Gli americani le chiamano Wine Reviews o Wine ratings quando si tratta di punteggi di degustazione, ma in Italia le chiamiamo semplicemente recensioni del Vino.
Scrivo questo articolo, proprio dopo essermi confrontato con dei colleghi stranieri riguardo le differenze fra l’approccio italiano al mondo del Vino e delle recensioni e quello, ad esempio, degli americani.
Scrivere di Vino per passione, come lo faccio io, può essere molto semplice, ma a volte ci si trova di fronte a delle scelte etiche e tecniche da dover prendere e la cosa si fa più difficile, in quanto il Vino in Italia è a tutti gli effetti un fattore culturale radicato, fortemente, nella storia e nella tradizione.
Negli stati uniti ed in un certo in tutti i paesi dove la produzione di Vino è arrivata solo negli ultimi decenni, senza parlare del Regno Unito nel quale solo grazie al global warming si sta “tornando” a produrre Vino con mire qualitative interessanti, scrivere di Vino è un atto molto meno legato a fattori come storia, tradizione e territorio e questo può rappresentare pro e contro nelle recensioni.
I pro sono senza dubbio i seguenti:
– Maggior internazionalità: si recensiscono molti più Vini di paesi come Francia ed Italia di quanti siano quelli americani;
– Meno condizionamenti: i fattori storico-culturali che portano italiani e francesi ad avere un approccio (più o meno giustamente) campanilistico ed a volte più rispettoso nei confronti del Vino da recensire, non incidono sulle wine reviews, se non volutamente (vedi comunicatori con legami particolari con i territori di provenienza del Vino recensito);
– Più attenzione ai prezzi: se per molti dei comunicatori/enogiornalisti/wine bloggers italiani il costo è importante, ma (entro certi limiti) secondario e subordinato al valore gustativo e, per me, emozionale del Vino, per gli americani rappresenta, spessissimo, il fattore primario e moltissime classifiche e recensioni sono basate prettamente sull’aspetto economico.
I contro:
– Minor territorialità: la produzione vitivinicola degli USA è per circa il 90% focalizzata nello stato della California, con altre zone vocate di eccellenza come l’Oregon per il Pinot Nero, ma senza la varietà di aree che può vantare l’Italia in primis, ma che possono contare senza dubbio anche Francia e Spagna. Questo porta ad una generalizzazione maggior e ad avere come prevalente termini di paragone Vino proveniente da una sola area, con caratteristiche diverse, ma a loro modo molto simili. Il wine blogger americano è costretto a viaggiare o ad assaggiare Vini provenienti dalla Francia e dall’Italia per poter conoscere una quantità di varietali e di condizioni pedoclimatiche atte a poter avere un concreto (e non solo didattico) metro valutativo nei confronti del Vino di tutto il mondo. Questa non è una critica, anzi… confermo (ed invidio molti di loro), che la maggior parte dei Wine Bloggers americani viaggia costantemente e le mete di riferimento sono proprio Italia, Francia e Spagna (oltre a Sud America ed Australia);
– Background storico-culturale prettamente didattico: come già detto, se in Italia e Francia il Vino fa parte del quotidiano, delle dinamiche familiari ed ancor prima della storia e della cultura del paese stesso, negli States il Vino è argomento di studio e prodotto di consumo, quindi qualcosa di più legato al fattore prettamente gustativo ed economico-commerciale, che storico-culturale. Molti Wine Bloggers e critici americani e stranieri, però, sono in grado di approfondire tramite studio e viaggi anche gli aspetti storico-culturali, fermo restando che sarà sempre una ricerca basata su esperienze cercate e volute, senza la fortuna che possiamo vantare noi che con il Vino abbiamo a che fare in forme e modi differenti, praticamente ogni giorno della nostra vita, scorgendo una vigna dal finestrino, uscendo a cena con degli amici, sentendo parlare un anziano che produceva “il Vino del contadino” per uso e consumo familiare. Una ricchezza che dovremmo ricordare più spesso e coltivare al meglio.
– Distanze: in Italia, probabilmente, esistono pochissimi punti dai quali non si possa raggiungere un vigneto o ancor meglio una cantina in meno di un’ora, mentre negli USA esistono interi stati in cui è pressoché impossibile trovare una vigna, nonostante abbiano provato nel ‘600 ad impiantare coltivazioni vitivinicole in molti stati. Questo comporta un distacco fisico e successivamente psico-emotivo, dal mondo del Vino, che a mio parere sposta di più l’ago della bilancia verso valutazioni più razionali e pragmatiche, da quelle più legate a fattori umani (storia, cultura ed emozionalità).
Extra: giudicate voi se si tratti di un pro o un contro, ma è certo che in america si può scherzare, giocare, ironizzare e prendere in maniera meno austera il mondo del Vino. La cosa può risultare negativa e spiacevole quando si leggono articoli su come aprire il Vino con tutto tranne che con un cavatappi o quando si trovano in commercio vini in lattina piuttosto che kit per fare vino in casa. E’ pur vero, però, che si può parlare più apertamente ed in maniera costruttiva di tematiche come i tappi alternativi o la sostenibilità nel Vino.
Come sempre, però, la verità sta nel mezzo e lungi da me criticare l’operato di chi, grazie alla lingua ed alle competenze nel blogging e nelle dinamiche della comunicazione online ed editoriali in genere, ha saputo far arrivare il Vino di tutto il mondo (compreso il nostro) nelle case di winelovers di qualsiasi paese. Se un uomo da solo, fino a poco tempo fa, poteva considerarsi Deus Ex Machina del Vino globale, in termini valutativi e nell’ascendente sui mercati, un motivo c’è, anche se mi spaventa e mi sconforta, a volte, pensare che l’opinione di una sola persona possa incidere così tanto sul gusto delle persone, ancor prima che sull’economia di aziende, famiglie e persone. E’ pur vero che, quando si diventa così importanti ed influenti, il rischio che entrino in gioco dinamiche diverse, da quelle di cui un piccolo Wine Blogger potrebbe tener conto, c’è. Diciamo che a quel livello si tratta di un lavoro a tutti gli effetti e, per il mio modo di vedere, la “critica” non può mai essere subordinata ad un compenso economico, in quando ne va dell’onestà intellettuale nei confronti di chi legge e di chi spenderà i propri soldi per acquistare un Vino o per non acquistare quello stesso Vino in base alle parole di chi ha scritto una recensione.
Comunque è bene non demonizzare alcuna forma comunicativa, ma scindere bene il mero marketing (che ci sta tutto e va bene nel Vino come in qualsiasi altro settore!) e la recensione individuale, anche se, purtroppo, anch’essa potrebbe essere condizionata da fattori prettamente economico-materiali, ancor prima che da fattori culturali-emozionali, capirlo non è semplice e forse non occorre, ma a voi la scelta. Vedere decine di classifiche, che gira gira, riportano sempre gli stessi Vini elencati tra i “Migliori Vini del mondo”, mi sembra tanto assurdo, quanto palesemente riconducibile ad un discorso di semplice do ut des, che fa parte di alcuni settori ed a quanto pare anche di quello del Vino, ma almeno mi sembra ci sia, quasi, sempre l’accortezza di citare Vini qualitativamente importanti. Sarebbe bello rischiare un po’ di più dando visibilità anche a chi non può o non accetta di sottostare a certe dinamiche, unitamente ai “soliti noti”, ma io sono il solito sognatore, lo sapete, no!?
Tornando al “wine marketing“, a mio parere è da ipocriti subire pubblicità di qualsiasi settore, compreso quello alimentare e della ristorazione (vedi la sempre crescente presenza degli Chef in TV), ma non tollerare quello enoico. Io non recensisco cantine o vini a pagamento, ma non biasimo la cantina che investe in visibilità e cerca di farsi conoscere in Italia ed all’estero per le proprie peculiarità, tanto poi è il Vino a parlare e se c’è bisogno di arrivare nei calici delle persone per potersi far conoscere è comprensibile che si faccia il possibile per la promozione. L’importante è che non sia ingannevole e che si sia in grado di scindere la recensione di un Wine Blogger o quella fatta da un winelover su Vivino (ad esempio), da quelli che in gergo vengono chiamati pubbliredazionali (articoli a pagamento) o dalle campagne pubblicitarie in genere.
Se nel pubbliredazionale non è coinvolto l’aspetto emozionale, ma si tracciano le peculiarità dell’azienda e si evidenziano in modo razionale le caratteristiche ed i descrittori organolettici di un Vino, questo è più che accettabile, in quanto non è volto a condizionare la sfera emotiva di chi legge, ma solo ad informarlo di ciò che potrebbe andare a bere. Mentre il bello del blog, ma anche l’aspetto più delicato e difficile da gestire, è proprio la libertà emotiva ed il coinvolgimento che si ha e che si cerca con il Vino e con i propri lettori, con una pioggia di condizionamenti personali ed indotti, ma non economici. E’ fondamentale, però, per chi legge dare per assunto che ciò che dico io o che possa dire qualsiasi altro wine blogger sia frutto della propria capacità di interpretare e di sentire un Vino, ma anche del proprio background personale e della propria storia, nonché dello stato emotivo relativo al momento della stesura di un articolo, quindi l’unica cosa che conta è e sarà sempre la vostra opinione! Assaggiate, lasciatevi incuriosire da classifiche, punteggi e recensioni, ma non lasciatevi mai condizionare in alcun modo da esse. Io sono felice di poter condividere in modo libero le mie impressioni, ma ancor più di avere la possibilità di assaggiare un Vino, rendermi conto che non sia nelle mie corde e, semplicemente, non sentire il bisogno di parlarne, piuttosto che parlarne negativamente.
F.S.R.
#WineIsSharing
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