Ci mancava solo il “terroirismo” del Vino in Francia

In un mondo afflitto da lotte di religione, che di religione hanno ben poco, ed in un contesto socio-economico che fa acqua, in questo caso Vino, da tutte le parti, ci mancavano solo i “terroirist” francesi, definiti “terroristi enoici” dai media di mezzo mondo a causa dei loro “attentati” a sfondo eno-protezionista.

Questi “commandi” si sono autodefiniti più volte “wine terroirist” (da terroir ovviamente), ma si tratta del CRAV – Comitato Regionale d’Azione Viticola (Comité Régional d’Action Viticole), o, talvolta, solo CAV – Comitato d’azione viticola (Comité d’action viticole), un gruppo di militanti produttori di vino francese. Questa “cellula” di “red block” ha rivendicato numerosi attentati, tra cui dinamite negozi di alimentari, in una cantina, in alcuni uffici del ministero dell’agricoltura di due diverse città, macchine incendiate, dirottamento di una petroliera, nonché la loro più comune azione, ovvero il riversamento di grandi quantità di vino non francese nelle strade, intercettando le autocisterne provenienti dalla Spagna e, per quanto meno, anche dall’Italia.

Il CRAV è attivo principalmente in Languedoc-Roussillon, nel sud della Francia, che è la regione francese del vino che il gruppo ritiene sia stata colpita da eccedenze di produzione e da una conseguente necessità di adeguare la qualità e la quantità di vino prodotto alle mutevoli realtà del mercato, tra cui ridotta domanda interna di vino da pronta beva per il consumo quotidiano. Questo processo, che ha coinvolto una notevole mole di sussidi dell’Unione europea, ha avuto effetti negativi per i produttori più piccoli che si sono ritrovati in numerose manifestazioni di protesta, nelle quali il CRAV è una sorta di “braccio armato”.
Sia chiaro, che l’UE stia mettendo in ginocchio i piccoli agricoltori francesi ed italiani è palese ed alcuni dei principi che muovono questi produttori potrebbero anche essere condivisibili, per quanto eccessivamente protezionistici, ma le richieste del CRAV sembrano essere più o meno volutamente impossibili da realizzare per i politici francesi e per l’Unione Europea, che di certo non può interferire apertamente con il mercato unico o introdurre sussidi nazionali basati sulla politica agricola comune. Il gruppo ha anche richiesto norme maggiormente restrittive e tariffe contro le importazioni in aumento di vino sfuso spagnolo ed  italiano, dove – dicono loro – i costi sociali più bassi, meno burocrazia e una struttura industriale diversa porti ad una più economica produzione di vin..Credo che queste deviate convinzioni ed in particolare l’asserzione “meno burocrazia” farà sorridere molti di voi, soprattutto i produttori!
Inoltre, sostengono, che la preferenza dei consumatori per i grandi brand del vino, per referenze più semplici da comprendere, magari con il solo varietale ad identificare il vino, unitamente alla tendenza ad essere incuriositi da stili enologici differenti, come quelli degli USA e del Sud America, nonché dell’Oceania, stanno portando la stessa Francia ad una sempre maggior importazione di Vini di Australia, Nuova Zelanda, Cile e Stati Uniti.
La frustrazione si estende ben al di là dei produttori radicali. “Ogni bottiglia di vino americani e australiani che atterra in Europa è una bomba mirato al cuore della nostra ricca cultura europea”, sostiene coltivatore di Aime Guibert.
Con tutto il rispetto per questi produttori, mi chiedo con chi se la prendano se i gusti dei francesi siano cambiati? Sarebbe come pensare di poter impedire ai giovani italiani di andare a mangiare sushi ed in un contesto di globalizzazione totale, in cui i social stanno da una parte (negativa) omologando, ma dall’altra aprendo menti e possibilità della massa nei confronti della conoscenza di realtà differenti, capaci di destare la curiosità dei più, credo sia anacronistico ed improbabile, per quanto idealmente sarebbe più romantico vedere le nuove generazioni andare in trattoria. Ma… l’ipocrisia non porta a nulla!

crav

In un clima di paura reale nel quale la Francia vive da mesi ormai è davvero triste pensare che nel mondo del Vino, invece di pensare ad associarsi al fine di creare azioni congiunte votate al cambiamento, tramite una comunicazione ed un’iterazione/confronto con le istituzioni ed alla promozione della qualità e delle unicità del vino francese (un po’ ciò ciò che sta facendo la FIVI in Italia), si stiano creando i presupposti per una vera “guerra del vino”.
L’assurdo di tutto questo è che i produttori di questi gruppi eseguano azioni violente e distruttive nei confronti di qualcosa che esiste da sempre e che negli anni passati era ancor più presente, ovvero il taglio dei nobili vini francesi con vini spagnoli e del sud Italia. Essere contrari o meno a queste dinamiche non conta, in quanto basterebbe far seguire la legge nei casi di disciplinari e regolamentazioni che impediscano di produrre vino con uve che non siano coltivate direttamente in loco, ma sembra che la Francia del grande Vino, specie in annate storte come questa, pur di poter accontentare i mercati, debba attingere ai due paesi, che insieme ad essa, ormai da anni dominano la graduatoria dei maggiori produttori di uve da vino e di ettolitri di vino (tra sfuso ed imbottigliato) al mondo.
Che si voglia tutelare la propria produzione di qualità e che si cerchi di farsi ascoltare da chi, sembra, non voler sentire, è più che accettabile, ma il metodo è davvero eccessivo e fuori luogo e mi viene davvero difficile pensare che siano solo piccoli vignerons a compiere questi veri e propri attentati, che hanno visto persino violenza contro amministratori e rappresentanti di grandi gruppi del vino internazionali. Purtroppo, il pensiero che queste azioni vengano coordinate e “sponsorizzate” da chi col vino c’entri ben poco c’è e non è così fuori dal mondo, ma vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi, soprattutto in previsione di un’annata in cui la produzione di Vino in Francia dovrebbe essere ridotta dall’andamento climatico (gelo e grandine) che ha letteralmente decimato le potenzialità produttive dei vigneti francesi.
In un mercato libero, il protezionismo non può essere perpetrato con azioni simili e probabilmente è un concetto quanto meno opinabile, seppur, noi italiani ne sentiamo spesso il bisogno, data l’estrema qualità dei nostri prodotti tipici, Vino in primis. Il fatto è che il mondo per come lo viviamo ora vede nella globalizzazione e nel mercato libero dei pro e dei contro difficilmente intaccabili, ,ma che, se compresi e sfruttati con senno, possano concorrere a mostrare qualità e tipicità e potrebbero persino aprire le porte di nuove prospettive commerciali ad un maggior numero di produttori. Nonostante l‘egemonia dei grandi, infatti, c’è sicuramente più spazio per tutti, là dove si punti ad una comunicazione votata alla qualità unita a concetti più ampi come cultura, arte, storia, persino la Moda e tutto ciò che rende un paese come la Francia, proprio come l’Italia, grande agli occhi del mondo. Il made in Italy è diventato uno stile di vita, non è mai stato solo “Vino”, solo qualità o solo moda e questo, ancora oggi ci sta dando la possibilità di sopperire alle gravi e pesanti “botte” della crisi. Mi piace pensare che in Italia si stia improntando tutto su un’associazionismo che miri a comunicare valori e principi sani e che usi la veemenza e la “forza” in termini dialettici e burocratici, per far sentire la propria voce in Europa (cito ancora la FIVI) e dentro gli stessi confini nazionali.
Per quanto comprenda alcune prese di posizione di questi gruppi di terroirist francesi, confido davvero le cose cambino, perché non credo che riversare centinaia di ettolitri di Vino per le strade ed ancor meno compiere atti vandalici, usando un eufemismo, possa cambiare le cose, specie in un paese colpito dal terrorismo vero e costantemente in stato di paura.
Lascio a voi ulteriori valutazioni, in quanto trovo poco utile continuare ad argomentare qualcosa che si commenti da sola, spero comunque che da una parte i produttori e, soprattutto, dall’altra le istituzioni collaborino al fine di cambiare le cose, per quanto utopico possa sembrare.


F.S.R.
#WineIsSharing

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