Chi, come me, ha avuto modo di girare per l’Italia a destra ed a manca, verso nord e verso sud, sa quanto sia anche solo minimamente ipotizzabile l’idea di averla visitata “tutta” e, senza nulla togliere ad altri bellissimi paesi, l’Italia ha la capacità di nascondere tesori paesaggistici, storici, artistici e culturali dietro ogni angolo, anche dove meno te l’aspetti.
E’ il caso del Monte Netto, mai sentito nominare, prima di… beh, dai, lo sapete già! Prima di trovarci “sopra” delle vigne e qualcuno che le stesse coltivando in maniera rispettosa e meticolosa al fine di produrre Vini di cui vi parlerò nel corso di questo articolo, ma ora fatemi dire due parole su questo luogo e su questa cantina.
Il Monte Netto è più un alto piano che un monte vero e proprio, in quanto sembra raggiunga a malapena i 130mslm e mi piacerebbe definirlo come un luogo “timido”, ma al contempo unico nel suo genere: timido perché non lo si vede fino a quando non si giunge alle sue falde; unico per la sua naturale vocazione alla viticoltura.
Un luogo dove l’uomo non ha potuto fare altro che assecondare ciò che la Natura gli aveva donato, mettendo a disposizione di quei terreni così ricchi di calcare attivo la propria sapienza vitivinicola ed enologica. E’ così che nascono diverse piccole aziende legate al Consorzio del Monte Netto, ma è una cantina in particolare ad aver destato la mia curiosità: San Michele.
La cantina San Michele si trova a Capriano del Colle che da il nome ad una delle più piccole DOC italiane, ed tra le sue peculiarità mi piace iniziare con quella che la vede essere condotta da giovani, o meglio giovanissimi tra proprietari Mario Danesi (laureato in economia aziendale) ed Elena Danesi (psicologa) ed i membri dello staff “tecnico”, ovvero il perito agricolo Francesco Tonelli (vigna) e l’enologo Giovanni Pagani (cantina).
Il lavoro in team in questa azienda va di pari passo con i valori del rispetto del luogo e della terra in senso lato, uniti a quelli del progresso e della spinta propositiva finalizzata al raggiungimento di una produzione sempre più di qualità che possa far conoscere questo areale davvero unico nel suo genere in Italia, in primis, e nel mondo poi.
Sapete bene quanto, per un winelover, sia importante ed emozionante scoprire realtà che sappiano coniugare tradizione e modernità, storia e futuro con rispetto e lungimiranza, ma soprattutto è impagabile pensare di poter, nel mio piccolo, dare visibilità ad un intero contesto che molti di voi (come me prima di incontrare la cantina San Michele sul mio cammino enoico) non hanno avuto ancora modo di conoscere.
La Cantina San Michele è letteralmente circondata da sedici ettari di vigneto, in conversione biologica, con piante che hanno in media dai quindici ai venti anni, a eccezione di una vigna che raggiunge i sessanta.
I Vini prodotti sono abbastanza numerosi: Netto, un Capriano del Colle Doc Bianco, 90% Trebbiano e 10% Chardonnay; Carme, un Capriano del Colle Doc Rosso, ottenuto con 50% di Marzemino, 40% Merlot e 10% Sangiovese; Sarai, un Capriano del Colle Doc Marzemino, in purezza e 1884, un Capriano del Colle Doc Rosso Riserva, composto per il 50% di Merlot, 40% Marzemino e 10% di Sangiovese.
A questi si aggiungono il Nubes, Montenetto di Brescia Igt, cento per cento Merlot e il Corso, un blend di Chardonnay, Incrocio Manzoni e Sauvignon.
La Cantina San Michele sperimenta e non si è fatta mancare un metodo classico ed un passito: il Belvedere Brut Blanc de Blancs, uno Chardonnay in purezza che rifermenta sui lieviti in bottiglia per ventiquattro mesi e M, Vino Rosso Dolce, cento per cento Marzemino che segue un appassimento sui graticci fino a gennaio, una fermentazione in vasca, l’affinamento in barrique di rovere francese di secondo passaggio per cinque mesi e poi sei mesi in bottiglia.
Infine, fuori catalogo, a sottolineare il suo carattere originalissimo, troviamo l’Otten (Netto, letto e scritto al contrario) la cui prima annata, 2012, conta non più di duemila bottiglie.
Io, ovviamente, non ho avuto modo di assaggiare tutta la linea, ma ho lasciato che fosse la cantina a decidere quali Vini potessero rappresentarla meglio e con più personalità ed inizierei proprio dall’Otten.
Otten 2012: Trebbiano 100%, frutto dell’intuizione di questa illuminata cantina e della voglia di azzardare un po’, in un’annata particolare, che aveva visto condizioni climatiche adatte a lasciar surmaturare in pianta parte dei grappoli (quelli non raccolti in una prima vendemmia selezionata) fino al sopraggiungere della botrytis. Questo Vino mi spinse a scrivere sui social, pochi istanti dopo averci messo il naso per la prima volta, un neologismo che strizza un po’ l’occhio al tanto amato e tanto odiato “petaloso”, ovvero “Zafferanoso”! Scherzi a parte, il tono predominante di zafferano dipinto su una tela dall’imprimitura gessosa… minerale… dallo sfondo di grande profondità ed intensità. Un quadro netto, dritto, ma al contempo da guardare da punti di vista diversi e da pensare in prospettiva, dato che non sembra temere il tempo. La cornice e la parete sceglietele voi.
Corso 2014: un blend particolare di Sauvignon, Incrocio Manzoni e Chardonnay, tutto votato all’aromaticità, forse rischioso, ma a quanto pare nella Cantina San Michele sono abituati a scommettere ed a vincere o c’è qualcosa di più in questo terroir che permetta agli azzardi di divenire armoniche composizioni. Complice la giornata di sole in cui l’ho assaggiato per la prima volta, l’estate si è fatta sentire, dai tropici fino alle nostre latitudini, dalla frutta esotica agli agrumi, a comporre un naso davvero intenso, ma mai eccessivo. La bocca è quella che speravo, dritta e marina come a voler ricordare che la pianura padana sia nata proprio su sedimentazioni marine.
Io l’ho trovato un Vino divertente, nell’accezione più rispettosa e positiva del termine, in quanto è stato spigliato sin da subito, comunicativo ed a suo modo ironico, nel tirar fuori un itinerario di viaggio difficile da auspicare pensando al “punto di partenza”.
Sarai 2015: il Marzemino nella sua sede originaria, dove sembra essere stato coltivato per la prima volta in Italia e dove, di certo, manifesta un’identità particolare, più determinata, ma in egual modo elegante. Il frutto intenso ed il sorso morbido si intrecciano con grande leggiadria, senza scomporsi, senza cedere a sbilanciamenti, pur giocando su equilibri sottili che lo rendono ancor meno scontato.
Un Vino interessante nella sua espressione del Marzemino che tiene fede al varietale, ma vuole evidenziare il terroir di un’azienda che con questo assaggio chiude un cerchio, per quanto mi riguarda, delineando una personalità ben precisa.
Personalità che definirei tanto sicura di sé quanto umile nel non strafare, vitale e vogliosa di fare e di dire la propria, con il rispetto per il territorio e la saggezza di un tempo, ma anche e soprattutto guardando ad un futuro basato sulla capacità di sapersi rinnovare in lassi di tempo brevissimi e saper incuriosire noi winelovers con idee in bottiglia ed a San Michele le idee non mancano di certo.
F.S.R.
#WineIsSharing
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