Il mio Vinexpo 2017 a Bordeaux

A qualche giorno dalla condivisione
delle pagine del mio “diario di bordo” relative alla prima tappa
del mio ultimo viaggio in terra di Francia, vi porto a Bordeaux, dove
ad aspettarci c’era quella che fino a qualche tempo fa era, a ragion
veduta, considerata la più importante fiera del vino al mondo:
Vinexpo.

Dico “fino a qualche tempo fa”, perché il polso
della fiera, tastato durante questa edizione, non sembra quello di un
evento nel pieno della sua forma e la cosa pare non rappresentare un
passo falso isolato, bensì un punto, per fortuna ancora medio, su di
una parabola discendente iniziata già da un paio di edizioni.
Sarebbe improbabile fare paragoni con il Vinitaly, dato che i concept
delle due fiere sono palesemente differenti, con una Vinexpo molto
più internazionale ed un Vinitaly sempre focalizzato sulle realtà
italiane, ma per forza di cose qualche comparazione a livello
organizzativo e di numeri viene da farla e non vi nego che non ci è
voluto molto per rivalutare molti aspetti della fiera nostrana. Molte delle aziende italiane presenti, ormai solo consorzi e realtà medio-grandi per via dei costi ingenti della manifestazione, con le quali mi sono confrontato hanno manifestato un notevole malcontento, non escludendo la possibilità di non tornare per le prossime edizioni, focalizzando tempo ed investimenti su altri eventi.



A prescindere da questa premessa, però, io mi limito a valutare Vinexpo dal mio punto di vista e trovo sia pur sempre un’occasione unica per gli amanti del vino
(pressoché tutti operatori del settore fra buyers e media) 
di assaggiare vini da tutto il mondo in una città meravigliosa come Bordeaux.
Vinexpo 2017 – Bordeaux

Il numero degli espositori si è
attestato per questa edizione sui 2.300, provenienti da 40 paesi, ma
per quanto riguarda i visitatori, ciò che si è evidenziato è stata
la stragrande maggioranza di operatori provenienti da Cina e Stati
Uniti, oltre ovviamente a quelli francesi.

E’ palese che per tenere in vita questa
importante fiera, alla luce degli ottimi risultati raggiunti dalle
manifestazioni satellite organizzare fuori dalla Francia, si stia
concentrando l’attenzione verso il mercato asiatico, ma questo porta
ad un progressivo calo di interesse da parte degli altri paesi e, a
mio modo di vedere le cose e giudicando parte degli assaggi fatti, un
adeguamento dei grandi produttori francesi ad un target che non può,
oggi, essere identificato con ciò che in Europa, ad esempio, ora si
stia cercando nel vino.
Esempio lampante è il Bordeaux, che
nell’en primeur organizzata dall’Union des Grands Crus de Bordeaux (anteprima Bordeaux e Sauternes) ha evidenziato quanto alcuni mercati amino
vini tecnicamente ineccepibili, ma carenti di acidità/freschezza,
molto strutturati e di grande morbidezza. Vini che, sia chiaro, una
volta integrato la barrique sapranno regalare sensazioni importanti e
magari questa precisione stilistica e questa coerenza interpretativa
nel tempo saprà toccare le giuste corde emozionali degli amanti del
genere, ma la mia impressione è che in Borgogna parli il territorio,
mentre a Bordeaux parli molto di più la “cantina” e, per quanti
nemici mi farò, continuo a sostenerlo da anni. Detto questo, aver
l’opportunità e l’onore di stappare qualche vecchia bottiglia di
bordeaux è sempre un piacere e la capacità di evolvere e di
guadagnare espressività terziaria di questi vini è difficilmente
riscontrabile altrove. Credo sia solo una questione di esigenze e di
forma mentis, assolutamente non di qualità, in quanto ci sono vini
da intendere per quello che sono nella loro espressione più tecnica
e concettuale di un modus operandi – nel caso del Bordeaux con
evidenti motivazioni storico-commerciali – e vini (quelli più nelle
mie corde) che puntino ad essere espressione di un territorio, di un
varietale e/o di un’identità di terroir forte e non replicabile
anche solo nel vigneto accanto a quello in cui nascano.
Devo ammettere, però, che avendo avuto l’opportunità di girare per gli stand con un produttore di GIN la fiera sembra molto forte per quanto concerne il comparto Spirits, mentre per il vino da elogiare l’area WoW! (World of Organic Wines), a cavallo fra il VinitalyBio e il ViViT.
Comunque è mia intenzione essere
provocatorio, ma solo condividere con sincerità quelle che sono le
realtà che mi abbiano colpito di più a prescindere dalla loro
geolocalizzazione, quindi riporterò qui di seguito qualche nota
riguardo le cantine più interessanti tra quelle incontrate a
Vinexpo.
  • Viticultors Finca Mas d’en Gil:
    siamo nel Priorato, uno dei territori più suggestivi nel panorama
    della viticoltura mondiale, dove Pere Rovira e le sue figlie hanno
    deciso di portare avanti una tradizione vitivnicola importante, nel
    pieno rispetto del contesto ambientale e delle varietà coltivate.
    Parliamo di una cantina biodinamica, che produce vini di rara
    complessità e struttura, ma molto equilibrati e mai troppo pesanti.
    Capaci di estrarre freschezza da terreno e forti escursioni
    termiche, sia nella Grenache che negli altri varietali tipici
    coltivati. Ottimo il Como Vella 2011 ed entusiasmante in prospettiva
    il Clos Fontà 2011.
  • Casa Rojo: siamo ancora in Spagna,
    ma questa è una realtà particolare in quanto l’Enologica Creativa
    produce vini in otto denominazioni di origine spagnola differenti,
    con lo scopo di esprimere e mostrare al mondo il meglio di ogni
    singolo territorio spagnolo: La Marimorena in Rias Baixas, The
    Orange Republic in Valdeorras, el Gordo del Circo in Rueda, The
    Invisible Man in Rioja Alta, Alexander Vs The Ham Factory in Ribera
    del Duero, Maquinon in Priorato, Moltó Negre in Villafranca del
    Penedés and Macho Man Monastrell in Jumilla e l’ultimo arrivato, il
    Ladròn nella D.O. del Bierzo. Il tutto in due cantine differenti,
    ma con il medesimo team e la volontà di cercare di recuperare
    vecchi vigneti che mancavano di cura da parte dei proprietari. La
    forza di Casa Rojo è nella grande creatività espressa nelle
    etichette e nella comunicazione, ma che sarebbe nulla senza una
    qualità trasversale riscontrabile in ogni vino prodotto. Davvero un
    unicum nel panorama mondiale del vino, dal quale trarre molti
    spunti, sia in termini di comunicazione che di riqualificazione di
    areali e nello specifico vigneti vocati, ma in balia dell’incuria.
  • Quinta de Santa Eufemia: dato che
    tra qualche settimana andrò in Portogallo per uno dei miei
    eno-tour, ho pensato di farmi un interessante giro di assaggi
    nell’area dedicata al Porto e tra le varie realtà incontrate devo
    ammettere che questa sia stata quella capace di colpirmi
    maggiormente. Quinta de Santa Eufemia è una cantina a conduzione
    familiare indipendente, fondata nel 1864, situata nella valle del
    fiume Douro, a Nord del Portogallo. Sono oltre 45 gli ettari
    coltivati dalla quarta generazione della famiglia Rodrigues de
    Carvalho, per la produzione di un’ampia linea di vini, tra i quali
    spiccano, ovviamente, i Porto tra Porto Bianco, Porto Ruby, Porto
    Tawny (e Tawny invecchiato), Porto Colheita e Vintage. Tra gli
    assaggi più interessanti un intrigante Tawny 20 Years Old ed i
    Porto Colheita 2004, di rara complessità ed intensità. Non vedo
    l’ora di tornare dal Portogallo per raccontarvi di più di questo
    splendido vino, dalle mille e più sfaccettature e dal carattere
    immortale.
Dato che la Spagna era il paese “focus” di questa edizione, credo di averle reso onore con le due cantine segnalate e per quanto riguarda la terza siamo pur sempre nella penisola Iberica, quindi non può che farmi piacere essermi reso conto una volta tornato a casa e rispolverato gli appunti di aver apprezzato così tanto un’area con la quale non mi capita così spesso di confrontarmi in degustazione.
Purtroppo non ci sono francesi, ma
credo che le motivazioni siano principalmente due: i costi di Vinexpo
impediscono a molti dei vignaioli più piccoli e più votati alla
massima espressione del proprio terroir di partecipare; ho avuto
davvero poco tempo per assaggiare ed ho, sinceramente, assaggiato
poca Francia in fiera ed ho suddiviso i miei assaggi fra Beaujolais, Bordeaux, Chablis, Loira, Côtes du Rhône, Côtes du Rhône e 
Champagne, tralasciando la Borgogna per motivi di tempo, ma con profondo rammarico.
La parte più interessante e dinamica del viaggio, però, è stata viversi Bordeaux per un paio di giorni, specie di sera, con questo meltin’pot latino-africano, in cui non è difficile ritrovarsi a parlare più spesso spagnolo che francese. Il vino è ovunque a Bordeaux, dalla nuovissima Cité du Vin ai ristoranti che propongono carte interessanti a tutti i livelli.
La Cité du Vin
E’ stato in giro per Bordeaux che ho potuto godermi vini francesi meno “main
stream”, magari a cena in giro per le vie del centro, ma se Bordeaux è stupenda, c’era una tappa che sapevo mi avrebbe colpito ancora di più e sto parlando di quel
santuario del Vino chiamato Saint-Emilion.
Saint–Emilion
Non citerò i Vini assaggiati fuori fiera per rispetto di chi ha partecipato a Vinexpo, investendo denaro e tempo, ma se dovessi tornare a Bordeaux, probabilmente lo farei in un altro periodo, magari con una temperatura più sopportabile e non in occasione della fiera, dedicandomi agli Chateau in maniera più serena ed avendo più tempo per visitare luoghi magici come Pomerol. Ce sera pour la prochaine fois…


F.S.R.
#WineIsSharing

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