Eccoci tornati all’inizio di questo articolo, ovvero alla Vernaccia Nera di Serrapetrona, uva di casa mia, anch’essa antica e ricca di storia, che sembra avere molto in comune con l’Alicante e quindi con il Cannonau e la Grenache, ma che deve al suo minuscolo areale di produzione (parlo delle denominazioni Serrapetrona DOC per i fermi secchi e passiti e Vernaccia di Serrapetrona DOCG per la versione spumantizzata secca e dolce) la sua unicità. Un paesino di poco più di mille anime che ha saputo portare sino ai giorni nostri una perla rara dell’enologia marchigiana ed italiana, data la particolarità delle tecniche di appassimento prima e di spumantizzazione.
E’ indiscutibile che la Vernaccia di Serrapetrona, infatti, sia principalmente conosciuta (là dove la si conosca) nella sua versione “sparkly”, ma persino per me che ho vissuto la mia infanzia in una casa dove non era Natale se alla fine di pranzi e cene non c’era una bottiglia di Vernaccia dolce sul tavolo, sono le versioni ferme quelle che meritano ad oggi le luci della ribalta, ma fatemi prima dare un paio di info in più sulle due denominazioni:
Vernaccia di Serrapetrona Docg: è l’unico spumante
rosso al mondo che, per diventare tale, ha bisogno di 3
fermentazioni. Solo una parte delle uve
viene vinificata subito dopo esser stata raccolta, mentre il restante (minimo il 40% del totale) viene
messo ad appassire nei suggestivi locali colmi di grappoli letteralmente appesi ad asciugare fino a metà gennaio. Il mosto, derivante dall’uva
passita, viene poi rigovernato nel vino di ottobre ed ecco la seconda fermentazione che porta alla base spumante. Dopo aver terminato
la maturazione, viene effettuata la terza e ultima fermentazione
naturale per la presa di spuma, che permette di ottenere uno spumante
unico, di una sorprendente complessità aromatica, dolce o secco.
sentori speziati e caratterizzato da una spiccata mineralità, tipica
del territorio. Ne esistono versioni più fresche ed altre che vantano lunghi affinamenti in legno, con le conseguenti differenze in termini organolettici e di longevità. Presente anche nella versione Passito Secco, di grande complessità e persistenza, ottimo come Vino da meditazione.
Ottimo esempio di quanto la Vernaccia possa dare se trattata con la cura che meriti, soprattutto per donare classe al tannino, è il Petronio lungamente affinato in barrique (24 mesi) che vanta classe e profondità ed una cifra stilista che fa da comun denominatore a tutti i Vini dell’azienda, la pulizia. Vino che merita di restare in cantina per qualche annetto.
Colleluce: azienda a conduzione familiare, votata alla qualità ed alla più accurata attenzione in vigna ed in cantina. Interessanti i due assaggi fatti riguardanti la Vernaccia di Serrapetrona DOCG Secca e Serrapetrona Doc secco. La prima esprime grande naturalità e piacevolezza, sia al naso che al palato, mentre la seconda è una versione davvero particolare in cui troviamo principalmente Vernaccia Nera appassita ed un saldo di Merlot, il tutto affinato in legno piccolo per 10 mesi, dando origine ad un Vino dallo spettro aromatico davvero intrigrante che va dalla confettura di piccoli frutti rossi al pepe, passando per la classica nota vanigliata donata dalla barrique. Il sorso è carnoso, profondo e lungo. Bravi!
Lanfranco Quacquarini: altra azienda storica, che con grande passione ed umiltà continua il suo lavoro di salvaguardia della Vernaccia Nera. Mai avrei pensato di poter tornare a casa dopo una degustazione volante come quella di ieri con un Vino Abboccato o come mi è stato presentato “amabile da pasto” nei ricordi ed invece la Quacquarina di Lanfranco Quacquarini (se dico qua un’altra volta divento una papera!) ha suscitato un ricordo di convivialità familiare, di focolare casalingo e di semplice schiettezza tale da emozionarmi. Di certo l’avvento di una simpatica vecchina che, da sotto il mio braccio teso verso la persona che mi stava servendo, chiedeva “che me fi ‘ssaggià quillu che sta a beve quissù?” (trad.: mi faresti assaggiare quello che sta bevendo lui?”) ha implementato la mia emotività, ma sono convinto che tutti noi, anche se abituati a chissà quali assaggi, dovremmo ogni tanto tornare a beve più “di casa”. Buone anche le Vernacce spumantizzate classiche, ovviamente.
Fontezoppa: conoscevo già questa realtà e l’impegno profuso per la valorizzazione di questo territorio ed ancor più di questo eccezionale, ma rarissimo vitigno e non vi nego che la mia breve visita a Serrapetrona era incentrato principalmente sulla possibilità di assaggiare e riassaggiare alcuni dei Vini che Fontezoppa produce nella “succursale” di Serrapetrona. Se c’è una realtà che ha preso la Vernaccia Nera ed ha cercato di declinarla in ogni sua potenziale espressione questa è sicuramente Fontezoppa, che spazia dalle classiche versioni spumantizzate metodo martinotti, ad un lussuoso Rosé Metodo Classico che esprime tanta di quell’eleganza e di quella finezza da non far rimpiangere affatto gli Champagne. Per poi passare a quelli che per me sono i 3 Vini + 1 che andrebbero assaggiati (non me ne vogliano le altre Cantine, ma è fondamentale che provengano dagli stessi vigneti) per farsi una sessione full immersion sulla Vernaccia Nera ferma:
Carpignano – solo acciaio – tutto frutto, freschezza e mineralità. Piacevole e dalla beva disarmante.
Falcotto – 12 mesi in barrique – violetta passita, visciola, vaniglia, cannella, pepe del sichuan (passatemelo vi prego… ma solo perché ultimamente uso questo per cucinare!) e accennate note di torrefazione. L’equilibrio nel sorso, in cui frutto e spezia, legno e aria, ragione e cuore si uniscono.
Morò – 18 mesi in barrique – dovevo riappacificarmi con questo Vino, che durante una visita in Cantina, probabilmente preso da mille emozioni e sensazioni per dinamiche dentro, intorno e fuori dal Vino, avevo male interpretato o forse il mio problema di empatia era solo riferito ad una specifica annata, non lo so, sta di fatto che questa 2009 è stato l’assaggio del giorno ad Appassimenti Aperti, col suo calore che parte dal naso ed arriva all’anima, composta di visciole e toni di ribes, tabacco biondo ed orzo, persino una nota erbacea che ricorda il Merlot per intenderci. In bocca arriva la congiunzione degli elementi fuoco, acqua, terra ed aria in una danza dall’equilibrio mai in bilico fra dolcezza del frutto, freschezza verticale e l’eleganza del tannino che rende onore, finalmente, al varietale e da carattere, personalità ad un Vino che ora è apprezzabile, ma tra un lustro o due lo sarà ancor di più! Addirittura un finale sapido che chiude in bellezza nella sua persistente insistenza, un assaggio da ricordare, ma che sembra, a sentir chi lo conosce più di me, aver trovare nella 2012 il suo apice.
Stavo quasi per dimenticarmi il “+1”, ovvero il Passito di Vernaccia Nera che… beh… purtroppo era finito tanta è stata la calca nel volerlo assaggiare e questo vale più delle mie descrizioni organolettiche ed emozionali, no?! Per fortuna l’avevo già assaggiato e non vi nego di averlo chiamato il Recioto marchigiano, se ne trovate un po’ assaggiatelo! Ne vale la pena!
Come avrete visto mi sono dilungato un po’ sulle Marche, ma non pensiate l’abbia fatto solo perché originario di quelle terre, in quanto per un viaggiatore come me è impossibile non Amare l’Italia tutta, nelle sue mille sfaccettature ed identità territoriali, ma in quanto a Vernaccia, quella che meritava qualche minuto in più di approfondimento ed anche, perché no, di sana visibilità era quella meno conosciuta ai più e di certo converrete tutti che quella di Serrapetrona meriterebbe molta più attenzione, ma vuoi per la piccola produzione, vuoi per la minor “forza di fuoco” a livello di marketing di zone vocate al turismo oltre che alla viticoltura come San Gimignano, non ha ancora avuto modo di far conoscere ed ancor prima assaggiare le proprie eccellenze a chi potrebbe divulgarne qualità, piacevolezza ed unicità.
Quindi, spero che vi dedichiate tutti alle Vernacce da ora in poi, riscoprendo la meravigliosa complessità di quella di Oristano, apprezzando la qualità di quelle di San Gimignano ed approfondendo la poliedricità di quella si Serrapetrona, che col Natale alle porte, nella sua versione spumante dolce potrebbe sostituire Brachetti e Fragolini (vade retro!) improbabili nei cesti regalo!!!
Extra – Esistono poi due Vernacce “nascoste”:
– nella prima in realtà il termine Vernaccia non si riferisce al vitigno, bensì alla vendemmia tardiva/invernale e parlo del passito Vernaccia di Cannara (ottimo quello di Di Filippo);
– la seconda, è conosciuta ai più come Schiava è viene dall’Alto Adige. La Schiava è chiamata in
lingua tedesca Vernatsch, traducibile anche in Vernaccia. Presente anche nella
provincia di Trento, di Verona e di Brescia comprende in realtà tre
diverse varietà: Grossvernatsch (schiava grossa) Edelvernatsch
(schiava gentile) e Grauvernatsch (schiava grigia). Si tratta del
(dei) vitigno (I) a bacca rossa più diffuso in provincia di Bolzano
e il vino prende nome dal luogo in cui viene coltivata: lago di
Caldaro, Santa Maddalena, Meranese.
Ringrazio Daniele Galler per avermela ricordata!
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