Dove regna il Vino non regna il silenzio

Preparatevi alla mia “solita” manfrina sulla vita/e e sul vino… ormai lo sapete, questo è un diario aperto, il lucchetto non fa per me, quindi sentitevi libere/i di leggere i miei pensieri nella piena consapevolezza di aver di fronte parole obiettive, ma soggettive, di un curioso amante  del vino e della vita, che non passa un solo giorno senza porsi dei quesiti riguardo questi due argomenti, che condividono iniziale, numero di lettere e tanti tanti valori.
I temi di oggi? La tradizione, l’anacronismo e la comunicazione.
Si parla tanto di tradizione, di
ritorno al passato e nel Vino questa tendenza sembra coincidere con
un maggior appeal, con un fascino senza tempo che, però, potrebbe, a
mio parere, risultare fuorviante ed ancor più deviato all’origine.
Io sono molto legato al passato, ai
ricordi, ad alcune rituali tradizioni, ma non dimentichiamo che la
tradizione non deve per forza di cose incarnare il passato in tutto e
per tutto… la tradizione è stata presente, magari persino
innovazione, ai suoi albori. Viviamo in un’era in cui sarebbe così
facile fungere da esempio e trasformare il presente in tradizione per
il futuro, che mi sembra assurdo continuare a parlare di cose fatte
“alla maniera di”, “come lo faceva mio/a nonno/a” – tra l’altro mio nonno il Vino non sapeva neanche farlo e mia nonna
in cucina è ancora oggi una frana! – , “come vuole la
tradizione”, senza riflettere sul fatto che, magari, certe cose
venissero fatte in quei determinati modi per l’assenza di conoscenze,
competenze e mezzi tali da poter fare diversamente. Ecco perché
tutto ciò che che sfoci nel concetto di sostenibilità non potrà
mai prescindere da una consapevolezza odierna, contemporanea e da un
approccio analitico e mai casuale ed anacronistico. Credo che si
possa arrivare a fare tanto e bene con maggior rispetto, attenzione e
competenza… le possibilità, oggi, le abbiamo e su più fronti. Non
parlo solo di Vino! Se solo non andassimo avanti di stereotipi e
preconcetti e ci mettessimo in testa che noi stessi potremmo essere
da esempio e dare il via a nuove futuribili tradizioni, lasceremmo un
segno più marcato del nostro passaggio su questa Terra. Continuiamo
a portare avanti le nostre tradizioni, mai dimenticarle, ma non
temiamo di migliorarle, di renderle più “nostre”. Che male
c’è?! Pantarei!
Il mio pensiero non vuole essere una critica diretta a qualcuno in particolare e comprendo che le dinamiche del marketing ed alcune convinzioni radicate nella cultura della Terra e del Vino, possano spingere verso un modo di porsi e di presentare il proprio lavoro – perché fare Vino è un lavoro ed appena posso non manco di ribadirlo, dato che qualcuno che sta dalla mia stessa parte, spesso sembra dimenticarsene – che coincida con descrizioni ideologiche, allegoriche, spesso, banali e poco coerenti con ciò che effettivamente rappresenti il frutto del lavoro di un vignaiolo e di un produttore. Forse, sarebbe il caso di lasciar parlare di più il Vino stesso e di imparare a raccontare il proprio territorio, le annate, il proprio terroir in senso lato ed in senso stretto, senza scadere in pseudo-filosofie che lasciano il tempo che trovano. Il Vino è materia viva, ma concreta, in continuo divenire, ma presumibilmente stabile, è carburante per l’irrazionalità dei sogni, ma al contempo frutto di sapere scientifico ed approccio pragmatico… continuare a vederlo come qualcosa che non è, spogliandolo da un lato di ragione e ragionevolezza e dall’altro di quella giusta dose di emozione e suggestione non serve, ma neanche esasperare uno dei suoi due emisferi.

Rischierò di sembrare ripetitivo – e lo sono! – ma l’equilibrio è tutto, tanto in vigna ed in cantina, quanto nel comunicare ciò che si fa. Mi piacerebbe tanto leggere di confronti costruttivi e meno categoricamente improduttivi, fra vignaioli e produttori che operino in modo differente, che abbiano stili e concezioni enoiche diverse,  senza facili diatribe e critiche gratuite.
Questo articolo scaturisce dalla mia insofferenza nel vedere produttori italiani che si critichino a vicenda sui social, “talebani” (così si fanno chiamare) del vino “naturale” che invece di creare le basi per una crescita comune, tramite un costruttivo confronto, sanno solo dare addosso a tutto e tutti senza poi così tanti argomenti da mettere sul tavolo… nasce dalla convinzione di vivere in un periodo storico-sociale-tecnologico tale da avere i mezzi per stimolare, anche nei più giovani, la passione ed ancor più la cultura enoica. Il Vino non è mai stato così facile da comunicare, ma anche per questo non è mai stato così difficile per un winelover districarsi nel mare magnum del “world wine web”. Mi rendo conto, io per primo, che siamo solo all’1% del potenziale che potremmo avere tutti, comunicatori e produttori per far conoscere territori, realtà produttive e vini in maniera più democratica, ma non per questo lacunosa o deviata, senza fossilizzarci su guerre intestine e faziosità poco sensate, bensì facendo il massimo per crescere tutti da un lato verso una viticoltura più sostenibile e rispettosa e dall’altra puntano dritti ad una comunicazione più “bio”, se così la si possa definire, in cui vigano obiettività ed onestà intellettuale circa qualità ed informazione ed espressa attitudine all’emozionalità ed ai valori umani e professionali nel raccontare territori e vignaioli.

Forse sono solo un inguaribile sognatore, ma credo davvero che il Vino possa essere di tutti e che possa dismettere questi panni da elitario ed esclusivo argomento, come se tutti possano berlo, ma solo in pochissimi possano apprezzarlo e conoscerlo. Perchè?!

E come diceva mio nonno… “Il cuore è come il vino: ha il fiore a
galla!”
Ops… ci sono cascato anch’io! 😊

F.S.R.
#WineIsSharing

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