Etna, le contrade, i versanti e i suoi vini – Il successo dell’identità territoriale

Nel mondo del vino esistono areali, territori, denominazioni e vini capaci di segnare la storia di questo settore, riuscendo a mantenere e/o implementare il proprio “status” attraverso innumerevoli “ere enoiche”, altri hanno vacillato per poi cadere e non riprendersi e altri ancora hanno vissuto fasi di declino seguite da una vera e propria epoca di rinascimento vitivinicolo.
Quando penso agli areali che di più sono cresciuti in termini di qualità e percezione negli ultimi 10/15 anni il primo a venirmi in mente è sempre lo stesso, ovvero quello dell’Etna!
Un areale che ha visto emergere la propria produzione vinicola in maniera esponenziale, forte di un’identità così difficile da snaturare e incidente da permettere ai suoi vini di trascendere e bypassare il concetto prettamente varietale in favore del territorio.

vendemmia etna contrade

Una produzione che necessitava di un rilancio data la sua storicità e la storica perdita di vigneti che a metà ‘800 contavano su 26.000 ettari, mentre alla fine del secolo i suoi 90.000 ettari contribuivano a rendere la provincia di Catania come la più vitata d’Italia. Per un po’ le cose andarono bene, in quanto la viticoltura etnea procedeva a spron battuto mentre quella del resto d’Europa era messa in ginocchio dalla fillossera che sembrava non attecchire nei terreni sabbiosi di matrice vulcanica di queste zone. In quel periodo dal porto di Riposto partivano grandi masse di vino “sfuso” pronte a raggiungere le regioni del nord Italia e della Francia rimaste a secco. Purtroppo, la fillossera, seppur con un po’ di ritardo, arrivò anche sull’Etna, combinando i suoi esiti con quelli delle frequenti colate laviche e dell’incertezza economica dei primi del ‘900, portando al dimezzamento del parco vigne dell’areala. All’inizio del ‘900, la superficie vitata si era, intatti, ridotta a “soli” 40.000 ettari che andarono decimandosi nel corso del secolo scorso. “Soli” 40.000 ettari che sembrano un’enormità se si pensa che, oggi, in un periodo di grande ripresa l’intero areale conta ca. 1.200ha vitati, raddoppiati negli ultimi 10 anni. Una storia comune a molte aree vitivinicole italiane quella relativa alla perdita di superficie vitata ma a poche se si pensa alla vera e propria nascita di una fase completamente nuova del vino dell’Etna. Storia che ricorre nella saggezza della gestione degli antichi vigneti ad alberello e nella volontà di perorare l’identità territoriale di uno dei luoghi più suggestivi, vocati e connotanti del globo, ma che ben poco ha a che fare con l’epopea dei vini del Vulcano, capaci di guadagnarsi “da zero” un appeal unico nel suo genere a livello nazionale e, soprattutto, internazionale, compiendo un percorso di posizionamento qualificante e gratificante per tutto il movimento vitivinicolo locale. Molto si deve a chi, da fuori, ha apportato una visione illuminata e più ampia del panorama vitivinicolo etneo e del contesto enoico globale in cui avrebbe potuto inserirsi, contando su un potenziale, all’epoca, minimamente espresso. Tra questi spiccano Andrea Franchetti e Marc De Grazia, geniali e rispettosi produttori e imprenditori che all’Etna hanno concesso fiducia, tempo e investimenti venendo ampiamente ripagati non solo dal successo delle proprie realtà, bensì dal seguito che hanno ottenuto, stimolando la crescita e la nascita di cantine di produttori “autoctoni” e “alloctoni” tutti uniti da una rinnovata consapevolezza.

Tornando al “vigneto Etna”, parliamo di appezzamenti disposti fra i 300 e i 1000 metri slm ca., spingendosi in alcune zone fino ad oltre 1.300 metri di altitudine (ma 1000m slm resta la massima altitudine della DOC). Questi vigneti si trovano in varie “sottozone” chiamate “contrade”.

Le Contrade dell’Etna Doc

Le Contrade che, dal 2011, sono state riconosciute come MGA sono 133 (9 verranno aggiunte a breve, in quanto emerse dall’ultima zonazione), così suddivise:


Castiglione di Sicilia: Contrada Acquafredda, Contrada Cottanera, Contrada Diciasettesalme, Contrada Mille Cocchita, Contrada Carranco, Contrada Toirequarino, Contrada Feudo di Mezzo, Contrada Santo Spirito, Contrada Marchesa, Contrada Passo Cianche, Contrada Guardiola, Contrada Rampante, Contrada Montedoice, Contrada Zucconerò, Contrada Pettinociarelle, Contrada Schiqliatore, Contrada Imboscamento, Contrada Grotta della Paglia, Contrada Mantra murata, Contrada Dafara Galluzzo, Contrada Pagala Gualtieri, Contrada Palmellata, Contrada Piano filici, Contrada Picciolo, Contrada Carestia, Contrada Moscamento, Contrada Fossa san Marco, Contrada Pontale Palino, Contrada Grasa, Contrada Piano dei daini, Contrada Zottorinotto, Contrada Malpasso, Contrada Pietra Marina, Contrada Vergella, Contrada Muganazzi, Contrada Arcuria, Contrada Pietrarizzo, Contrada Bragaseggi, Contrada Sciambro, Contrada Vena, Contrada Iriti, Contrada Trimarchisa, Contrada Vignagrande, Contrada Canne, Contrada Barbabecchi, Contrada Collabbasso.

Linguaglossa: Contrada Pomiciaro, Contrada Lavina, Contrada Martinelli, Contrada Arrigo, Contrada Friera, Contrada Vaccarile, Contrada Valle Gallina, Contrada Alboretto – Chiuse del Signore, Contrada Panella – Petto Dragone e Contrada Baldazza.

Milo: Contrada Villagrande, Contrada Pianogrande, Contrada Caselle, Contrada Rinazzo, Contrada Fornazzo, Contrada Praino, Contrada Volpare e Contrada Salice.

Randazzo: Contrada Imbischi, Contrada San Teodoro, Contrada Feudo, Contrada Ciaramella, Contrada Allegracore, Contrada Città Vecchia, Contrada Giunta, Contrada Campo Re’, Contrada San Lorenzo, Contrada Scimonetta, Contrada Bocca d’Orzo, Contrada Arena, Contrada Pignatuni, Contrada Chiusa Politi, Contrada Pianodario, Contrada Statela, Contrada Pignatone, Contrada Montelaguardia, Contrada Pino, Contrada Sciara Nuova, Contrada, Contrada Croce Monaci, Contrada Taccione, Contrada Calderara.

Santa Maria di Licodia: Contrada del Cavaliere.

Trecastagni: Contrada Cavotta, Contrada Monte Ilice, Contrada Carpene, Contrada Grotta Comune, Contrada Eremo Di S.Emilia, Contrada Monte Gorna, Contrada Ronzini, Contrada Monte S.Nicolò e Contrada Tre Monti.

Viagrande: Blandano, Cannarozzo, Monaci, Monte Rosso, Monte Serra, Muri Antichi, Paternostro, Sciarelle e Viscalori.

Biancavilla: Maiorca, Torretta, Rapilli, Stella e Spadatrappo.

Zafferana: Fleri, San Giovannello, Cavotta, Pietralunga, Pisano, Pisanello, Fossa Gelata, Scacchiere, Sarro, Piricoco, Civita, Passo Pomo, Rocca d’api, Cancelliere – Spuligni, Airone, Valle San Giacomo, Piano dell’Acqua, Petrulli, Primati ed Algerazzi.

N.B.: La mappa è stata realizzata dal Consorzio di Tutela Etna DOC sovrapponendo un insieme di layer dati condivisi tramite Gis. La mappa ha carattere puramente divulgativo e non è di riferimento per l’individuazione delle Unità Geografiche Aggiuntive (contrade).

I versanti dell’Etna

versanti etna vigne


Se questa è la vera e propria zonazione dell’areale dei vini dell’Etna c’è, però, un macro distinguo da fare in questa “C” rovesciata che cinge da Nord a Sud-Ovest il vulcano e si tratta dei versanti:

Versante Nord: è il versante più vitato e con maggior presenza di cantine, grazie alla sua vocazione e alla maggior “affabilità” dei pendii. I vigneti, in questo versante, si spingono non oltre gli 800 m s.l.m. ma l’escursione termica è notevole. Sono i vitigni a bacca rossa e, in particolare, il Nerello Mascalese a primeggiare, con una continua cresciuta del Carricante. I vini in questo versante a trazione rossista vantano un buon equilibrio fra struttura e freschezza e manifestano una buona longevità.

Versante Est: nei vigneti che si affacciano sul Mar Ionio, godono di questa esposizione unica per quanto riguarda la denominazione, potendo beneficiare di quote che si spingono fino ai 900m slm e dell’influenza del mare. E’ sicuramente la zona più piovosa ma anche quella più ventilata. Questo è il versante a trazione bianchista, in cui il Carricante prevale sugli altri varietali. Milo è il riferimento di questo versante rappresentando l’unico comune nel quale è possibile produrre l’Etna Bianco Superiore. Motivo di questa scelta, oltre alle particolari condizioni climatiche, sono il terreno (più stratificato e meno roccioso, con i lapilli vulcanici a ricoprirne la superficie) e l’irradiamento solare, sicuramente più idoneo alla maturazione dei bianchi che delle uve rosse (che qui difficilmente giungono a piena maturità). E’ il versante della finezza, della verticalità e quello che in prospettiva potrà stupire maggiormente in termini di longevità.

Versante Sud-Est: vigneti ad alta quota adagiati sui numerosi i coni eruttivi spenti, una benefica influenza marina e un irradiamento ottimale. Queste sono i presupposti ideali per avere vini coerenti ed equilibrati, con una buona continuità produttiva.

Versante Sud-Ovest: è il versante del quale si è parlato di più negli ultimi anni in quanto oggetto di investimenti importanti, nonostante (o grazie) la sua vocazione percepita sia inferiore a quella del versante “nord”. Forte l’escursione termica, specie nei vigneti più in quota (qui oltre i 1.000 metri slm), più contenute piovosità e umidità, con venti caldi a mitigare e asciugare quando occorre. Ottimale l’irradiamento solare, sia per intensità che per arco temporale. I vini di questo versante sono tendenzialmente più carichi di colore, vantano uno spettro olfattivo più intenso e un maggiore grip tannico.

L’identità territoriale dell’Etna: prima la terra poi il vitigno

Quando penso all’Etna, non posso fare a meno di pensare a considerazioni riguardo la valorizzazione del territorio, prima ancora di quella varietale. Per questo riporto qui di seguito un passaggio di un mio pezzo sull’importanza dell’identità territoriale, veicolata anche e soprattutto da uvaggi e/o vinaggi tipici locali.

“Pensiamo a Bordeaux e ai suoi celebri “tagli bordolesi” o a Châteauneuf du Pape, ai nostri uvaggi “Chiantigiani” (che “purtroppo” stiamo perdendo in molte realtà in favore della purezza o di vinificazioni separate per via dell’impianto di vigneti monocultivar, sicuramente più precisi tecnicamente parlando ma meno aderenti a quelle che potrebbero essere delle condizioni utili al raggiungimento di risultati dalla più spiccata identità territoriale), questi territori hanno bypassato, seppur in epoche differenti e con esiti altrettanto diversi, il concetto di “purezza varietale” come veicolo primario di identità e di riconducibilità territoriale. In epoca “moderna” solo l’Etna, ha saputo puntare sin dal principio sulla forza sul proprio territorio, cercando di elevarne la percezione a prescindere dal varietale. Per intenderci, vi invito a chiedere a neofiti e anche ad alcuni addetti ai lavori se conoscono le basi ampelografiche di Etnea Rosso ed Etna Bianco Doc nella loro totalità. Non mi meraviglierebbe se – come successo più volte – non la conoscano. Una lacuna? Niente affatto! Io credo fortemente che la denominazione Etnea e tutto il movimento territoriale anche “extra-doc” siano riusciti a portare nelle menti e nei calici (aiutati sicuramente dagli “occhi” hanno il Vulcano come riferimento visivo e sinestetico) un’identità territoriale così forte da valere più di qualsiasi cognizione varietale, tanto che, oggi, questo valore territoriale incide anche sui vini non in denominazione come alcuni spumanti o i vini da varietà non tipiche (es.: Pinot Nero).

Sì, perché chi beve Etna non beve solo Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio nel caso dell’Etna Rosso o Carricante, Catarratto (sarebbe meglio dire “i Catarratti”), Minnella, Trebbiano e altri vitigni locali nel caso degli Etna Bianco, bensì beve “ETNA”!
Un concetto tanto semplice quanto lontano da una progressione enologica e commerciale che negli ultimi 30 anni ha puntato molto di più verso la “purezza” e il “varietale” che nella valorizzazione del territorio e della sua identità in senso stretto e in senso lato.
Quindi un’identità generale che va oltre il varietale, oltre la tipologia ma che vede nelle Contrade un ulteriore valore aggiunto in termini di specificità e peculiarità. Fondamentale resta, però, l’interpretazione del singolo, quella componente antropologica (agronomi ed enologica) dalla quale il concetto di terroir non può e non deve prescindere, nonostante la forza espressiva del Mongibello debba restare il comun denominatore dei vini del vulcano.

Il pezzo completo sull’identità territoriale e quella varietale:

A Muntagna – Le certezze nell’incertezza costante

Fare vino alle pendici de “A Muntagna” non è cosa da poco e quella che per i visitatori e gli enoturisti può essere motivo di suggestione e meraviglia, per chi vive e lavora alla falde del più imponente vulcano attivo d’Europa è una sfida quotidiana, intrisa di incertezza e fatalismo, tenacia e consapevolezza, in una sorta di scambio interiore continuo fra timore reverenziale e gratitudine.

Sì, perché nonostante tutto, i vignaioli sono grati di poter fare vino in un areale che rappresenta un contesto vitivinicolo unico al mondo per bellezza, vocazione e incidenza dei propri marcatori identitari nei vini che ne scaturiscono, ma è anche uno dei pochi territori che possono esprimere senza forzature agronomiche ed enologiche o storture semantiche quelli che sono alcuni dei descrittori enoici più contemporanei eppure più abusati e fuorvianti come: mineralità, biodiversità, verticalità ed eroicità della propria viticoltura. Termini utilizzati, talvolta, a sproposito e per vini e territori che non hanno insiste in sè le peculiarità che l’Etna ha intrinseche nelle sue terre, nelle sue uve e nel prodotto del lavoro dei suoi produttori. Un areale in cui si “beve territorio” è un areale che ha già compiuto un passo avanti nei confronti della valorizzazione della propria identità ma che può e deve continuare sulla strada dell’elevazione della percezione di una produzione d’eccellenza, puntando su tutte le tipologie (è palese che anche tipologie con produzioni minori, ma in crescita, come quelle relative ai Rosati fermi e agli Spumanti – magari con l’aggiunta in disciplinare del Catarratto – non rappresentino solo un mero completamento di gamma per le aziende dell’Etna e che possiedano, anch’esse, un forte corredo identitario) ma con contezza e dedicando a ciascuna le particelle e le attenzioni più opportune. Se i Rossi si confermano il cuore pulsante dei vini del vulcano, i bianchi dell’Etna rappresentano la categoria che di più è cresciuta negli ultimi anni sia in termini di numeri che di qualità, con Milo a trainare un segmento in cui l’Etna può competere a livello nazionale e internazionale in maniera sempre più distintiva.

vigne etna lava

Un esempio per tutti gli areali che vogliono splendere o tornare a splendere

Come sono solito dire durante i miei costanti incontri con i produttori di quegli areali vitivinicoli italiani che, nonostante il grande e palese potenziale, non stanno ricevendo la giusta attenzione e il giusto riconoscimento in termini di posizionamento e percezione, il successo etneo è un esempio al quale anelare. Se è vero, infatti, che l’Etna non è replicabile per la suggestione e la “potenza” del Vulcano e del suo contesto pedoclimatico, il fatto che la sua valorizzazione sia avvenuta in tempi recenti può e deve far tornare molti produttori a credere nelle possibilità dei propri areali, scevri di sudditanze psicologiche e del peso di anni difficili e di scelte non sempre azzeccate. Non è semplice, ma si può fare!

F.S.R.

#WineIsSharing

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