Nel mondo del vino esistono territori e denominazioni che hanno fatto la storia e sono riusciti a mantenere il proprio “status” nell’arco di svariate “ere enoiche”, altri che hanno vacillato per poi cadere e non riprendersi e altri ancora che hanno vissuto fasi di declino seguite da una vera e propria epoca di rinascimento vitivinicolo.
Quando penso agli areali che di più sono cresciuti in termini di qualità e percezione negli ultimi 10 anni il primo a venirmi in mente è sempre l’Etna.
Un areale che ha visto emergere la propria produzione vinicola in maniera esponenziale, forte di un’identità così difficile da snaturare e incidente da permettere ai suoi vini di trascendere e bypassare il concetto prettamente varietale in favore del territorio.
Sì, perché chi beve Etna non beve solo Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio nel caso dell’Etna Rosso o Carricante, Catarratto (sarebbe meglio dire “i Catarratti”), Minnella, Trebbiano e altri vitigni locali nel caso degli Etna Bianco, bensì beve “ETNA”!
Un concetto tanto semplice quanto lontano da una progressione enologica e commerciale che negli ultimi 30 anni ha puntato molto di più verso la “purezza” e il “varietale” che nella valorizzazione del territorio e della sua identità in senso stretto e in senso lato.
Quindi un’identità generale che va oltre il varietale, oltre la tipologia ma che vede nelle Contrade un ulteriore valore aggiunto in termini di specificità e peculiarità. Fondamentale resta, però, l’interpretazione del singolo, quella componente antropologica (agronomi ed enologica) dalla quale il concetto di terroir non può e non deve prescindere, nonostante la forza espressiva del Mongibello debba restare il comun denominatore dei vini del vulcano. Se il successo dei vini dell’Etna è, per la percezione odierna, cosa recente, è bene ricordare che parliamo della prima Doc siciliana, nonché di una delle più antiche denominazioni d’Italia (1968). Ancor prima (fine ‘800) quella di Catania fu la provincia più vitata dell’intera isola (arrivò a 90mila ha), ma fillossera, eruzioni, vigneti impervi, nuovi dazi commerciali (gran parte del vino “sfuso” prodotto veniva trasportato dal porto di Riposto verso Nord) e l’industrializzazione con il conseguente abbandono delle campagne ridussero drasticamente la produzione vitivinicola dell’area fino agli anni ’90, quando iniziò la rinascita dei vini del vulcano. Fu allora che antichi palmenti e secolari vigneti ad Alberello etneo iniziarono ad essere restaurati e ripristinati, affiancati da cantine più moderne e nuovi impianti, grazie alla lungimiranza di produttori e imprenditori locali e non.
Oggi i vigneti etnei ricoprono una superficie di ca. 1100ha e sono disposti principalmente fra i 300 e i 1000 metri ca., spingendosi in alcune zone fino ad oltre 1.100 metri di altitudine. 383 sono i viticoltori e 140 le cantine consorziate.
Le Contrade dell’Etna Doc

Le Contrade che, dal 2011, sono state riconosciute come MGA sono 133 (9 verranno aggiunte a breve, in quanto emerse dall’ultima zonazione), così suddivise:
A Castiglione di Sicilia: Contrada Acquafredda, Contrada Cottanera, Contrada Diciasettesalme, Contrada Mille Cocchita, Contrada Carranco, Contrada Toirequarino, Contrada Feudo di Mezzo, Contrada Santo Spirito, Contrada Marchesa, Contrada Passo Cianche, Contrada Guardiola, Contrada Rampante, Contrada Montedoice, Contrada Zucconerò, Contrada Pettinociarelle, Contrada Schiqliatore, Contrada Imboscamento, Contrada Grotta della Paglia, Contrada Mantra murata, Contrada Dafara Galluzzo, Contrada Pagala Gualtieri, Contrada Palmellata, Contrada Piano filici, Contrada Picciolo, Contrada Carestia, Contrada Moscamento, Contrada Fossa san Marco, Contrada Pontale Palino, Contrada Grasa, Contrada Piano dei daini, Contrada Zottorinotto, Contrada Malpasso, Contrada Pietra Marina, Contrada Vergella, Contrada Muganazzi, Contrada Arcuria, Contrada Pietrarizzo, Contrada Bragaseggi, Contrada Sciambro, Contrada Vena, Contrada Iriti, Contrada Trimarchisa, Contrada Vignagrande, Contrada Canne, Contrada Barbabecchi, Contrada Collabbasso.
A Linguaglossa: Contrada Pomiciaro, Contrada Lavina, Contrada Martinelli, Contrada Arrigo, Contrada Friera, Contrada Vaccarile, Contrada Valle Gallina, Contrada Alboretto – Chiuse del Signore, Contrada Panella – Petto Dragone e Contrada Baldazza.
A Milo: Contrada Villagrande, Contrada Pianogrande, Contrada Caselle, Contrada Rinazzo, Contrada Fornazzo, Contrada Praino, Contrada Volpare e Contrada Salice.
A Randazzo: Contrada Imbischi, Contrada San Teodoro, Contrada Feudo, Contrada Ciaramella, Contrada Allegracore, Contrada Città Vecchia, Contrada Giunta, Contrada Campo Re’, Contrada San Lorenzo, Contrada Scimonetta, Contrada Bocca d’Orzo, Contrada Arena, Contrada Pignatuni, Contrada Chiusa Politi, Contrada Pianodario, Contrada Statela, Contrada Pignatone, Contrada Montelaguardia, Contrada Pino, Contrada Sciara Nuova, Contrada, Contrada Croce Monaci, Contrada Taccione, Contrada Calderara.
A Santa Maria di Licodia: Contrada del Cavaliere.
A TreCastagni: Contrada Cavotta, Contrada Monte Ilice, Contrada Carpene, Contrada Grotta Comune, Contrada Eremo Di S.Emilia, Contrada Monte Gorna, Contrada Ronzini, Contrada Monte S.Nicolò e Contrada Tre Monti.
A Viagrande: Blandano, Cannarozzo, Monaci, Monte Rosso, Monte Serra, Muri Antichi, Paternostro, Sciarelle e Viscalori.
A Biancavilla: Maiorca, Torretta, Rapilli, Stella e Spadatrappo.
A Zafferana: Fleri, San Giovannello, Cavotta, Pietralunga, Pisano, Pisanello, Fossa Gelata, Scacchiere, Sarro, Piricoco, Civita, Passo Pomo, Rocca d’api, Cancelliere – Spuligni, Airone, Valle San Giacomo, Piano dell’Acqua, Petrulli, Primati ed Algerazzi.
Fonte Cronachedigusto


N.B.: La mappa è stata realizzata dal Consorzio di Tutela Etna DOC sovrapponendo un insieme di layer dati condivisi tramite Gis. La mappa ha carattere puramente divulgativo e non è di riferimento per l’individuazione delle Unità Geografiche Aggiuntive (contrade).
I versanti dell’Etna
Se questa è la vera e propria zonazione dell’areale dei vini dell’Etna c’è, però, un macro distinguo da fare in questa “C” rovesciata che cinge da Nord a Sud-Ovest il vulcano e si tratta dei versanti:
Versante Nord: è il versante più vitato e con maggior presenza di cantine, grazie alla sua vocazione e alla maggior “affabilità” dei pendii. I vigneti, in questo versante, si spingono non oltre gli 800 m s.l.m. ma l’escursione termica è notevole. Sono i vitigni a bacca rossa e, in particolare, il Nerello Mascalese a primeggiare, con una continua cresciuta del Carricante. I vini in questo versante a trazione rossista vantano un buon equilibrio fra struttura e freschezza e manifestano una buona longevità.
Versante Est: nei vigneti che si affacciano sul Mar Ionio, godono di questa esposizione unica per quanto riguarda la denominazione, potendo beneficiare di quote che si spingono fino ai 900m slm e dell’influenza del mare. E’ sicuramente la zona più piovosa ma anche quella più ventilata. Questo è il versante a trazione bianchista, in cui il Carricante prevale sugli altri varietali. Milo è il riferimento di questo versante rappresentando l’unico comune nel quale è possibile produrre l’Etna Bianco Superiore. Motivo di questa scelta, oltre alle particolari condizioni climatiche, sono il terreno (più stratificato e meno roccioso, con i lapilli vulcanici a ricoprirne la superficie) e l’irradiamento solare, sicuramente più idoneo alla maturazione dei bianchi che delle uve rosse (che qui difficilmente giungono a piena maturità). E’ il versante della finezza, della verticalità e quello che in prospettiva potrà stupire maggiormente in termini di longevità.
Versante Sud-Est: vigneti ad alta quota adagiati sui numerosi i coni eruttivi spenti, una benefica influenza marina e un irradiamento ottimale. Queste sono i presupposti ideali per avere vini coerenti ed equilibrati, con una buona continuità produttiva.
Versante Sud-Ovest: è il versante del quale si è parlato di più negli ultimi anni in quanto oggetto di investimenti importanti, nonostante (o grazie) la sua vocazione percepita sia inferiore a quella del versante “nord”. Forte l’escursione termica, specie nei vigneti più in quota (qui oltre i 1.000 metri slm), più contenute piovosità e umidità, con venti caldi a mitigare e asciugare quando occorre. Ottimale l’irradiamento solare, sia per intensità che per arco temporale. I vini di questo versante sono tendenzialmente più carichi di colore, vantano uno spettro olfattivo più intenso e un maggiore grip tannico.

Nel mio ultimo viaggio fra i vigneti, le cantine e i vini del vulcano, ho potuto conoscere e approfondire alcune realtà della Strada del vino dell’Etna, ente nato con lo scopo di valorizzare ed incentivare i territori ad alta vocazione vitivinicola, che comprende vigneti, cantine ed aziende vitivinicole, enoteche, musei della vite e del vino, centri d’informazione ed accoglienza, aziende specializzate in produzioni tipiche di qualità e strutture turistico-ricettive del vulcano. Un tour finalizzato ad avere uno spaccato della produzione dei diversi versanti e delle diverse tipologie (Etna Doc Bianco, Bianco Superiore, Rosso, Rosso Riserva, Rosato, Spumante) attraverso differenti approcci agronomici ed enologici. Il tutto incontrando una selezione di realtà storiche e di nuove piccole aziende, di grandi “nomi” del vino siciliano e nuove “promesse” del panorama etneo.
Una selezione delle Cantine della Strade del Vino dell’Etna

Qui di seguito una breve presentazione delle aziende che ho avuto modo di approfondire e/o di conoscere e la menzione della referenza che di più mi ha colpito durante questo mio ultimo viaggio nelle terre vulcaniche dell’Etna.

Donnfugata: la storica azienda siciliana punta all’eccellenza nella sua Tenuta dell’Etna tra i 730 m e i 750 m s.l.m., che consta di ca. 21 ettari di vigneti, tutti in Doc, divisi in 6 contrade: Montelaguardia, Statella, Camporè e Calderara in comune di Randazzo, Marchesa e Verzella in comune di Castiglione di Sicilia. Il vino che mi ha colpito di più fra quelli degustati è stato l’Etna Rosso Doc Contrada Marchesa 2018, fresco nel frutto, già complesso nel gioco di mineralità, speziatura e note balsamiche. Il sorso è integro e slanciato, profondo ed elegante. Buon vigore tannico e classica chiusura ematica.

Gambino: l’azienda con sede a Linguaglossa dispone di 25ha tra quelli allevati sul Vulcano e quelli al centro dell’isola. L’approccio è quello di chi sa guardare avanti attingendo al meglio della tradizione, dalla vigna al bicchiere. L’Etna Doc Petto Dragone 2017 è un Nerello Mascalese in purezza che prende il nome da quello della sua contrada di riferimento. Un vino forte, fiero, generoso nell’esposizione olfattiva e tonico, concreto e di buon affondo minerale al sorso.

La Gelsomina: situata a Presa, nella Contea di Mascali dalla quale si dice abbia preso il nome il nobile vitigno etneo, l’azienda ora partner delle Tenute Orestiadi, alleva 15 ettari per lo più terrazzati in una sorta di teatro che guarda al mare. I suoli sono lavici e argillosi, ricoperti dalla “gghiara” ospitano viti dei varietali tipici del territorio, compreso il moscatello dell’Etna. Il vino che mi ha colpito di più è l’Etna Rosso Doc 2014, annata straordinaria per il vulcano (a differenza di ciò che è accaduto in gran parte dell’Italia) che dimostra tenacia, turgore e luminosità da vendere. Un vino armonico e ritmato nel sorso, profondo e saporito.

Iuppa: eccoci a Milo e più precisamente in Contrada Salice, dove sono disposti i 7ha della giovane azienda Iuppa. Vigne che godono di un’altimetria che va dai 500 a 600 m s.l.m., con un suolo vulcanico, ricco di calcare e di soda e povero di potassio. In questa zona il vino da segnalare non poteva che essere l’Etna Bianco Superiore Doc Lindo 2020 (Carricante e Catarratto Bianco Lucido) brillante, nitido nel frutto e nella fine componente floreale, il tutto cucito insieme da sottili ma ben evidenti ricami minerali. Il sorso è fresco, dinamico e salino. Ancora qualche mese di vetro e rappresenterà un riferimento per la denominazione.

Torre Mora: la scommessa etnea della famiglia Piccini (che consolida il già nutrito schieramento toscano sul vulcano) è di grande fascino e suggestione nelle struttura e nei 15ha di vigneti (bio) dislocati fra Castiglione di Sicilia e Linguaglossa, nel versante nord dell’Etna. Rispettivamente in Contrada Dafara Galluzzo (Fraz. Rovittello DI Castiglione di Sicilia) e in Contrada Alboretto Chiuse del Signore (Linguaglossa). Vigneti appena sotto ai 400m slm, in cui la nota famiglia toscana ha deciso di portare avanti un ampio spettro di tipologie (dal metodo classico ancora sui lieviti all’Etna Rosso, passando per il Bianco e il Rosato) al fine di portare in bottiglia le molteplici sfumature espressive del vulcano, attraverso i suoi soli vitigni tipici. A colpire è l’Etna Rosso Doc Scalunera 2018 è giustamente maturo, ricco e sfaccettato. Il sorso è energico e dal passo sicuro. Tonico il tannico e buona la persistenza sapido-ematica.

Nuna: Nuna è una delle piacevoli scoperte fatte in questo ennesimo tour enoico fra i vigneti e le cantine dell’Etna. Siamo a Sant’Alfio a confine con Milo ed è qui che Fabio Percolla segue e prosegue il vigneto nato da una scommessa di sua madre Novella (detta “Nuna”). Impressionante l’impatto visivo della colata lavica del 1971 che ha cambiato profondamente la morfologia e la fertilità di questo appezzamento.
Nel 2006 inizia il lavoro di “bonifica” di un terreno praticamente abbandonato e solo nel 2015 la prima annata di un Etna Bianco Doc che, tra le tre assaggiate spicca per freschezza e identità vulcanica. Il sorso conferma un’acidità sferzante e un netto affondo sapido minerale.

Tascante: la Tenuta Tascnate è la scommessa etnea di Tasca d’Almerita. 200 muretti a secco, 99 terrazzamenti, vigne incastonate in un contesto di biodiversità unico, tra castagni, ulivi e boschi di specie endemiche. Vigne dislocate nelle contrade di Pianodario, Sciaranuova a Randazzo e Rampante e Crasà a Castiglione di Sicilia. L’approccio è consapevole ma umile e rispettoso. Quello che solo le grandi famiglie del vino sanno avere quando si avvicinano a un nuovo territorio da tradurre attraverso i propri vini. Impressionante il lavoro di restauri e tutela fatto sia nei locali di cantina (palmento compreso) che – e soprattutto – in vigna. Per quanto concerne i vini a stupirmi maggiormente sono state l’eleganza, l’agilità e l’aderenza territoriale dell’Etna Rosso Doc Pianodario 2017. Un vino che non manca di nulla.

Zumbo: una piccola realtà “artigiana” che vede le sorelle Erica e Ramona, portare avanti il lavoro pionieristico che il nonno Salvatore Zumbo intraprese sin dal 1972, impiantando 5ha a controspalliera, allevati a cordone, tra i primi vigneti specializzati dell’Etna, in contrada Santo Spirito a c.ca 750 m s.l.m. All’epoca molti vigneti venivano abbandonati ma Salvatore, mise a dimora 14.000 viti selvatiche innestate con materiale genetico proveniente da vigneti centenari, coltivati sulle pendici del vulcano. Oggi, l’eredità di “nonno Salvo” è nelle mani di due giovani vignaiole ancorate alla tradizione ma capaci di evolvere con costanza e pazienza di annata in annata, proprio come i loro vini. L’Etna Rosso Doc Andico 2017 ne è una dimostrazione grazie al naso fortemente identitario e alla tessitura di sorso integra, concreta e moderatamente tannica. La chiusura tra ferro e sale ne sottolinea la territorialità.

Murgo: se oggi la produzione di metodo classico nel territorio etneo è una realtà in costante crescita è anche e soprattutto grazie alla lungimiranza di questa realtà, riferimento vitivinicolo per l’Etna dagli anni ’80 e pionieri proprio nell’arte della spumantizzazione (il primo Murgo Brut è stato prodotto nel ’90). Nonostante la storicità dell’azienda, le dinamiche agronomiche ed enologiche sono in continua evoluzione e sempre più orientate alla sostenibilità. Lo stesso vale per i vini, che rifuggono la stasi e non smettono di migliorare in termini di precisione e coerenza territoriale. Se l’Extra Brut 2014 (sboccatura agosto 2021) colpisce per finezza, tensione e salinità, tra i vini Etna Doc è il Tenuta San Michele 2017 a confermare la bontà del lavoro fatto dall’azienda anche nei vini fermi. Un vino dall’esposizione olfattiva complessa e sfaccettata e dal sorso pieno e profondo.

Nicosia: Francesco Nicosia nel 1898, decise di aprire la prima bottega di vino a Trecastagni, sul versante orientale dell’Etna. Il periodo era positivo per i vini dell’Etna, ma la vera svolta arriva alla fine del ‘900 con Carmelo Nicosia, che, investendo nell’ampliamento e ristrutturazione dei vigneti e nella costruzione di una moderna cantina proprio a Trecastagni, rende l’azienda di famiglia un riferimento enoico per l’intera regione. Ai piedi di uno dei crateri spenti del vulcano, l’azienda alleva i vigneti della tenuta di Monte Gorna con i suoi tipici terrazzamenti lavici, dai quali vengono prodotte le uve per i vini dell’Etna. A stupire il metodo classico Etna Doc Sosta Tre Santi millesimo 2017 (sboccatura 2020) di grande finezza e mineralità, con un’armonica presa di lievito e un sorso garbato e lineare. La proverbiale sapidità finale da abbrivio all’inerzia di beva.

Nicola Gumina: siamo a Castiglione di Sicilia, a 750m slm, sul versante Nord dell’Etna e qui, in contrada Piano Filici, nasce l’azienda di Nicola Gumina e della sua famiglia. Una realtà che mira alla sostenibilità a 360° e si fa custode del territorio preservando il contesto in cui i vigneti sono incastonati, fra boschi di roverella e le antiche colate laviche sulle quali cresce la specie endemica di ginestra etnea, oltre ovviamente alla felce logo dell’azienda. L’obiettivo è, quindi, quello di portare in bottiglia l’essenza del vulcano attraverso consapevolezza tecnica orientata al minimo impatto enologico ma, al contempo, alla nitidezza espressiva e alla pulizia. Ne è un luminoso esempio l’Etna Bianco Doc Filici 2018 che rispecchia precisamente lo spettro aromatico del taglio classico di Carricante e Catarratto (80% e 20%) nel frutto bianco, nel fiore giallo e nell’agrume, con folate minerali a tratti solfuree prettamente etnee. Il sorso è sicuro e vibrante, di buon allungo sapido.

Eudes: piccolissima realtà che conosco da qualche anno, grazie ai giovani Giovanni Messina e Laura Torrisi. Appassionati viticoltori che hanno preso in mano i terreni del padre di Giovanni nel versante sud orientale dell’Etna e più precisamente alle pendici del Monte Gorna, a circa 700-750 m s.l.m. con una esposizione in pieno Sud, per un totale di 5 ettari vitati. I vitigni principali utilizzati sono le varietà autoctone del territorio, quali Carricante, Catarratto e Nerello Mascalese, in un vecchio vigneto di età media di 140 anni. Menziono con piacere l’Etna Bianco Doc Bianco di Monte 2018, completo e in divenire al naso, energico e teso al sorso. Chiude decisamente sapido. Ottima la prospettiva evolutiva.

Barone di Villagrande: torniamo a Milo, presso una delle realtà storiche dell’Etna, che dal ‘700 fa vigna e vino in questo straordinario territorio. Oggi è Marco Nicolosi a tenerne le redini, ma fu suo padre Carlo Nicolosi Asmundo (docente universitario di enologia e tecniche alimentari all’Università di Catania) a scrivere il disciplinare di quella che è stata la prima DOC di Sicilia, dopo aver gettato le basi per quello che oggi conosciamo come Etna Bianco Superiore. Una cantina che ha saputo mantenere saldo il legame con la storia e la tradizione senza temere l’evoluzione. I 18ha terrazzati e ben irradiati sono condotti in maniera rigorosamente sostenibile e altamente rispettosa. Incastonati in un contesto in cui la biodiversità ti si para davanti con tale schiettezza che neanche una giornata uggiosa come quella in cui ho avuto modo di visitarla può intaccarne la nitidezza. L’Etna Bianco Superiore Doc Contrada Villagrande 2018 è una fulgida dimostrazione liquida dell’innata vocazione di questo versante alla produzione di grandi bianchi capaci di competere con i riferimenti nazionali e internazionali della tipologia per finezza e prospettiva evolutiva, ma difficilmente eguagliabili in termini di identità territoriale e mineralità. Vini di rara eleganza.

Terra Costantino: siamo sul versante sud-est del Mongibello, più precisamente in contrada Blandano, dove nel 1978 Dino, padre di Fabio Costantino (attuale gestore dell’azienda), decide di costruire la cantina di famiglia. Una cantina nata in contrapposizione alle tendenze di quei tempi in cui era molto più semplice e conveniente vendere uva che imbottigliare, ma Dino da esperto vignaiolo, quale ancora è, conosceva bene le potenzialità della sua terra e delle sue uve.
E’ così che, nei 10ha di vigna iscritti ad Etna Doc che circondano per la quasi totalità l’azienda, Dino e Fabio, oggi, allevano solo uve autoctone (Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Carricante, Catarratto e Minella), al fine di produrre vini di grande identità e spiccata personalità.
Con un’altitudine che varia dai 450m ai 550m slm e grazie alle costanti brezze marine, nonché alle rilevanti escursioni termiche notte-giorno, Terra Costantino gode delle condizioni ideali per portare in cantina uve atte a produrre vini dal corredo aromatico ben definito, dalla buona struttura e, soprattutto, dalla slanciata freschezza.
Precisione e pulizia sono i mantra di Fabio, in quanto viatici imprescindibili per esprimere davvero l’identità di un territorio connotante e unico come quello dell’areale etneo. Il perfezionismo credo non sia solo una questione di deformazione professionale dovuta al retaggio ingegneristico di Fabio, in quanto tutte le scelte, dalla vigna alla bottiglia, sono frutto di un percorso che non tollera negligenza e nulla vuole lasciare al caso, con profondo rispetto e senza lavorare in addizione. Fare vino è passione e saggezza, è tradizione e fatica, ma è anche consapevolezza tecnica e lungimiranza e tutti questi principi si fondono all’interno delle bottiglie che escono dalla cantina di Terra Costantino. Come lo dimostra l’Etna Rosso Riserva Doc Contrada Blandano 2016 dall’evoluzione ancora agli albori, con aromi secondari che rendono più complesso e intrigante il frutto ancora fresco e una mineralità vulcanica in crescendo. Il sorso è tonico, longilineo, di buon nerbo e dall’ematica profondità. Complessità ed eleganza per una Riserva di indiscutibile precisione.

Barone Beneventano della Corte: un’azienda che non conoscevo, nonostante la famiglia dei Baroni Beneventano della Corte affondi le proprie radici proprio in queste terre. Terre in cui i Beneventano della Corte hanno deciso ripristinare gli antichi possedimenti di famiglia, affiancando l’attività di produzione a quella – portata avanti con successo già da cinquant’anni circa – di selezione e commercializzazione di vini di alta qualità provenienti dalle zone più vocate di tutta Europa, sotto il marchio Steinbrück. Al comando oggi c’è il Barone Roberto, ma la vera anima dell’azienda è suo figlio Pierluca, giovane che sprizza passione enoica da tutti i pori e che fa da spola dal nord all’isola per gestire e supervisionare i lavori nelle vigne di proprietà site in Contrada Salto del Corvo/San Giovannello, a 650m slm, nel comune di Viagrande, nel punto d’incontro fra Trecastagni e Zafferana Etna e in Contrada Carpene, nel Parco dell’Etna, nel comune di Trecastagni, a 800m slm con pendenze estreme. Una realtà che promette di stupire per la qualità dei propri vini e per l’indubbia visione prospettica della denominazione all’interno di un contesto enoico globale. Entrambi i vini assaggiati sono molto validi ma è l’Etna Rosso Doc “Radici” 2017 a manifestare una grande armonia olfattiva, con frutto, fiore, spezia, note balsamiche e minerali ben definite e percettibili. Il sorso è garbato, disteso e saporito.

Cantine Russo: si tratta di una delle più longeve aziende vinicole etnee. Una cantina che affonda le radici nella fine dell”800, quando Vincenzo Russo si dedicava alle proprie vigne di Solicchiata, a circa 700 m/slm, nel versante nord est dell’Etna. La svolta, però, avviene nel 1955, quando Francesco e Vincenzo, rispettivamente il figlio e il nipote del trisavolo fondatore, iniziarono a pensare di portare in bottiglia il frutto dei propri vigneti e del proprio lavoro. Oggi, ci sono Gina Russo e suo fratello Francesco alla guida dell’azienda di famiglia. Una realtà che crede molto nelle potenzialità del territorio e dei varietali etnei nella produzione di varie tipologie con una particolare attenzione al Metodo Classico. A colpire nella folta schiera di ottimi vini, è l’Etna Rosso Doc Rampante 2012, una selezione che fa le veci della Riserva, reggendo senza alcun segno di cedimento i 9 anni dalla vendemmia. Balsamico ed intrigante, materico e ancora energico. Chiude lungo e saporito.

Etna Urban Winery: chiudo con una realtà che non è ancora uscita con i propri vini ma vale la pena citare per l’unicum che rappresenta in territorio etneo e non solo. Siamo a Petralonga, alle porte di Catania, dove oggi c’è uno svincolo dell’autostrada ma un tempo c’erano strutture rurali, boschi e vigneti e Nicola Purello e la sua famiglia hanno deciso di compiere un’opera di ripristino e tutela di ciò che era e di ciò che può ancora essere. Nasce così Etna Urban Winery.
Un tempo in quest’area alle pendici dell’Etna c’era il “Bosco di Catania”, una grande selva di castagni, querce nane, roverelle, pini e altre piante autoctone, spesso endemiche. Oggi, ciò che resta è qualche lembo di verde innestato in posizioni così scomode e scoscese da renderne inutile l’utilizzo in agricoltura o per l’edilizia. Uno di questi scampoli boschivi è proprio dentro alla proprietà di Nicola, che ha pensato bene di reintrodurre accanto ad esso una serie di parcelle di vigneto alternandole fra nuove impostazioni e sistemi di allevamento antichi come l’alberello etneo. A conferma che qui il vino si faceva da tempo e che, ancor prima, si faceva vigna, ci sono la lunga rasola ancora calpestabile e percorribile nel tour dei vigneti di Etna Urban Winery, i muretti a secco in parte ripristinati e il vecchio palmento datato, addirittura, 1790.
Il giovane Nicola e gli 8 cugini co-fondatori del progetto hanno creato un percorso enoturistico orientato alla valorizzazione del territorio e alla preservazione di questa vera e propria oasi verde a ridosso della città. Lo hanno fatto permettendo un tour dei vigneti e del palmento che sensibilizzi enoturisti e turisti di ogni genere al valore paesaggistico, sociale e culturale del contesto agricolo inteso come lo era un tempo, con la sua alternanza classica e una biodiversità integra e variegata. Il tutto corredato dalla degustazione di vini dell’Etna, in attesa dell’uscita della prima annata prodotta dai vigneti dell’Etna Urban Winery.
Un’esperienza da fare per chi ama la storia dei luoghi e quella branca dell’imprenditoria moderna che mira alla sostenibilità e alla preservazione piuttosto che alla cancellazione del passato in favore di creazioni ex novo.
Per quanto mi riguarda, alla luce della perlustrazione fatta nei vigneti, questo fazzoletto di terra vulcanica, potrebbe persino stupire nel risultato in bottiglia. Staremo a vedere! La curiosità è molta e non mancherò di seguire le evoluzioni di questa piccola virtuosa realtà alle falde del vulcano.
Conclusioni

Fare vino alle pendici de “A Muntagna” non è cosa da poco e quella che per i visitatori e gli enoturisti può essere motivo di suggestione e meraviglia, per chi vive e lavora alla falde del più imponente vulcano attivo d’Europa è una sfida quotidiana, intrisa di incertezza e fatalismo, tenacia e consapevolezza, in una sorta di scambio interiore continuo fra timore reverenziale e gratitudine.
Sì, perché nonostante tutto, i vignaioli sono grati di poter fare vino in un areale che rappresenta un contesto vitivinicolo unico al mondo per bellezza, vocazione e incidenza dei propri marcatori identitari nei vini che ne scaturiscono, ma è anche uno dei pochi territori che possono esprimere senza forzature agronomiche ed enologiche o storture semantiche quelli che sono alcuni dei descrittori enoici più contemporanei eppure più abusati e fuorvianti come: mineralità, biodiversità, verticalità ed eroicità della propria viticoltura. Termini utilizzati, talvolta, a sproposito e per vini e territori che non hanno insiste in sè le peculiarità che l’Etna ha intrinseche nelle sue terre, nelle sue uve e nel prodotto del lavoro dei suoi produttori. Un areale in cui si “beve territorio” è un areale che ha già compiuto un passo avanti nei confronti della valorizzazione della propria identità ma che può e deve continuare sulla strada dell’elevazione della percezione di una produzione d’eccellenza, puntando su tutte le tipologie (è palese che anche tipologie con produzioni minori, ma in crescita, come quelle relative ai Rosati fermi e agli Spumanti – magari con l’aggiunta in disciplinare del Catarratto – non rappresentino solo un mero completamento di gamma per le aziende dell’Etna data la loro spiccata matrice territoriale) ma con contezza e dedicando a ciascuna le particelle e le attenzioni più opportune. Se i Rossi si confermano il cuore pulsante dei vini del vulcano, i bianchi dell’Etna rappresentano la categoria che di più è cresciuta negli ultimi anni sia in termini di numeri che di qualità, con Milo a trainare un segmento in cui l’Etna può competere a livello nazionale e internazionale in maniera sempre più distintiva.
F.S.R.
#WineIsSharing
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