Rotundone – Il pepe nel vino e non solo!

Negli ultimi anni la mia passione per i precursori aromatici e per i terpeni in particolare, mi ha portato ad approfondire la conoscenza di una molecola responsabile di una peculiarità organolettica che, spesso, colleghiamo all’affinamento in legno ma che, in realtà, può essere propria del corredo varietale ed enfatizzata da determinate condizioni mesoclimatiche: la speziatura.

Il Rotundone e i sentori pepati del vino

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La speziatura “naturale” è un carattere distintivo di molti vitigni e lo è ancor di più quando l’aroma in questione è riconducibile al pepe.
Il responsabile della caratteristica nota pepata che riscontriamo nel calice (dapprima anche nell’assaggio delle uve mature e dei mosti) si chiama Rotundone, una particolare molecola identificata solo di recente (nel 2008) dall’Australian Wine Research Institute (AWR).

La chimica del Rotundone

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Più tecnicamente il Rotundone è sesquiterpene biciclico presente nella buccia dell’uva e in particolare nell’esocarpo (di alcuni varietali e in quantità differenti in base ai singoli cloni) che ha nell’α-guaiene il suo precursore diretto. Questo significa che la quantità di Rotundone è condizionata dalla presenza e dalla qualità del suo precursore che da origine al sesquiterpene tramite un processo di ossidazione diretta o enzimatica.

Riporto qui di seguito un mio virgolettato citato da la neo-laureata Lara Baldan (che ringrazio vivamente per l’attenzione dedicata ai miei scritti) nella sua tesi:

“Ai fini della valorizzazione del Rotundone e della sua particolare incidenza sullo spettro olfattivo dei vini, sarà opportuno indagare su quali siano le attività agronomiche ed enologiche in grado di preservare e, in taluni casi, esaltare le doti di tali varietà. Ecco quindi che la scelta dell’esposizione e della disposizione dei filari, la gestione della parete fogliare, l’utilizzo di trattamenti più o meno inibenti lo sviluppo e l’accumulo di Rotundone, rese ponderate e, successivamente, valutazioni su le macerazioni, sul controllo della temperatura in vinificazione e sull’utilizzo di eventuali coadiuvanti o chiarificanti, saranno aspetti da tenere in grande considerazione se si vorrà lavorare sullo sviluppo dell’α-guaiene, precursore diretto del Rotundone. Va ricordato, però, che la forza espressiva e la persistenza degli esiti olfattivi di una maggior presenza di Rotundone non sono necessariamente valori da spingere al loro massimo potenziale, bensì è opportuno, specie con i varietali più dotati di Rotundone, ponderarne e ricercarne un equilibrio tale da rendere le note pepate, una componente intrigante e caratterizzante in armonia con gli altri aromi e le altre componenti organolettiche in toto. Probabilmente è proprio questa armonia che ha reso simbolo della speziatura una varietà come il Syrah, a discapito delle nostre varietà che non sempre riescono a manifestare i sopracitati equilibri degustativi”.

Per restare in ambito prettamente organolettico, per anni l’aroma speziato/pepato è stato ricondotto principalmente ai Syrah/Shiraz ma grazie agli studi (del 2011) dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige si è potuto evidenziare quanto altre varietà (tra le quali alcune autoctone italiche) siano dotate di un’alta concentrazione di Rotundone. Le varietà prese in considerazione furono Schioppettino, Vespolina, Groppello di Revò e Gruener Veltliner.

E’ evidente, per chi ha avuto modo di assaggiare questi vini, che l’aroma di pepe è sicuramente preponderante quando si vinificano in purezza questi varietali con livelli che superano rispettivamente di 35 volte per le rosse e di oltre 17 volte per la varietà a bacca bianca più coltivata in Austria la soglia di percezione. Essendo una molecola molto impattante anche il range di concentrazione nei vini che sviluppano un percettibile aroma da essa derivato va dai ca. 100 ng/L ai quasi 600 ng/L. E’ pur vero che non tutti gli individui possono contare sulla stessa soglia di percezione del Rotundone (un po’ come avviene per il TCA) e questo può influire molto sull’indice di gradimento di alcuni vini.

Non starò qui a dilungarmi sulle tecniche di analisi che hanno portato alla scoperta e alla quantificazione del Rotundone in determinati varietali in quanto non credo vi interessi approfondire argomenti come l’estrazione in fase solida, la microestrazione o la gas-cromatografia e la spettrometria di massa. E’ importante, però, sapere che essendo il Rotundone una molecola della famiglia dei terpeni è possibile identificarne la presenza anche soltanto assaggiando gli acini maturi.
Ci sono molti composti nel vino che contribuiscono all’aroma e al sapore di ogni varietà ma il Rotundone fa parte di una cerchia ristretta che può vantare una specifica caratteristica aromatica distintiva assegnata ad esso singolarmente. Molti degli aromi del vino sono dovuti all’interazione di diversi tipi di precursori e la rarità di molecole come il Rotundone fa sì che proprio questa categoria possa aiutare a definire differenti cloni e/o biotipi.

Non solo Syrah!

All’estero sono state rilevate soglie abbastanza importanti di Rotundone in uve Syrah, Mourvèdre e Durif, ma anche nel Cabernet Sauvignon e del Riesling.

La concentrazione di Rotundone e ciò che la influenza

Se ho deciso di pubblicare questo articolo, però, non è perché è palese quanti altri vitigni tipici italiani vantino questa caratteristica speziatura naturale, grazie all’accumulo di concentrazioni di questa molecola ben più alte delle varietà “alloctone” sopra indicate.
Parlo di capacità di accumulo in quanto, seppur gli studi relativi a questo aspetto siano solo agli albori, sembra chiaro che le condizioni climatiche, la conduzione agronomica, il sistema di allevamento, le rese e, in particolare, la gestione della parete fogliare di ogni singola vigna rappresentino aspetti determinanti per la concentrazione di Rotundone nelle uve e, in particolare, nella buccia (nello specifico nell’esocarpo). Fondamentale sarà anche la vinificazione che potrà essere orientata a una maggior estrazione del Rotundone in macerazione (essendo presente anche nelle parti vegetali l’utilizzo del grappolo intero sembra dare risultati interessanti nell’estrazione della molecola e nella sua enfasi espressiva). Indagini fatte sulla Corvina hanno appurato che circa il 10% del Rotundone passa direttamente al mosto durante le prime fasi della vinificazione per poi ottenere una maggior estrazione durante la fermentazione alcolica. E’ importante sottolineare che, a prescindere dalle tecniche di vinificazione, non sarà possibile riscontrare nei vini finiti una quantità di Rotundone superiore a ca. il 5% del valore iniziale (ovvero quello relativo alla concentrazione nelle uve), in quanto molto di esso decade durante la vinificazione e la filtrazione.
Parliamo comunque di un composto con una bassa volatilità che, quindi, si manifesta spesso in maniera differente di varietale in varietale, pur con quantità simili, in base alla presenza di aromi volatili più o meno sussistenti che precedono o integrano la speziatura tipica del Rotundone. Essendo poco volatile lo troveremo molto nitido anche nella percezione retrolfattiva e si avrà la sensazione di ritrovarlo al sorso dando grande coerenza naso-bocca.

Come accennato, tra le condizioni più incidenti sullo sviluppo del Rotundone da parte della vite e dell’uva è fondamentale l’andamento climatico stagionale, in relazione a giacitura, esposizione, altitudine e più in generale alla posizione del vigneto (non c’è da meravigliarsi, quindi, se in annate calde le uve dei vigneti in zone più fresche avranno una concentrazione percettibilmente – e non solo analiticamente – maggiore di quelle raccolte nelle zone con più alti picchi di calore e maggior irradiamento solare). Questo aspetto non può che far pensare che il cambiamento climatico in atto possa incidere in maniera importante anche sulla disponibilità di questa molecola in molte zone e per molti dei varietali dotati di buone concentrazioni di Rotundone. E’ pur vero, però, che alcuni di questi vitigni concorrono “tradizionalmente” alla produzione di vini freschi e a essi non è sempre riservata la zona con le condizioni reputate (in passato) più performanti in termini di vocazione e predisposizione a una buona maturazione. Questo aspetto, congiuntamente a raccolte non tardive, può rappresentare una sorta di tutela nei confronti di questa peculiarità in alcune varietà. Va evidenziato, inoltre, quanto la speziatura naturale di alcuni vini risenta della maturità del frutto (che deve comunque essere completa) sia in termini di raccolta che in termini organolettici, in quanto determinati sentori surclassano letteralmente le più lievi note pepate. Ecco perché, quando pensiamo ai sentori speziati ci orientiamo più spesso a Nord o a vini prodotti con varietà coltivate in altitudine, in zone non eccessivamente calde (anche del sud) e, magari, abbinate a contesti a forte trazione minerale come le terre vulcaniche. In questo contesto rientra la grande quantità di vitigni e di vini “naturalmente speziati” di cui dispone il Piemonte, mostrando e dimostrando una particolare incidenza del mesoclima di alcune zone nei confronti dello sviluppo e dell’accumulo della molecola in varietà già dotate di una buona disponibilità di base di Rotundone. Eppure, oltre al fattore climatico e a quello agronomico, sarebbe interessante indagare quello prettamente ampelografico e, nello specifico, la genetica di queste varietà così concentrate in un areale relativamente circoscritto e così ricche di questo sesquiterpene. Contestualmente, sarebbe interessante comprendere quante varietà del “Centro-Sud” e/o di zone tendenzialmente più calde e secche, abbiano geneticamente disponibilità di Rotundone ma non lo sviluppino e/o non lo accumulino per via delle specifiche condizioni climatiche.

Le varietà italiane più dotate di Rotundone e/o di speziatura naturale

Durante gli assaggi fatti in giro per l’Italia negli ultimi anni ho avuto modo di rendermi conto che anche altri vitigni possono sviluppare questa particolare caratteristica organolettica e, seppur non si siano ancora fatte analisi su campioni di questi specifici varietali, reputo interessante invitarvi all’assaggio di vini (preferibilmente non affinati in legno in modo da lasciare integra la speziatura naturale dei varietali) prodotti con le seguenti varietà (che si vanno ad aggiungere alle già citate uve Schioppettino, Vespolina e Groppello di Revò):

  • Schiava
  • Ruchè
  • Lacrima di Morro d’Alba
  • Corvina
  • Pelaverga
  • Grignolino
  • Freisa
  • Brachetto
  • Canaiolo Nero
  • Nocchianello Nero
  • Mammolo
  • Cesanese di Affile
  • Piedirosso
  • Monica di Sardegna
  • Magliocco Canino
  • Frappato
  • Corinto Nero
  • Perricone o Pignatello (anche detto Tuccarinu o Guarnaccia)
  • Vernaccia Nera di Serrapetrona, Tai Rosso, Gamay del Trasimeno, Cannonau, Alicante, Nelson ecc… (è interessante come tutte le derivazioni genetiche della grande famiglia della Grenache e la Grenache stessa godano di una più o meno importante dotazione di Rotundone, in base al biotipo e alle condizioni mesoclimatiche in cui sono state impiantate).

In piccole quantità il Rotundone si palesa anche in Sangiovese, Nebbiolo, Nerello Mascalese, Refosco D.P.R., Nero d’Avola, Nocera, Nero di Troia, Montepulciano, Bonarda, alcuni Lambruschi e il Raboso (oltre che negli alloctoni Pinot Nero e Carménère) ma la percezione dipende molto – oltre che dalle condizioni climatiche – dalla vinificazione, in quanto macerazione, utilizzo del grappolo intero e assenza di legno possono agevolare una maggior incidenza delle note speziate/pepate nei vini freschi. Sarebbe interessante valutarne la presenza, in termini analitici, anche in varietà a bacca bianca quali il Trebbiano Spoletino, il Ribona/Maceratino, la Garofanata, la Verdeca, il Greco Bianco, la Malvasia Puntinata, la Coda di Volpe, il Catarratto e tutti quei vitigni che danno origine a vini bianchi dotati di buona speziatura naturale, in alcuni contesti e da specifiche vinificazioni.

macerazione fermentazione a grappolo intero raspi

In linea di massima, la piacevolezza di molti dei vini dotati di buona concentrazione di Rotundone è data dalla combinazione dell’intrigante impatto aromatico e una spontanea e dinamica finezza al sorso che, nelle interpretazioni meno “mature” e “affinate”, contribuisce ad una notevole agilità di beva.
E’, ormai, assodato che il Rotundone sa esprimersi in maniera più netta nei vini prodotti con uve meno ricche di altre componenti aromatiche e, ancora, nei vini prodotti da uve mature ma non surmature. Proprio in tal senso si stanno portando avanti studi riguardo gli esiti dell’accumulo di Rotundone in maturazione e il decadimento di tale molecola con il processo di surmaturazione.

Il Rotundone in degustazione

Esuli da ulteriori elucubrazioni mentali legate alla chimica, parlando in termini più empirici e pragmatici ciò che mi ha colpito è la facilità con la quale chi è abituato ad assaggiare molto e a sostenere lunghe sessioni di degustazione cerchi riparo per l’anima, il cervello e il palato nei vini di cui sopra che vedono nella speziatura naturale un trait d’union esaltato e reso ancor più piacevole da freschezza e completa assenza di ostacoli alla beva. Si tratta di quei vini che ho sempre definito dall’abbrivio inerziale, dei quali io stesso non mi stanco facilmente.
Non amo parlare di abbinamenti e di temperature, perché lascio questi aspetti agli amici Sommelier, ma provate a servire i vini di cui sopra attorno ai 12/14° e otterrete due risultati: esalterete la spezia e renderete ancor più dinamica la beva. Vini che non hanno bisogno di legno per rendere complesso il proprio profilo aromatico ma che al contempo non lo temono se ben dosato e ponderato nella dimensione, nella tostatura e nella grana.

Quindi, personalmente, amo il connubio fra spiccata presenza di Rotundone e vini moderata carica antocianica (ma non eccessivamente diafani), dal piglio fruttato e floreale fine e dalla longilinea freschezza il tutto senza eccedere, ovviamente, nell’estratto e e con una lieve ma fitta trama tannica a rendere il sorso per nulla scontato.

Ecco come “usare” una molecola per darvi “la scusa” di bere vini che per anni molti hanno considerato “vinelli”, “vini facili”, “vini da pronta beva” ma che oggi rappresentano i cardini di una piccola grande “rivoluzione enoica” che vede in queste espressioni varietali e territoriali una nicchia interessante, divertente e piacevole che merita grandissima attenzione e rinnovato rispetto (vedi “vini da merenda” 4.0)

Come il pepe in cucina

Eppure, mi piace pensare che la dote migliore di queste varietà (non a caso, molte di esse, erano considerate “gregarie”) sia la loro capacità di addurre a uvaggi e vinaggi la propria personalità in maniera ponderata e modulata, conferendo intriganti speziature e complessità balsamiche senza ausilio di legno o di particolari addizioni enologiche. Un vero e proprio pepe del vino, capace di esaltare freschezza e sensazioni saporite, rendendo decisamente più interessanti i profili olfattivi e gustativi di molti vini che, a causa dell’ostinata ricerca dell’espressione del varietale in purezza (invenzione dell’enologia moderna, basti pensare alla base ampelografica storica/tipica della maggior parte dei vigneti italiani e non solo) rischiano di sfociare nella monotonia. Inoltre, per quanto io le possa amare, ho appurato quanto l’eccessiva speziatura di alcuni vini possa risultare divisiva e creare reticenze gustative in alcuni “palati”. Ecco quindi che il Mammolo e il Canaiolo Nero acquisiscono un ruolo fondamentale negli uvaggi classici di molti areali toscani; la Vespolina si fa sentire in molti vini dell’Alto Piemonte; la Vernaccia Nera diverte in combinazione con il Sangiovese nelle Marche; il Piedirosso conferisce spezia e freschezza al, talvolta, cupo Aglianico ecc…

Un aspetto, quello della possibilità di attingere ad alcune varietà dotate di Rotundone nella cofermentazione o nel taglio, che va di pari passo con l’ipotesi di poter riuscire a lavorare in “sottrazione” (minor impatto dell’addizione enologica e dell’affinamento) semplicemente utilizzando come “ingredienti” le uve a disposizione del produttore, in un approccio tecnicamente più consapevole che non ricalchi pedissequamente il passato (le motivazioni per le quali i vigneti non erano mai monovarietali – a parte rarissime eccezioni – erano più indotte dalla necessità di portare a casa il prodotto e dalla propagazione autonoma del materiale intra-zonale) ma prenda spunto da quel contesto vitivinicolo per andare a ricreare dei vini fortemente ancorati al territorio e capaci di sopperire alle mancanze e far fronte alle difficoltà che, in alcuni casi (e sempre più spesso in termini di andamento climatico), alcuni vitigni, da soli, evidenziano.

Detto questo, non mi resta che attendere i vostri riscontri (ed eventuali segnalazioni di vitigni e vini dalle simili peculiarità) e invitare i produttori dei varietali citati a fare un’analisi che possa determinare la presenza di Rotundone nei propri vini per comprendere a pieno l’incidenza di questa molecola di zona in zona e di vitigno in vitigno in rispondenza alle singole conduzioni agronomiche e enologiche.

F.S.R.

#WineIsSharing

Fonti

AWRI: https://www.awri.com.au/wp-content/uploads/2019/02/fact-sheet-pepper-flavour-in-wine.pdf Fondazione Banfi: https://fondazionebanfi.it/php/dl.php?id=3975&md=2870; Asso Enologi: https://www.assoenologi.it/wp-content/uploads/2019/02/determinazione_rotundone_gennaio2015.pdf

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