In Oltrepò Pavese 3 generazioni di vignaioli a confronto per DestinazioneVino

Eccoci qui, nell’Oltrepò Pavese, bistrattato dai più elogiato da qualche enostrippato, ma di certo una grande terra del Vino di questa strana Italia che, sempre più spesso, sembra saper nascondere, celare, a volte persino mistificare meglio di quanto sappia mostrare.
La scelta delle Cantine da visitare in Oltrepò, per il viaggio di DestinazioneVino, in realtà è stata molto semplice e ci ha permesso di avere uno spettro davvero ampio di ciò che il territorio, i varietali autoctoni, internazionali ed “autoctonizzati” (vedi pinot nero), ma ancor più i vignaioli possano esprimere… si, potevo condensare tutto nel solo termine Terroir, ma sapete che non ho il dono della sintesi, ahimé!

-Dalla Tenuta Belvedere di Gianluca Cabrini, un simpaticissimo ex-venditore di auto, che ha messo anima, cuore e corpo nella sua trasformazione in vignaiolo, che lo vede impegnato a 360° all’interno di un’azienda nuova, moderna e proiettata verso un futuro di raro equilibrio fra Vini di slancio contemporaneo nella veste e nel gusto, ma anche un modo di concepire il lavoro in vigna ed il rispetto per terra e territorio davvero sostenibile ed attento. Una vocazione forte quella di Gianluca, credetemi!
“Bio non bio”, a Gianluca importa poco delle “etichette”, ma è palese quanto sia l’impegno profuso per far arrivare nei nostri calici Vini puliti dalla vigna alla cantina, sicuramente non artefatti.

Dagli assaggi di botte, fino alla degustazione del suo Pinot Nero Metodo Classico (un 30 mesi che farà parlare di sè… bene ovviamente!) in divenire, la sua voglia di dare un’impronta personale e di creare Vini mai scontati, ma sempre armonici e piacevoli è lampante. La sua Bonarda, dalla grande struttura alla poca vivacità, rispecchia a pieno ciò che avrei voluto ritrovare nel mio bicchiere da anni, ovvero un Vino di maggior corpo, complessità e profondità, che non rinunci alla sua piacevolezza di beva ed all’immancabile freschezza.
Tra l’altro a lui dobbiamo una rapidissima lezione full immersion di potatura alla Simonit & Sirch, che ha messo a nudo l’insormontabile differenza fra un semplice Wine Blogger scribacchino e chi in campagna lavora davvero! Nonostante qualche esperienza sporadica e qualche callo sulle mani procurato nell’orto di casa e nel mio primo lavoro di artigiano del legno, fidatevi… la potatura è una bella gatta da potare… ops da pelare!
Pinot nero e Riesling Renano, messi al posto giusto e nelle mani giuste sanno far ricredere persino uno come me che da sempre sostiene che sia meglio lasciare i vitigni internazionali a chi li sa fare meglio, per puntare tutto sui nostri gioielli di famiglia, ovvero gli autoctoni. Bravo Gianluca e… aspettalo quel Renano, ti e ci darà grandissime soddisfazioni!


-Lasciata la Tenuta Belvedere, ci dirigiamo a Colle del Bricco e facciamo il primo piccolo salto generazionale, trovando ad accoglierci il giovanissimo Matteo Maggi, forse l’unico produttore più giovane di me, di tutta DestinazioneVino, con i suoi 26 anni. 

Come scrissi tempo fa in un articolo interamente dedicato a questa realtà, di Matteo ho apprezzato in primis la forza di volontà e l’essere controcorrente in un’era in cui sia sicuramente più semplice seguirla per inerzia. Da bravo “salmone” invece di risalire i fiumi, ha deciso di inerpicarsi negli irti vigneti di famiglia, salvando l’azienda dalla vendita ed iniziando ad imbottigliare, con l’aiuto di quel padre che pensava di smettere, ma che ora insegna il suo prezioso sapere al figlio, che si occupa in prima persona di tutto il lavoro in vigna e che in cantina si avvale di un enologo per non incorrere in errori di inesperienza, con grande umiltà e pazienza.
I suoi sono Vini che potrebbero sembrare acerbi nella cifra stilistica, perché alle prime annate, ma che in realtà, per chi ha una certa sensibilità ed un po’ di intuito rivolto al futuro, sono già molto molto avanti, se si pensa al lavoro che è stato fatto per educare dei vigneti improntati tutti sulla vendita dell’uva alla Cantina Sociale, ad una produzione propria sempre più di qualità e di rispetto.
Il suo Brina, un Riesling italico, che abbiamo avuto la fortuna di assaggiare dopo una vera brinata notturna, direttamente nella vigna dove nasce, è un raro esempio di quanto, se pur diversi nel varietale, il Renano e l’Italico possano evolvere in maniera non troppo dissimile, soprattutto per quanto riguarda le tipiche note di idrocarburo e la longevità.
Anche la sua Bonarda, segue la falsa riga di quella di Gianluca, e quindi proprio come la sua, ha saputo colpirmi piacevolmente.
In attesa del suo metodo classico Sauvignon, che deve ancora riposare sui lieviti per qualche mese, direi che anche questa volta il caro Matteo ha confermato le mie prime impressioni, dimostrandosi un ragazzo con la testa sulle spalle (e casco bene allacciato, data la passione per le moto) ed un vignaiolo in cui credere sin da ora ed in prospettiva futura. Ah… il suo sogno è fare una grande Barbera, ma intanto il suo inedito dal blend della Bonarda (croatina, uva rara e barbera) fa paura e che gli sia venuto fuori per c… ehm… fortuna o per intuito non importa, il Vino Matteo la capisce e questo è già un buon inizio!


-Last but not least, il Maestro Stefano Milanesi, un vero esempio di quanto l’enologia possa conciliarsi con l’arte dell’essere vignaiolo e fondersi in un’artigianalità produttiva ponderata e mai casuale, giustificata nelle scelte, ma di certo non agevolata dai compromessi.

La passeggiata in vigna, tra storia del territorio, aneddoti di famiglia e cultura del Vino, è stata, senza tema di smentita, la prima in assoluto in tutto il viaggio di DestinazioneVino nella quale le mie domande non solo non siano servite, bensì sarebbero risultate inutili e persino inopportune, dato che tutto ciò che avrei voluto sapere fluiva liberamente ed in maniera così accessibile dalla bocca di Stefano. Un linguaggio diretto, una serie di concetti di rara verità, che cozzano con le filosofie astruse e le sovrastrutture mirate a dire ciò che non si è ed a vendere ciò che non si fa.
E’ in cantina, però, che si può entrare ancor più nelle dinamiche di quella che è a tutti gli effetti l’arte del togliere e di ridurre all’indispensabile, senza rinunciare a bellezza ed eleganza, un po’ come per gli scultori del rinascimento o per i poeti ermetici. Stefano è l’equilibrio fatto persona (se non gli andarte a raccontare baggianate troppo grosse per poterci credere!) tanto da ammettere che nei suoi vini usa lieviti autoctoni non per moda o per filosofia, ma semplicemente perché bastano quelli ed il risultato lo soddisfi, senza demonizzare i lieviti selezionati, ma di certo ponendo l’attenzione su quanta sia la differenza fra un Vino artigianale ed uno artificiale.
Gli assaggi sono tra quelli che attendevo di più, senza nulla togliere agli altri produttori, ma semplicemente perché ammetto che i Vini di Stefano erano a me ignoti fino a poco tempo fa e nella mia totale ignoranza di essi, mi sono posto come un bimbo al primo giorno di scuola, ovvero voglioso di scoprirli, di farmeli amici, di apprendere da essi quanto di più possibile potessero e volessero darmi e così è stato. Il Vesna, metodo classico 100% Pinot Nero che Stefano sbocca su prenotazione, strizza l’occhio alla Francia in eleganza, ma poi gli fa una pernacchia in struttura e persistenza, come a voler ribadire la sua origine, forse meno fighetta della Champagne, ma di certo inferiore in nulla per terroir (e ricordatevi che nel terroir mettiamo sempre l’uomo!).
Dopo i due Poltre (bianco e rosso) che potrebbero farmi tornare a bere il Vino anche a pranzo, tanto siano piacevoli e gastronomici, arriviamo alle due Riserve, Elisa, la Barbera che non ti aspetti… in Oltrepò,.. carica di grande intensità, con un equilibrio mai in bilico fra freschezza, tannino e mineralità. Naso pieno, dalle sfaccettature di un diamante, che spazia dal frutto, alla spezia, alla catramina, per pulire via tutto con una nota mentolata che ci sta proprio da Dio! In bocca è… assaggiatelo, io non vi dico nulla stavolta, è inutile che scriva ciò che ho sentito o provato io, è stata un’emozione diversa dal solito e ne sono geloso! Quindi provatelo e vediamo che succede.
Dulcis in fundo arriva Alessandro, che non poteva che stregare Fausto sin dal nome, ma che ha colpito molto anche me, essendo questo Cabernet Sauvignon molto vicino al mio ideale di vinificazione in purezza del vitigno, struttura e potenza al servizio dell’eleganza e delle persistenza, equilibri tanto sottili quanto armonici nel complesso, che sanno stuzzicare mente e palato. Vino che intriga più di ogni altro assaggiato. Considerazione che vale per tutti i vini affinati in legno di Stefano, è la volontà che l’essenza del legno stesso non incida se non nella rotondità e nel respiro sulle note varietali e sulla territorialità, espressa soprattutto in mineralità, dei suoi Vini. Volontà messa in pratica grazie all’utilizzo di barriques “esperte”.


Bellissima tappa quella nell’Oltrepò, 3 generazioni di vignaioli a confronto in un territorio che io stesso ho rischiato più volte di prendere sottogamba, ma che sa esprimersi in qualità ed in personalità, se solo si sa scegliere l’uomo giusto, ancor prima dell’etichetta.
Ah… tutti e 3 fanno parte della FIVI
… le cose sono due, o la FIVI mi perseguita o c’è davvero un filo conduttore fra qualità, rispetto e quest’associazione.


F.S.R.
#WineIsSharing
#DestinazioneVino

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