La storia d’amore fra la cantina Marchesi Alfieri e la Barbera attraverso un’esaustiva verticale dell’Alfiera e non solo..!

La storia vitivinicola del Piemonte vanta trascorsi legati e correlati a varietà che ne hanno delineato i connotati e le prospettive per secoli e tra queste la Barbera ha giocato un ruolo fondamentale, ben prima dell’epopea dei nebbioli.

Eppure, non sono molte le cantine che hanno continuato a credere in questo vitigno anelando a posizionamenti differenti da quelli del “vino più amato dai vignaioli” (dapprima come alimento corroborante e poi come immancabile complemento della tavola). A San Martino Alfieri, però, c’è una realtà che ha, da sempre, visto nella Barbera e nei vini da essa scaturiti i più fedeli traduttori della propria identità territoriale e le espressioni apicali dei propri obiettivi enologici.

Parlo della Cantina Marchesi Alfieri che nella cantina a ridosso dello storico castello vinifica le uve dei propri 21 ettari di vigneto nelle sinuose colline tra Alba e Asti. Vigneti nei quali è regina indiscussa è la Barbera, che raggiunge la sua massima espressione in termini di complessità e di aderenza territoriale (grazie alla capacità del profondo apparato radicale di attingere a pieno alla matrice pedologica composta di sabbie, argilla e limo, con alte percentuali di sodio, potassio e calcio) nel vigneto denominato “Quaglia”. Siamo sul versante sud della collina, sicuramente il più vocato alla coltivazione della Barbera, piantato nel 1937, oggi condotto in regime biologico, il vigneto dell’Alfiera è un inno alla tenacia e alla fiducia della varietà nel persistere (è uno dei vitigni più soggetti alla flavescenza dorata) e della Cantina Marchesi Alfieri nel continuare a spingersi oltre nel declinare questa nobile varietà.

Oggi sono le tre sorelle Emanuela, Antonella e Giovanna San Martino di San Germano a guidare l’azienda, con un piglio tanto rispettoso per il passato quanto improntato all’innovazione e alla crescita continua, mettendosi in discussione di vendemmia in vendemmia, grazie anche al lungimirante coordinamento tecnico di Mario Olivero, direttore dell’azienda.

sorelle marchesi alfieri

Un nuovo capitolo della storia di Marchesi Alfieri che da oltre 30 anni mette la Barbera al primo posto, tanto che il motivo di questo articolo è proprio una profonda verticale della Barbera d’Asti Superiore Docg “Alfiera” che attraversa proprio 6 lustri del “nuovo” corso aziendale.

Nello specifico le annate in degustazione erano la: 1993 -1998 – 2001- 2003 – 2005 – 2007 – 2011 – 2015 – 2017 – 2019.

verticale barbera alfiera marchesi alfieri

Una batteria in cui si alternano annate di minore e di maggiore complessità di gestione agronomica ma in cui si evince un’evoluzione tecnica, stilistica e concettuale che attraversa il tempo puntando dritta all’eleganza. Suggestivo l’incontro nel calice con annate come la 1993, ancora in piena trazione e dall’indiscussa complessità; o come la 2003 che, nonostante la difficoltà di una delle annate più torride del nuovo millennio (ergo, di sempre) si mostra suadente nella sua maggior morbidezza ma, altresì, tonica e senza alcun segno di cedimento ossidativo o strutturale; o ancora la 2005 che si esalta per integrità e verve, con fine eleganza, profondità di sorso e un finale decisamente saporito.

alfiera verticale vino marchesi alfieri barbera

Se queste annate dimostrano la notevole attitudine dei vini Barbera alla longevità, è il cambio di marcia impresso nelle ultime annate a stupire e compiacere chi vorrebbe veder nascere dalla Barbera di oggi vini nitidamente afferenti al proprio territorio di riferimento, con una dinamica più contemporanea, votata a esaltare le potenzialità di questa varietà rispetto ai cambiamenti climatici che possono, sì, indurre maggior concentrazione ma, al contempo, evidenziano la sua naturale predisposizione a bilanciare la struttura con il proverbiale nerbo acido, senza dover temere – a differenza di vitigni più tannici – maturità fenoliche particolarmente arretrate. Il tutto mirando all’auspicabile connubio di eleganza e agilità di beva, nell’esaltazione dell’identità e nel rispetto degli equilibri di ogni annata.

Ecco quindi che 2015 e 2019 (annata in commercio che promette grandi cose!) proprio per gli equilibri, di cui la Barbera è fiera portatrice, fra ricchezza e acidità, con grande garbo nell’integrazione del legno, fanno pensare che la via intrapresa sia quella giusta e che l’Alfiera sarà ancora per molti lustri una fiera portabandiera della Barbera.

Se è vero, inoltre, che una cantina si valutare anche e soprattutto dai vini prodotti in una più ampia tiratura, la conferma di quanto Marchesi Alfieri abbia intimamente legato con la Barbera è la Tota. Una Barbera d’Asti Docg che non manca di nulla, seppur palesemente più orientata all’agilità di beva e alla versatilità in termini di fruizione e di abbinamento. Un vino in cui tutto è ben dosato, ponderato e in armonia: materia, acidità, legno e sapore. La 2020, attualmente sul mercato, è un inno al varietale, interpretato con rispetto per ciò che la Barbera è sempre stata e con consapevolezza di ciò che può e sa essere in quest’era in cui di vini così ce n’è sempre più bisogno! A dimostrazione del fatto che la Tota non è un “vino base”, bensì un’ottima Barbera (che probabilmente sarebbe la prima in gamma per molti produttori), c’è una 2011 gettata nella mischia quasi senza pretese ma che è stata in grado di destare interesse e curiosità sin dal primo naso, per poi confermare la sua estrema integrità sorso dopo sorso.

Le declinazioni di Barbera in casa Marchesi Alfieri, però, non terminano qui! Sì, perché con l’annata 2015 nasce l’apice espressivo dei vigneti di Barbera dell’azienda e lo fa con un nuovo vino capace di coniugare al meglio la potenza e l’eleganza del vitigno, grazie al bilanciamento di concentrazione e tempi di affinamento, con una netta spina dorsale acido-minerale a tendere un sorso energico e profondo. Parlo della Barbera d’Asti Superiore Docg “Carlo Alfieri”. Dedicata a Carlo Alfieri di Sostegno (1827-1897), nobile e diplomatico italiano, senatore del Regno d’Italia nonché marito dal 1851 di Giuseppina Benso di Cavour, nipote di Camillo Benso di Cavour. Un pioniere e uno sperimentatore al quale si deve molto, compresa l’introduzione (suggerita – sembra – proprio da Cavour) del Pinot Nero in quest’area del Piemonte.

Pinot Nero che rappresenta una duplice sfida aziendale in quanto prodotto sia nella versione Metodo Classico con un Blanc de Noir extra brut (nella più recente sboccatura (novembre 2021) del millesimo 2017 si fa apprezzare per completezza ed eleganza) che nel più “classico” rosso fermo (con il San Germano, Pinot Nero Piemonte Doc 2020 fiero e intrigante, con una grande prospettiva in termini di longevità).

Una realtà che merita grande attenzione non solo per 300 anni di storia, bensì per la capacità di anelare a una sempre crescente contemporaneità senza mai rinnegare il passato. Coerente ma mai statica! Espressione di una progettualità consapevole e ponderata che in pochi, aihmè, hanno saputo e sanno portare avanti in quest’area del Piemonte.

F.S.R.

#WineIsSharing

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