Negli ultimi anni si è parlato molto di una “nicchia” più o meno importante (in termini di numeri) di bollicine italiane e dato che negli ultimi giorni, condividendo sui social qualche bottiglia appartenente ad essa, ho ricevuto più di una richiesta di informazioni a riguardo, cercherò di fare un po’ di chiarezza su quello che, da alcuni, è definito Metodo Ancestrale, come mio solito, nel modo più semplice ed accessibile. Intanto premetto che sembra che il Metodo Ancestrale sia da accomunarsi al Metodo Scacchi, ovvero l’intuizione del medico marchigiano Francesco Scacchi da Fabriano, della spumantizzazione attorno al 1600, addirittura prima dell’invenzione dello Champagne da parte di Dom Pérignon.
Fatta questa doverosa premessa (ancor più se a parlare è l’orgoglio marchigiano!) ci tengo a sottolineare che il metodo ancestrale, può confondersi, in quanto a tecnica di vinificazione, col metodo “sur lie” o “colfondo” e con il metodo rurale ed in linea di massima gran parte degli spumanti metodo ancestrale combaciano con i processi produttivi definiti con questi termini. Per correttezza va detto, però, che la definizione giuridica del metodo ancestrale sembra essere ben più “permissiva” della “tradizione”:
si tratta di una tecnica per la produzione spumantistica che prevede di far fermentare il vino fino a circa 2,4% (che corrispondono a circa 24 grammi/litro di zuccheri), interrompendo la fermentazione abbassando la temperatura a 2.7°C, inibendo l’azione dei lieviti.
Il vino/mosto viene poi imbottigliato e continuerà la fermentazione, senza aggiunta di liqueur du tirage. Possono seguire, poi, tutte le altre fasi di produzione dello spumante come il riposo sui propri lieviti (sur lie), il remuage, la sboccatura, ma non il dégorgement e l’addizione del liquer d’expedition, tipici del metodo classico. Sembra essere permessa l’aggiunta di specifici lieviti selezionati, ma devo ammettere che a me non è mai capitato di berne, se non con lieviti indigeni.
Se questa definizione racchiude tutto ciò che è permesso nella produzione di uno spumante metodo ancestrale, ci tengo a precisare che la storia dice altro e che, per fortuna, in Italia chi si sta avvicinando a questa tipologia di spumantizzazione lo sta facendo cerando di limitare al minimo le operazioni meramente enologiche, seguendo un procedimento comune a tutti i sur lie.
I francesi lo utilizzavano già per gli Champagne, quando non avevano a disposizione tecnologie adeguate ad eseguire il più noto e contemporaneo metodo champenoise (o classico), per poi arrivare a vietarlo a favore di una produzione più controllata e controllabile.
Per sintetizzare, gran parte degli spumanti prodotti con metodo ancestrale non sono altro che Vini rifermentati in bottiglia (per intenderci, la birra artigianale subisce lo stesso processo), in cui lo sviluppo della pressione e la presa di spuma avvengono grazie all’azione dei lieviti sugli stessi zuccheri residui dalla prima fermentazione.
Lungi da me demonizzare o denigrare l’enologia, che in un modo o nell’altro è sempre presente nell’azione umana di fare Vino, se pur con interpretazioni differenti, ma per il solito discorso di chiarezza adottato per altre terminologie, se trovo in etichetta la parola “ancestrale” mi aspetto come minimo che quel Vino rispetti una tecnica antica e tradizionale e che trovi escamotage enologici dettati dalla modernità, altrimenti mi bevo uno charmat o un metodo classico, no? Non vi nego, che proprio questo abuso di alcune terminologie mi preoccupi un po’, perché il rischio che da qualcosa di buono nasca una moda che porti nel giro di poco a deviazioni del concetto iniziale è sempre presente!
Comunque, parliamo di Vino, si di quello già dentro i nostri calici e quindi delle peculiarità organolettiche degli spumanti metodo ancestrale che godono, grazie a questo processo di vinificazione, di una maggior complessità aromatica nonché una finezza davvero notevole.
Se nel caso dei metodo Martinotti si va a privilegiare, quasi sempre, la freschezza/acidità, tenendo poco conto dell’età delle vigne e dei terreni ed anticipando la vendemmia, nel caso dell’ancestrale si può e si deve tenere conto di quella che io definisco, “l’esperienza delle vigne”, che può contribuire al raggiungimento di una complessità organolettica davvero importante, unitamente alla composizione dei terreni, e la vendemmia sarà effettuata a piena maturazione per portare in cantina uve con un adeguato corredo di zuccheri, per la produzione di CO2 e di grado alcolico. Difficilmente gli ancestrali saranno di grande freschezza, ma là dove si trovi il giusto mix fra grande secchezza, sapidità varietale e mineralità dei terreni, la beva sarà davvero “dissetante”!
Come accennato sopra, gli spumanti ottenuti con il “Metodo Ancestrale” possono essere, a seconda dell’idea del produttore, sottoposti o no alla sboccatura. Nel caso in cui quest’ultima non venga effettuata, il prodotto si presenterà torbido nel calice e gli aromi riconducibili ai lieviti (la classica crosta di pane fra tutti) saranno ben evidenti, ma ciò nonostante in molte delle bottiglie da me stappate il varietale era ben percepibile, evitando lo spauracchio dell’omologazione.
Rispetto al lato prettamente estetico, ovvero all’essere, spesso, così torbido quasi al punto di assomigliare ad una birra Weizen, in realtà c’è chi scaraffandolo lentamente riesce a trarne un Vino più limpido, evitando ai lieviti di tornare in sospensione, ma io credo che se ne perda molto del fascino, nonché del gusto, per l’aroma non ci sono differenze. Quindi, se posso darvi un consiglio, godeteveli nella loro torbida naturalezza!
Ultimo pro di questi Vini (almeno di alcuni) è che il metodo ancestrale pare tollerare molto bene il passare del tempo (la sosta sui lieviti aiuta, come per i metodo classico pre-sboccatura), quindi il gioco è sempre quello, una bottiglia oggi l’altra in Cantina per qualche annetto!
In sintesi, io ne ho assaggiati alcuni, che troverete qua e là in giro per il wine blog, ma mi sono ripromesso di non citarne in questo articolo in quanto io e l’ancestrale siamo ancora nella fase del corteggiamento e come in tutte le “mode” la quantità di vini prodotti con questo metodo di vinificazione aumenta e di conseguenza aumenta anche la cernita da fare per trovarne di ben fatti. Credo, comunque, che tra tutte le “tendenze enoiche” questa sia quella meno azzardata, in quanto più che un’evoluzione vuole essere un ritorno alla tradizione dei rifermentati in bottiglia, cosa che ben si adatta anche ai classici vini rossi “frizzanti” come la Bonarda o il Lambrusco, forse con risultati addirittura più convincenti.
F.S.R.
#WineIsSharing
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