Borgogna “vs” Mosella – Degustazione di Pinot Noir in terra di Riesling

Al mio rientro da questo fantastico weekend in Mosella, con escursioni liquide in Borgogna, mi preme dire un paio di cose…
Innanzi tutto, per quanto possa sembrare strano, il motivo principale del mio viaggio in terra di Riesling era un Pinot Nero… un Pinot Noir di un giovane produttore che ha voluto dimostrare le potenzialità di questo varietale in Mosella.
In secondo luogo, vorrei ammettere che in questo viaggio ho assaggiato vini che, con buone probabilità, non mi capiterà più molte volte di riassaggiare ed in alcuni casi potrei non incontrare mai nuovamente. Vini di grande levatura, che qualcuno ha definito “miti”, ed altri “grandi etichette” disquisendo sul loro valore economico. In realtà, l’obiettivo di questo viaggio, oltre alla scoperta di cantine che hanno fatto grande la Mosella ed il suo Riesling, come J.J. Prüm, Dr Loosen e Egon Müller – alle quali dedicherò uno dei miei racconti di viaggio – era proprio quello di comprendere quanto un “nuovo” produttore potesse avvicinarsi al “mito”, purché il mito si spogli del suo vestito ornato di storia, di fascino e di connotazioni esterne alle dinamiche del semplice assaggio.

pinot noir borgogna e mosella

E non celo la mia gioia nell’aver constatato che, almeno per il mio palato, per la mia concezione di vino e per le mie obiettive, ma soggettive, sensazioni sia stato così. Perché il Pinot Noix di Daniel Twardowski – di cui vi parlerò ampiamente nel mio prossimo articolo, ma cito per stuzzicare la vostra curiosità – ha tenuto ampiamente testa a molti dei più noti Chateau borognoni. Alcuni nomi? Domaine de la Romanée-Conti, Domaine Armand Rousseau, Domaine Coche Dury, con i loro Echezeaux 2011 e Corton 2013 (DRC), Clos St. Jacques 2011, Chambertin e Clos de Beze 2013 (Rousseau) e Mersault 2013 (Coche Dury). Annate importanti, con la 2013 considerata in Borgogna una grande annata che si sta dimostrando tale di assaggio in assaggio. Lotta impari per il neonato Pinot Noix – anche dell’origine del suo nome vi parlerò nel prossimo articolo – o forse, no?! A quanto pare le tre annate inserite in degustazione, ovvero 2011, 2012 e 2013, si sono comportate più che bene sia per quanto riguarda le valutazioni tecniche che per un fattore, a me ancor più caro, ovvero l’identità e la riconoscibilità. Io, personalmente ho intuito due sui tre vini, compresa l’annata, degustati non prima della mattina stessa, in cantina. Ciò che è stato disarmante, a mio parere, è stata la grande territorialità ottenuta dal Pinot Noix in pochi sole tre annate, con un’ottima integrazione del legno, grande armonia, salina mineralità ed una freschezza che fa ben sperare in ottica di longevità, pur vantando una maggior prontezza degli immortali borgognoni, per quanto, pare che sia proprio la Mosella ad essere la terra degli “highlanders enoici” per eccellenza, con i suoi Riesling, quindi vedremo cos’accadra con il Pinot Noix.
Sia chiaro, alcuni miti sono riusciti a mostrare e dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, la loro grandezza a prescindere dai condizionamenti e quei miti rendono tutto ancor più interessante ed intrigante, non solo per chi assaggia ma anche per chi il vino lo fa o vuole farlo. Confermando che la bendata disfida non fosse stata congegnata ad hoc e che la Mosella si dimostri più che adatta alla coltivazione di Pinot Noir e per la realizzazione di grandi vini prodotti con “la bestia nera” di tutti i vignaioli.

Detto questo, negli
scorsi giorni qualche amico, vedendo le foto dei vini che ho avuto
modo di assaggiare e condividere con il resto del gruppo, mi ha
chiesto ironicamente “ma tu non eri quello che aveva come
mission quello degli assaggi non scontati?” “Quello delle
piccole cantine italiane?”… a quell’amico ho risposto che io
sono quello delle emozioni, dell’equilibrio e della curiosità
innata, niente di più e niente di meno di molti winelovers italiani
o stranieri, ma che amo mettere la mia esperienza ed il mio palato in
gioco, proprio per poter comprendere meglio il vino italiano, che ho
tanto a cuore e che continuerò ad assaggiare ogni giorno, eccezion
fatta per questo tipo di rare ed apprezzatissime digressioni. Sono
quello che non ha pregiudizi riguardo questo o l’altro produttore e
che prima di parlar male o di denigrare vuole avere le idee chiare ed
il bello, quando si parla di vino, è che l’unico modo per farsi
un’idea più completa riguardo un territorio, una cantina, una storia
sia assaggiare, assaggiare e assaggiare… non vi nego che non avrei
mai avuto il budget per potermi permettere una serie di assaggi fatta
di bottiglie rare e blasonate come quelle stappate in questo viaggio,
ma sarei un ipocrita se dicessi che, almeno alcune di esse, avrei
voluto poterle avere in cantina e vorrei poterle ritrovare ancora nel
mio calice. Se non ho mai scritto di prezzi, di valori razionali e di
questo tipo di dinamiche riduttive ed opinabili, nel mio wineblog e
sui social, è semplicemente perché il vino, per me è e resterà
sempre vino, ed ogni assaggio dal più economico al più “prezioso”,
a mio modo di vedere, va trattato allo stesso modo. Io ho sempre
condiviso con voi i miei pareri tecnico-emozionali, le mie
impressioni su territori, cantine, persone e vini, senza fare
distinzioni di “razza” o “pedigree” e continuerò
a farlo, con un bagaglio ancor più completo di elementi comparativi
sia a livello gustativo che puramente emozionale, proprio grazie a
questi grandissimi assaggi.
Questa degustazione ha
visto cadere qualche mito dal piedistallo, altri hanno dimostrato
quanto di vero e di imperituro ci sia dietro al loro rango.
Dall’altro lato c’è il
Pinot Noix,
che non fa che confermare ciò che continuo a pensare da
anni, ovvero che alcuni prezzi siano ingiustificati dalle peculiarità
organolettiche e che ogni bottiglia al di sopra di una certa soglia
di spesa porti con se un surplus di notorietà, storia e, perché no,
marketing che ne rendano più appetibile il loro acquisto per chi ami
investire il proprio denaro in questo modo… io, che ho avuto la
fortuna di condividere questi assaggi con persone preparatissime, ma
soprattutto appassionate tanto quanto me al vino per quel che è, a
prescindere dal blasone, porterò con me un ricordo indelebile di
un’occasione unica, in cui è accaduto di tutto, dalle conferme alle
delusioni, dalle nuove scoperte alle rivalutazioni di opinioni
passate.
Assaggiare, vivere,
conoscere, condivide e confrontarsi sono gli unici modi per capire il
vino nella sua così semplice e spontanea infinita complessità.
Snobbare, invidiare, criticare con pregiudizi mal riposti non fa bene
a chi ama il vino né al vino stesso.
Questo viaggio
rappresenta un’emozionante esperienza per me, che no mancherò di
ripetere qualora ce ne fosse l’occasione, ma da domani di nuovo in
posta alla ricerca di realtà da scoprire e da raccontare, come mia
abitudine, o di assaggi da confutare, in giro per l’Italia da un lato
con l’asticella alzata un po’ più in alto, ma dall’altro con la
netta convinzione che anche noi possiamo fare grandissime cose,
all’altezza se non superiori di questi grandi “miti”,
avendo l’ardore ed il coraggio di compararci ai riferimenti
d’oltralpe e del resto del mondo, ma puntando su una via propria di
espressività territoriale e di identità, proprio come sta facendo
Daniel Twardowski con il suo Pinot Noix.

Un grazie di cuore a
tutti i compagni di viaggio ed i miei più sinceri complimenti a
Massimo Maccianti e Luca Martini per aver organizzato un grande
momento di vita e di vino.
F.S.R.
#WineIsSharing

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