Scorrendo velocemente i titoli degli articoli pubblicati nel 2015 mi sono reso conto di aver dedicato davvero pochissimo spazio alle bollicine, ragion per cui ho deciso di rifarmi, tanto da aver deciso di dedicare, in questo inizio 2016, alcuni articoli a questi Vini pieni di brio e fascino.
Se nel precedente articolo vi ho parlato del metodo ancestrale, oggi ho preso spunto da un post pubblicato sui social, per verificare che la mia repulsione nei confronti di due tipologie di calice da Vino fosse più o meno giustificato. Parlo della flûte e della celeberrima “coppa da champagne”, calici che se nelle degustazioni sono ormai stati abbandonati totalmente, ancora oggi sono presenti sulle tavole di molte delle “nostre” case e soprattutto di numerosi ristoranti, anche di livello.
Partiamo dal fatto che le motivazioni addotte per la creazione prima e l’utilizzo poi di questi due calici sono più orientate verso fattori estetici e storici, come il design del calice stesso che favorisce la persistenza della bollicina/perlage nel caso della flûte e la forma dei leggendari seni di tre grandissime donne francesi Maria Antonietta, Giuseppina di
Beauharnaise e Madame de Pompadour usati come modello per lo “stampo” del calice nel caso della coppa.
Diciamo che per la flûte un “minimo” rigor di logica ci sia anche in ambito gustativo, in quanto all’ascesa rapida e contenuta (nel senso dello diametro stretto e costante che hanno a disposizione durante la salita) delle bollicine corrisponde uno sviluppo maggiore dei profumi e degli aromi, ma anche una prolungata persistenza delle stesse. Per quanto concerne la coppa, oggi ancora utilizzata per gli spumanti dolci, ma anche da qualche nostalgico per gli champagne in genere, non c’è ragione che ne possa motivare l’utilizzo in termini gustativi, se non il disperdere gli aromi più forti e, se vogliamo, pungenti di alcuni spumanti iper-dolci. Ciò che a mio parere è insensato è valutare l’utilità di un calice per sottrazione, ovvero per ciò che è capace di “nascondere”, celare, velare ed a volte disperdere di un Vino. Se quel moscato d’asti invecchiato, sembra un sauternes io voglio godermelo così com’è nel suo ampio spettro di profumi, che se il calice dovesse celare ridurrebbe anche la capacità del Vino stesso di esprimersi per ciò che è e, quindi, di emozionare in modo sincero.Vi dico questo in quanto il principio che adotto nell’utilizzo dei calici è quello del rispetto del Vino in esso contenuto, non necessariamente debba agevolarlo, ma quanto meno mi aspetto che non ne vada ad inficiare la capacità espressiva, principalmente a livello gustativo e secondariamente a livello visivo.
Sia chiaro, la mia è una valutazione del tutto personale e soggettiva e rispetto chiunque sia convinto che la flûte e la coppa abbiano una loro collocazione a tavola e non solo nella credenza “perché devono esserci”, ma ci tenevo a condividere con voi la mia esperienza diretta che mi ha portato a scegliere tre tipologie di calice nei quali le bollicine riescono ad esprimersi al meglio.

Il classico calice da Vino bianco, prodotto ormai da innumerevoli aziende, che non a caso è viene utilizzato nelle degustazioni durante le quali vengono servite tipologie differenti di Vino (bianchi, rossi e bollicine) e garantisce con la sua forma una buona apertura dei profumi ed un discreto sviluppo delle bollicine, che sarà, per ovvi motivi, meno concentrato e persistente di quanto accade nella flute, ma compenserà con l’ossigenazione esterna la capacità delle bolle di CO2 di veicolare le peculiarità olfattive.

Sicuramente un design più moderno ed accattivante, che potrebbe indurre a pensare al mero esercizio di stile, ma non è affatto così e se devo dirla tutta questo è il calice che prediligo per i metodo classico ed in particolare per i blanc de noir, che riescono ad esprimersi in grande apertura grazie all’ampia pancia del bicchiere, senza perdere il fascino e l’importanza del perlage che, grazie alla forma affusolata della base della “coppa”, è indirizzato verso il centro per poi espandersi in superficie. Un progetto straordinariamente azzeccato.
Come terzo vi avrei suggerito un calice da bianco con un apertura più stretta, simile a quelli utilizzati per i riesling, ma ci ha già pensato un tipo che sembra saperne molte più di me in quanto a calici che già da tempo ha avviato una campagna contro l’utilizzo delle flûte e sto parlando un certo Maximilian Riedel, del quale troverete una dichiarazione video ed un paio di imperdibili dritte nel pezzo di Fernanda Roggero sul sole24ore (che ho appena trovato online con mio immenso piacere) intitolato “Lo Champagne? Ecco perché non va bevuto nelle flûte”.
Ci sono innumerevoli forme di calici che si rifacciano in alcuni casi alla flûte, ma molti di essi sono comprensibilmente più votati ad un’emulazione prettamente estetica. Probabilmente questo è quello che aggiungerei come extra, per esaltare un blanc de blanc o uno charmat lungo.

E poi dai… diciamolo… un calice riempito per 2/3 che va rabboccato per via della schiuma è anche scomodo! Comunque, non temete! Se avete in credenza flute e coppe potete sempre usarli per sorbetti le prime e per cocktail o dolci al cucchiaio le seconde!:-p
Come sempre vi invito a fare qualche prova e qualora aveste dei suggerimenti dovuti alla vostra esperienza diretta riguardo i calici da “bollicine” potete condividerle con me tramite i social.
F.S.R.
#WineIsSharing
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