Continua la mia ricerca di territori e vitigni rari e poco conosciuti ed il mio viaggio mi ha portato, ancora una volta, nelle Marche, terra che ha sempre in serbo qualche sorpresa enoica per noi appassionati.
Il vitigno di cui vi parlo oggi è l’Incrocio Bruni 54, nato dall’ingegno di uno dei più importanti personaggi del mondo del vino italiano e non solo, il Prof. Bruno Bruni.
In pochi, fuori dalle Marche, conoscono l’Incrocio Bruni 54 ma, finalmente, è stato creato un evento in grado di raccontarne ogni sfumatura in maniera attenta ed approfondita e questo evento, al quale non potevo non partecipare, si è tenuto pochi giorni fa a Fossombrone.
Un interessante convegno apertosi con il video che trovate qui di sotto – che vi consiglio di guardare, in quanto davvero denso di emozioni – e proseguito con gli interventi di esperti in materia, capaci di raccontare in modo snello ed approfondito la storia e le peculiarità di questo vitigno, che conta circa 25ha totali e, ad oggi, sembra essere presente solo ed esclusivamente nelle Marche, con qualche filare in Umbria e Toscana (ma ad oggi non ho notizia di vini prodotti in purezza in queste ultime due regioni).
Partiamo dalla storia di questo varietale, che per chi non lo conoscesse, fu creato come accennato poc’anzi, dal Prof. Bruno Bruni, ampelografo marchigiano di fama internazionale al quale dobbiamo la catalogazione e la descrizione di svariati vitigni autoctoni italiani.
L’Incrocio Bruni 54 è stato, plausibilmente, creato nel 1936 seguendo un’intuizione del Prof. B. Bruni, che nelle sue sperimentazioni, da sempre, cercava di apportare migliorie naturali ai vitigni già esistenti, rendendoli più resistenti e più performanti in termini di armonia organolettica. Il quesito che il breeder si pose, presumibilmente, fu semplice “Cosa manca al Verdicchio?”. La risposta fu altrettanto semplice “Aromi floreali più fini e maggior eleganza”. Fu così che decise di incrociare per impollinazione Verdicchio e Sauvignon (non mi dilungo riguardo questa specifica tecnica di incrocio in quanto potrei solo fare un mero copia-incolla da qualche manuale universitario, ma online trovate vari approfondimenti a riguardo). Da così nobili genitori non poté che nascere un altrettanto nobile figlio, eppure il Prof. Bruni, dato il suo noto “low profile”, una volta raggiunto l’obiettivo, quasi lo accantonò. E’ qui che nasce il primo piccolo mistero su questo vitigno che lo vede protagonista di un unicum nella carriera di uno degli ampelografi più attenti e minuziosi al mondo: l’Incrocio Bruni 54 è l’unico vitigno a non avere un’adeguata descrizione tra la miriade di varietali catalogati e descritti da Bruni. Il perché è ancora ignoto, ma mi piace pensare che volesse tenere questa sua piccola grande creatura solo per sé.
Ho parlato di un “primo” piccolo mistero, perché sembra essercene un altro ed a mettere a winelovers e produttori la pulce nell’orecchio è stata la Dott.ssa Silvestroni, prof.ssa presso la Facoltà di Agraria del Politecnico delle Marche, che sembra aver trovato alcune incongruenze che farebbero pensare ad una possibile impollinazione “casuale” (non così difficile da pensare data la tecnica utilizzata) da parte di un terzo vitigno, che comunque, a giudicare dagli esiti sia in pianta che nel calice non dovrebbe essere poi così diverso dal Sauvignon.
A conferma della sua rispondenza a molte delle peculiarità del Sauvignon c’è la testimonianza di colui al quale si deve l’attuale riscoperta dell’Incrocio Bruni 54, ovvero l’enologo Giancarlo Soverchia, che assaggiando gli acini, durante il prevendemmia, tra i filari di Verdicchio si accorse che alcune piante davano origine a grappoli diversi per forma, colore e, soprattutto, per sapore. Fu così che decise di propagare quelle piante in aree pedoclimatiche differenti, seppur sempre entro i confini marchigiani, per comprendere al meglio le potenzialità. Fu semplice per l’enologo e per i produttori stessi comprendere quale fosse la vera forza di questo vitigno, rappresentata, non dalla mole produttiva o dalla sola componente organolettica, bensì dalla grande costanza produttiva e dalla grande adattabilità a contesti diversi, nei quali era in grado di mostrare personalità differenti, ma tutte egualmente valide ed interessanti.
Un vitigno in grado di mantenere la spina dorsale acida del Verdicchio ed in alcuni casi la sua notevole struttura, ed enfatizzando la componente aromatica, con note proprie di ambo i vitigni. Un bianco che dipende, ancor più di altri, dalle interpretazioni del singolo terroir, dalla più fresca e minerale a quella più morbida e rotonda, dal più pronto a quello che si fa attendere per dare il meglio di sé.
Un convegno davvero ben riuscito che ha reso onore al lavoro di Bruni e, soprattutto, ha fatto da adeguato preambolo alla degustazione dei vini base Incrocio Bruni 54 prodotti da tutti e 16 i produttori che hanno creduto nelle potenzialità di questo vitigno.
Personalmente ci tengo a segnalarvi alcune delle interpretazioni e delle espressioni territoriali che di più mi hanno colpito durante la degustazione comparativa:
Incrocio Bruni 54 Corniale – Il Conventino di Monteciccardo (Monteciccardo-PU): ogni produttore aveva massima libertà nello scegliere numero di referenze ed annate da presentare e quest’azienda ha, a mio parere, fatto la scelta più esaustiva, in un contesto in cui si miri a far conoscere un vitigno in tutte le sue sfaccettature. Lo ha fatto presentando una verticale di tutte le annate prodotte, quindi dal 2010 al 2015, palesando una spiccata attitudine alla longevità. L’interpretazione solo acciaio, con una piccola percentuale di crio-estrazione si presta molto ad enfatizzare quelle che sono da un lato le peculiarità aromatiche fruttate, floreali e minerali dell’Incrocio Bruni 54 e dall’altro la sua lineare freschezza, resa profonda ed elegante dalla sapidità che riesce a sviluppare indipendentemente dall’areale di produzione, ma che in queste interpretazioni si fa notare in maniera ancor più nitida. Questa verticale, in particolare, ha evidenziato che con l’evoluzione il vino tende ad affievolire l’aromaticità dovuta al Sauvignon per poi far emergere l’anima del Verdicchio (in questo caso più sponda Matelica), con il mare a prendere il sopravvento. Cantina giovane, ma dalle idee chiare e coraggio da vendere, che non teme il confronto e non ha remore nel presentare ogni singolo vino prodotto sin dagli albori. Ad ogni anno in più delle vigne, la personalità e la struttura crescono. I presupposti sono davvero importanti, specie dopo avere assaggiato gran parte dei vini prodotti durante la mia ultima visita in cantina di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Da sottolineare che è al giovane cotitolare dell’azienda, Mattia Marcantoni, che si deve l’idea di questo evento.
Incrocio Bruni 54 – Cantina Terracruda (Fratte Rosa-PU): una delle poche cantine a proporre due interpretazioni differenti di questo varietale e quindi a rendere ancor più interessante l’analisi delle potenzialità interpretative ed evolutive dell’Incrocio Bruni 54. Nella sua versione solo acciaio, presentata nell’annata 2016, da pochissimo in bottiglia, è la freschezza a farla da padrona, in toto, mentre nella versiona affinata il legno piccolo si denota la duttilità del vitigno e la sua capacità di reggere importanti affinamenti senza perdere completamente la sua epressività. Interpretazione di grande carattere che ha bisogno di tempo per integrare a pieno l’affinamento, ma che io ho avuto modo di apprezzare dopo qualche anno di cantina e posso assicurarvi che si tratti di un grande vino.
Incrocio Bruni 54 – Cantine Fontezoppa (Civitanova Marche-MC): probabilmente tra le versioni più rispettose ed identitarie dell’Incrocio Bruni 54, presentata nell’annata 2015, solo acciaio, nel suo momento di massimo equilibrio fra impatto aromatico comune ad ambo i genitori seguito al sorso da dinamica freschezza e solida struttura. Tutt’altro areale, rispetto ai primi due, e diversa personalità, eppure emerge un filo conduttore fatto di sale, di mare e di finezza. Interessante quanto questa versione le note vegetali, quelle fruttate/agrumate e quelle floreali vengano abbracciate dal mare in una fusione perfettamente equilibrata di Verdicchio e Sauvignon (naso e bocca, specie in questa versione, sembrerebbero dipanare ogni dubbio riguardo la genitorialità del secondo vitigno, scongiurando eventuali scappatelle del primo con altri!). La duttilità fatta vino: perfetto d’estate se stappato d’annata, ma al contempo atto a stupire in qualsiasi periodo, con qualsiasi abbinamento, purché con la giusta compagnia, dopo un po’ di riposo in cantina.
Incrocio Bruni 54 – Viticoltori Finocchi (Staffolo-AN): assaggiato nella sua versione 2015, con una cifra stilistica territoriale che non può che rimandare ai Castelli di Jesi. Forse il più affine al Verdicchio, ma che del Sauvignon si tiene ben stretta la finezza olfattiva ed una buona eleganza al sorso. Nonostante illuda con un primo approccio largo, sembra disegnare una sorta di cuore ideale in bocca, partendo dalle due parabole e finendo in un acuto di verticalità e sapidità. Per gli amanti del Verdicchio questo vino può essere il più riconducibile territorialmente, anche alla cieca.
Incrocio Bruni 54 Allos & Eto’s – Cantina Polenta (Conero-AN): una delle più piccole ed interessanti realtà della provincia di Ancona che esprime, ogni anno, nelle sue poche centinaia di bottiglie di Incrocio Bruni 54, l’apice della qualità artigiana. Tra tutti gli assaggi, l’Eto’s e l’Allos sono tra quelli che (non conoscevo l’azienda e non sapevo del numero esiguo di bottiglie prodotte) di più hanno pizzicato le mie corde emozionali. Il primo, con un impatto intrigante al naso, che aggiunge mediterraneità aromatica e una forte nota speziata, mentre il secondo esalta la nota marina ben integrata nelle peculiarità varietali già citate, sorsi che sanno di sole e di mare, di terra e di aria. Sorseggiando l’Allos e dopo aver geolocalizzato la cantina, una suggestione postuma si è palesata… quella di un tramonto, sulla meravigliosa spiaggia di Portonovo poco distante dalle vigne dalle quali ha origine questo vino. Uno di quei tramonti in cui il sole infuoca il cielo per un istante, per poi lasciar spazio al vento fresco ed alla salsedine, che per noi ipotricotici è solo un piacere!
Paolini & Stanford Winery (Offida -AP): non poteva mancare una versione più “estrema” dell’Incrocio Bruni 54, ma che in realtà di estremo ha solo il piacere nell’appurare quanto quest’uva si presti ad ogni singola interpretazione e si adatti ad ogni terroir. I vini presentati da quest’azienda che segue i protocolli della vinificazione “naturale” sono: un macerato, che enfatizza la ricca eleganza estraibile dalle bucce dell’Incrocio Bruni 54, con note minerali che dinamizzano un sorso secco e dritto; un passito molto equilibrato, mai stucchevole, che mantiene quel pizzico di vitalità marina, che chiude un assaggio per nulla scontato. Interessante la volontà di sperimentare l’appassimento di queste uve, in quanto lo stesso Prof. Bruni ne appurò la grande attitudine a questo tipo di vinificazione.
Altri sembrano poter stupire in futuro, ma per correttezza, vorrei riassaggiarli nei prossimi mesi, in quanto penalizzati dal freddo. Parlo dei vini della Tenuta Santi Giacomo e Filippo, Mezzanotte, Strologo e Podere Santa Lucia.
Concludo con un’osservazione che è scaturita in maniera del tutto naturale al termine della mia degustazione, facendola presente a vari produttori, che solo in un contesto in cui per la prima volta – di questo bisogna ringraziare l’organizzatore nonché Sommelier professionista Raffaele Papi – hanno avuto modo di rendersi pienamente conto della distribuzione del vitigno sul suolo regionale, che mi ha visto cogliere nell’Incrocio Bruni 54 un valore unico per le Marche:
L’Incrocio Bruni 54 è l’unico vitigno ad essere coltivato con successo in ognuno dei principali areali di produzione delle Marche, toccando ogni singola provincia e diventando così il miglior esponente di quello che potrebbe essere chiamato “Terroir Marche”. Un vitigno, quindi, che si pone come cartina di tornasole per le varie peculiarità territoriali e per l’espressività che ogni zona ed ogni singolo cru possano dare, ancor più di Verdicchio, Pecorino, Montepulciano e Sangiovese, che pur essendo molto più diffusi hanno una distribuzione meno capillare e più concentrata in poche vocate aree. E’ davvero interessante come un vitigno che conti neanche 25ha totali coltivati possa rappresentare ed unire nelle diversità un’intera regione, dall’appennino alla costa, dall’entroterra al mare.
F.S.R.
#WineIsSharing
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