A volte si tende a pensare che l’artigiano non possa cambiare, non evolva, in quanto abbarbicato al proprio fare, sia esso frutto di tradizione, eredità esperienziale o radicata convinzione. In realtà, l’artigiano fa e impara, da errori e successi, da dubbi e scoperte, il tutto senza mai sentirsi padrone di verità assolute, bensì di una consapevolezza in continuo divenire.

Faccio questa premessa perché durante il mio ultimo viaggio a Marsala sono stato a trovare un artigiano (so che a molti questo termine non piace, ma da figlio di un artigiano padrone dell’arte del restauro e del cesello, mi sento di poterlo usare nella sua accezione più positiva) della vigna e del vino. Parlo di Nino Barraco, ritrovato con piacere dopo qualche anno dall’ultimo incontro fugace durante un evento enoico in cui il suo banco era, come di consueto, molto frequentato. Parlare di vigna e di vigna e di vino con lui è sempre estremamente piacevole e costruttivo, ma la percezione che ho avuto potendolo fare camminando i suoi campi e assaggiando nella sua cantina è stata ancor più chiara di quelle avute in passato.

Un approccio critico, uno sguardo indagatore nei confronti di ogni parcella dei suoi 17ha di vigna (soglia oltre la quale difficilmente andrà se non di poco, al fine di poter continuare a gestire tutto in prima persona) e di ogni vasca o botte contenente i suoi vini in divenire; la volontà di mettersi in gioco, di sperimentare e, soprattutto, di comprendere dinamiche di campo e di cantina senza mai dar nulla per scontato. Questo è il piglio dei pionieri e dei saggi di ieri, di oggi e di domani. I progetti condivisi con gli amici vignaioli (vi consiglio di seguire con attenzione le evoluzioni del progetto Halarà portato avanti con gli amici Stefano Amerighi, Francesco De Franco, Corrado Dottori, Francesco Ferreri e Giovanni Scarfone), i vini senza solfiti, le macerazioni ben ponderate, la convinzione che gli ossidativi debbano tornare ad essere la vera e più sincera traduzione di un territorio tanto vocato e generoso quanto fuorviato da scelte inopportune e da opportunità non colte. Tanti spunti sui quali riflettere stappando bottiglie che sanno di territorio e che nulla hanno a che fare con negligenza e improvvisazione.

Nino i suoi vini continua a farli e a farli bene e non c’è stasi nel suo pensiero come non ce n’è nel risultato nel calice che colpisce per identità e nitidezza espressiva.
Tra i vini che ho avuto modo di assaggiare durante la mia visita a Nino vi segnalo quelli che mi hanno colpito di più:

Catarratto Terre Siciliane Igp 2020 – Barraco: nitido nell’esposizione varietale con palesi note agrumate e iodate ad arricchire di connotazioni territoriali frutto e fiore. Fiero nell’ingresso, concreto e materico nello sviluppo del sorso che chiude con una lieve percezione tannica e una lunga sensazione salina a tergere il palato pronto per il prossimo assaggio.
Vignammare Terre Siciliane Igp Bianco 2017 – Barraco: un Grillo 100% (non mi addentrerò nella tematica relativa all’impossibilità di riportare il nome del vitigno in etichetta in quanto non in DOC, in quanto è già stato detto molto e io, da sempre, mi sono schierato in favore della liberalizzazione dei nomi dei vitigni). Luminoso, intenso, fresco nel frutto e nel fiore, con note mediterranee, a tratti balsamiche, ginestra e cedro. Sorso sfaccettato, integro, netto e persistente nella sua chiusura asciutta e marina. Grande equilibrio.
AltoGrado Catarratto Terre Siciliane Igp 2015 – Barraco: l’idea che ronzava in testa da anni a Nino ha preso forma liquida in questo vino! Tornare indietro nel tempo, sino a prima della venuta dei britannici e della fortificazione (pre-british), per dar luogo a qualcosa di estremamente contemporaneo e marcatamente identitario. Sfidare quello che tecnicamente è considerato l’acerrimo nemico del vino (nelle ossidazioni non volute), ovvero l’ossigeno, come strumento per conferire carattere, complessità e longevità. Affinato in botte di castagno da 1000 l, colmata solo i primi due anni, al fine di far formare il biofilm di lieviti flor, in cui i lieviti stessi passano da un metabolismo di tipo anaerobio-fermentativo ad uno di tipo aerobio/ossidativo. Questa particolare tecnica era propria dei vini di Marsala e trova in una rinnovata consapevolezza di Nino e di altri produttori locali che ne stanno seguendo la scia un tramite per ricordare la storia di un territorio attualizzandola e rendendola apprezzabile ai palati più esigenti. L’ossidazione che non omologa, non annichilisce l’identità bensì la enfatizza, portando nel calice aromi evoluti ma vividi, vivi, vitali, in continuo divenire e per nulla decadenti, stanchi o privi di vigore. Il sorso è tonico, materico, saporitissimo, con un finale lungo e terso che sembra gridare a gran voce che questo non è un vino da relegare alla mera meditazione. E’ un vino che nelle mani giuste può far divertire i commensali per la versatilità del suo potenziale di abbinamento.
Quando studio, esperienza e caparbietà vengono convogliati nelle mani di un rispettoso artigiano il risultato non può che appagare curiosità palatale e mentale.
F.S.R.
#WineIsSharing
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