inatteso quanto meraviglioso dato dalle vecchie viti maritate agli aceri campestri e ai mandorli. Un simbolo nefasto reso luminoso dal simbolo della vitalità che noncurante del passare del tempo e delle calamità naturali ha continuato ad arrampicarsi su quegli alberi e a produrre i suoi frutti. E’ proprio quel vigneto il valore aggiunto di un luogo che già di per sé avrebbe visto nella sua eccezionale collocazione un motivo di unicità.
Quelle piante di Pecorino hanno dato vita al Primo di Cupi, Pecorino in purezza che mostra quanto con buonissime probabilità il clone storicamente allevato in questa zona fosse diverso da quello del vigneto madre di Arquata del Tronto, facendo del vigneto di Cupi un secondo vigneto madre per una tipologia di uva che meriterebbe maggiori approfondimenti genetici ma che, intanto, stupisce nel calice per integrità ed equilibrio nonostante l’altitudine.
Ero preoccupato, non lo nego! Avevo letto del Pecorino di queste zone (in scritti del ‘700 appare la denominazione catastali “le vigne” a testimonianza della presenza di vigneti nella zona) e di quanto fosse considerato “verde”, “aspro” perché non in grado di maturare ma con buone probabilità una conduzione agronomica più accorta e gli esiti (in questo caso positivi) dei cambiamenti climatici hanno portato le uve del vigneto di Ginevra a poter anelare ad una piena maturazione, mantenendo una notevole freschezza e facendo pensare che il microclima unico fatto di tanta luce e importanti escursioni termiche possa rappresentare l’alleato ideale per osare ancor di più nella produzione di questo vino.
vini ginevra coppacchioli tattini
Riguardo ai metodo classico, è tutto in divenire ma è indubbio che la scelta di produrre in questi vigneti degli spumanti sia stata più che opportuna viste le peculiarità pedoclimatiche. Le prime sboccature stupiscono per la struttura e per la potenza, cosa che mai mi sarei aspettato in un vigneto in altitudine ma sono state prodotte nella vecchia cantina e con notevoli problematiche da affrontare quali nevicate straordinarie e gli esiti del terremoto che per anni hanno reso difficile persino l’accesso ai locali di vinificazione. E’ per questo che mi piace vedere questa realtà non solo per ciò che ha fatto sino ad ora, per quanto lodevole, bensì per la sua prospettiva futura che la pone di diritto nel novero delle cantine più interessanti che ho avuto modo di visitare negli ultimi anni. Una di quelle storie di vino, di vigna e di vita che ogni appassionato e addetto ai lavori dovrebbe conoscere e approfondire recandosi a Cupi e assaggiando i vini frutto di questo straordinario vigneto.
wine blog
Io, da par mio, tornerò presto e seguirò le evoluzioni dell’azienda di Ginevra Coppacchioli che merita tutta la mia stima e il mio rispetto per la forza d’animo e la luce con le quali ha deciso di portare avanti questo sogno che rischiava di cadere in pezzi.



Per me e per le mie Marche, nonché per Cupi e per Visso vedere un’impresa nascere e crescere in una zona così isolata e così provata dal terremoto è motivo di orgoglio e di speranza e per questo non posso che ringraziare la famiglia Coppacchioli per ciò che sta facendo a prescindere da meri tecnicismi enoici. Grazie!




F.S.R.
#WineIsSharing

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