Un Wine Blogger in viaggio attraverso la Sardegna del Vino

Continuano i miei viaggi enoici alla scoperta di territori meno conosciuti, ma non per questo meno vocati alla viticoltura o meno capaci di stupire, di indurre meraviglia negli occhi ed al palato.
Il mio ultimo tour mi ha portato in Sardegna, isola magnifica, dalla grande tradizione enoica, ma che negli ultimi decenni ha subito un calo ingente di attenzione sia da parte del “grande pubblico” che dei più appassionati.

L’obiettivo era quello di visitare quattro areali differenti per varietali coltivati, condizioni pedoclimatiche, sistemi di allevamento ed influenze storico-culturali partendo dal Sud ed arrivando al Nord, il tutto in tre giorni. Impossibile? Lo pensavo anch’io, ma sono sempre stato del parere che con positività, organizzazione e, soprattutto, con l’umiltà di affidarsi al giusto Cicerone il tempo possa far decisamente meno paura. Così è stato, ma lasciate che vi racconti nello specifico come sia andato il mio viaggio attraverso la Sardegna del vino.
Ora mettetevi comodi, versatevi un calice di buon vino, meglio se sardo, e godetevi il viaggio…

Il Sulcis – L’Isola di Sant’Antioco ed il Carignano

carignano del sulcis
Sulcis – Vigne sull’Isola di Sant’Antiaco a Calasetta
Arrivo a Cagliari di prima mattina ed incontro i miei due compagni di viaggio, Mario Bagella, giovane laureato in agraria, nonché vignaiolo, conosciuto in tempi non sospetti attraverso i vini che produce con suo padre a Sorso e Luca Mercenaro uno dei più noti esperti di agronomia sardi, nonché Professore al Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari. Come avrete notato dai miei ultimi viaggi il mio percorso di ricerca e di crescita è fatto di viaggi solitari di cantina in cantina, di evento in evento, di territorio in territorio, ma anche di “affiancamenti” con vari esponenti del settore, tra i quali enologi ed agronomi. Questo perché ho sempre ritenuto fondamentale, ai fini dell’acquisizione di maggiori competenze tecniche ed anche solo per il semplice fatto di aver un punto di vista differente sulle varie realtà enoiche che ho modo di visitare, poter condividere i miei viaggi con chi sia più preparato di me nella produzione di vino, dalla vigna alla cantina, piuttosto che nell’assaggio.
Nel caso della Sardegna la mia scelta non poteva essere più felice, in quanto parliamo di una terra in cui, oggi, forse ancor più di ieri, sono molti di più i vignaioli che i produttori di vino.
Mi spiego meglio… in Sardegna per anni le cantine sociali hanno fatto il bello ed il cattivo tempo e molti viticoltori non hanno mai avuto lo stimolo a produrre vino direttamente, preferendo conferire le proprie uve a tali cantine. Oggi, molte di quelle cantine sono fallite o calate notevolmente di potenziale, ma al loro posto restano i grandi nomi della produzione vitivinicola sarda che con i loro svariati milioni di bottiglie attingono alle uve di viticoltori di tutta la regione, se non altro remunerando abbastanza bene chi fa vigna.
Queste dinamiche, però, hanno portato la Sardegna ad avere tanta vigna e pochissime cantine private capaci di fare qualità in campagna al fine di produrre ed imbottigliare vino con la propria etichetta. Per fortuna, però, io ho avuto modo di incontrare piccole realtà che mi hanno riempito l’animo di positività a partire dalla prima tappa del mio eno-tour sardo: l’isola di Sant’Antioco.
Un luogo magico, un’isola collegata alla madre Sardegna con un istmo, quindi comodamente raggiungibile in macchina, che un tempo godeva dell’areale vitivinicolo più importante in termini di ettari (se ne contavano oltre 2500 ora sono solo 250) e di qualità dell’intera regione.
Oggi, un po’ per le dinamiche legate al declino della cantina sociale, vuoi per una viticoltura non fra le più semplici, gli ettari vitati sono notevolmente calati, ma restano ugualmente alcune delle vigne vecchie ad alberello più suggestive e qualitativamente vocate attraverso le quali abbia avuto modo di camminare. Vigne impiantate per lo più sulla sabbia, che dimostrano spirito di abnegazione giorno dopo giorno, specie in annata siccitose come quella corrente, ma che sono in grado di regalare risultati di grande pregio in bottiglia, se rispettate da chi ne interpreterà il prodotto in cantina. Il vitigno principe di questa terra e del Sulcis in generale è il Carignano, vitigno di origine francese che ben si è adattato a questo territorio. Dopo aver visitato vari appezzamenti ed aver avuto modo di apprezzare, grazie al supporto dei due agronomi, le peculiarità pedoclimatiche ed ampelografiche di questa realtà vitivinicola, è arrivato il momento di assaggiare i vini nati da queste uve. Mario mi conosce e sa che se non servono cene di gala o cantine monumentali per stupirmi e farmi star bene, bensì occorre solamente la realtà pura e semplice di un territori e quella sera ciò che ho fatto è stato proprio un tuffo nella realtà di Sant’Antioco e del Carignano. I miei due compagni di viaggio, infatti, avevano organizzato una cena a base di informalità e convivialità, il tutto innaffiato da micro-produzioni di Carignano, portate da quelli che sarebbero stati i miei commensali, ovvero un gruppo di piccoli vignaioli uniti dalla passione per questo vitigno e dalla volontà di dare nuovo lustro al proprio meraviglioso territorio.
E’ stato così che, tra un boccone di pecora arrosto ed un pezzo di pecorino sardo, ho potuto degustare, anzi bere alcuni delle più interessanti espressioni di Carignano dell’intera regione, confermando quanto già appurato in vigna, vale a dire il grande potenziale delle vigne di questo areale, specie dei vecchi alberelli capaci di grande complessità ed equilibrio anche nelle annate più difficili, unitamente alla possibilità di esprimere vini mai omologati e con molta identità ed altrettanta personalità.
Questa è una di quelle esperienze che ogni winelover dovrebbe invidiarmi, a discapito delle visite nelle più note cantine o assaggi di rinomati e rari vini, perché il vino è questo niente di più niente di meno.

Per concludere questa tappa, più che descrivere i vini uno ad uno, data la filosofia di questa associazione dei vignaioli indipendenti del Carignano, ci terrei a porre l’attenzione su quanto in questo caso il becero luogo comune “pocos, locos y mal unidos” venga meno, almeno per quanto concerne l’ultima parte dell’affermazione!

Meana – Il Mandrolisai

mandrolisai vino
Mandrolisai – Vigneti di Meana Sardo
Lasciata a malincuore la suggestiva Isola di Sant’Antioco, in cui anche le vigne sembrano spiagge tanto da invogliarti a camminarci attraverso a piedi nudi, mi dirigo verso Meana, nel Mandrolisai, dove si pratica quella che in Sardegna può considerarsi a tutti gli effetti viticoltura di montagna.
Quando si pensa alla Sardegna si pensa al mare, alle sue meravigliose coste, ma è l’entroterra il cuore pulsante di una terra che per secoli ha visto proprio nel mare e nella costa la via d’accesso di conquistatori ed usurpatori. Vi risparmierò la lezione di storia relativa alle dominazioni subite dalla Sardegna e dai Sardi, anche se molte di essere si ripercuotono oggi in fattori culturali dominanti come i dialetti e per vie traverse anche nelle colture, quindi anche nel vino. E’ importante, però, prendere atto di quanto zone come quella di Meana e più in generale del Mandrolisai, poste esattamente al centro della regione, abbiano rappresentato per molti sardi luoghi in cui stanziarsi, vivere e costruire abitazioni sin dai tempi dei Nuraghe e che oggi, però, si vedono spopolate per via delle poche opportunità lavorative e per la distanza dal mare, che per la Sardegna, allevamento e viticoltura a parte, rappresenta fonte di vita, lavoro e contatto con il continente.
Nonostante questo progressivo abbandono, però, il Mandrolisai resta uno dei luoghi più suggestivi e vocati alla viticoltura dell’Italia intera e probabilmente del pianeta, con altitudini che vanno dai 500mslm ai 750mlsm, con terreni differenti, ma tutti ricchi di forti componenti minerali vulcaniche.
Un territorio talmente vario e vocato che i sardi hanno pensato bene di sfruttare in tutte le sue sfaccettature riservandogli l’unica denominazione che contempli un blend. L’assemblaggio nello specifico è da uve: Bovale sardo non meno del 35%, Cannonau dal 20% al 35%, Monica dal 20% al 35%.
La Cantina di Meana è una realtà relativamente giovane, ma fondata su principi senza tempo quali il rispetto del territorio e della tradizione vitivinicola del Mandrolisai, dove le colline si fanno montagne e gli antichi vigneti ad alberello accolgono al loro fianco nuovi impianti con grande armonia, senza passarsi il testimone, bensì complentandosi vicendevolmente nel risultato di ogni vendemmia che arriverà in bottiglia.
Risultati che ho avuto modo di assaggiare, anche in questo caso nel modo più informale eppure più degno e coerente nel quale si possa ritrovarsi a bere vino, ovvero a tavola.
I vini prodotti, con il supporto dell’enologo Antonio Manca, sono il Parèda Isola dei Nuraghi IGT, il Parèda Mandrolisai Doc ed il Parèda Biologico IGT. Tra tutte le interpretazioni del blend tradizionale del Mandrolisai e tra le varie espressioni di questo territorio l’assaggio che mi ha colpito di più è stato senza ombra di dubbio il Mandrolisai Doc che enfatizza le due peculiarità che speravo di trovare in un contesto di questo genere, vuoi per l’altitudine, vuoi per l’età dei vigneti coltivati (nel caso di questo specifico vino) ad alberello, ovvero una grande e verticale freschezza, che attraversi una buona struttura, il tutto con un’armonia che anela all’eleganza. Freschezza ed eleganza, si… mi aspettavo proprio questo dai vini del Mandrolisai e la Cantina di Meana non mi ha affatto deluso.

Molto interessanti anche il progetto “bio”, che mira a dare un’identità ancor più rispettosa in vigna ed in cantina all’azienda.
Un luogo primordiale, in cui l’uomo ha assecondato ripidi pendii ed irti versanti di colline che raccontano storie antiche come quella del Nuraghe Nolza che dominia l’altopiano scistoso Su Pranu con una vista a 360° che rende concreta l’idea di quanto la vigna, qui, abbia connaturata in sé la meraviglia. Una meraviglia che andrebbe vista con i propri occhi, ma che al contempo andrebbe comunicata e veicolata ancor meglio attraverso i prodotti di una terra che ha tantissimo da dare e che sa emozionare come pochissime altre al mondo, ma che purtroppo è poco conosciuta ed ancor meno ricondotta a grande terra del vino. Io confido in voi tutti nel abbandonare le bellissime spiagge della Sardegna almeno per un giorno, durante le vostre prossime vacanze, alla volta del Mandrolisai, centro nevralgico di storia, cultura e viticoltura sarde.

Usini – Coros ed il Cagnulari

Usini – Vigne nel Coros della Cantina Carpante

Detto questo, il viaggio continua ed in un paio d’ore, direzione Nord ovest, ci ritroviamo a Usini, nel Sassarese, terra del Cagnulari, vitigno unico nel suo genere, dalle qualità a mio parere, ancora, solo minimamente comprese.

L’azienda che ho avuto modo di conoscere attraverso vigne vecchie, nuovi e futuri impianti, nonché, ovviamente, visitando i locali di cantina ed assaggiandone la produzione, è Carpante.
Due previe parole su Usini e sul territorio di Coros, nel quale la vigna ha sede da secoli e che non ha bisogno di grandi indagini o analisi per mostrare le proprie attitudini e la propria vocazione ad una viticoltura di qualità, in quanto basta guardarsi intorno e sotto i piedi per sentirsi letteralmente avvolti dal calcare. Interi costoni calcarei sui quali sorgono vigneti dalle forme di allevamento tradizionali fino a quelle più “moderne”, alla ricerca della massima qualità che si possa ottenere da quei bianchi terreni.
L’azienda Carpante coltiva con attenzione e rispetto quasi tutti i varietali storici di Sardegna, dal Cagnulari, come già detto, al Cannonau, passando per il Carignano ed il Vermentino, con piccole produzioni di Bovale e Pascale, con l’obiettivo di offrire una produzione che copra un ventaglio molto ampio, ma soprattutto con la volontà di dimostrare quanto questo areale possa dimostrarsi adatto ad ottenere, seppur con diverse personalità, ottimi risultati con tutti i vitigni sardi.

Anche in questo caso abbiamo la disposizione classica di vigne e cantina, che prevede i vigneti in diverse parcelle nelle campagne del paese e la cantina nel pieno centro, dove si vinifica, si imbottiglia e si stocca la produzione.
E’ in cantina che assaggio tutti i vini Carpante e devo ammettere che il garbo in vinificazione, unito al valore aggiunto dato da questa grande quantità di calcare attivo assorbito dalle radici di ogni singola vite, mi hanno stupito su tutta la linea, con picchi relativi al Cagnulari ed al Vermentino Frinas in cui potenza espressiva, vena acida e sapida mineralità rendono ogni sorso inerziale.
Non posso che fare i miei più sinceri complimenti a Luca Mercenaro, che oltre ad avermi fatto da Cicerone attraverso altri territori e ad avermi presentato altri produttori, con la massima umiltà mi ha presentato i vini che cura in prima persona nell’azienda di sua moglie.

Sorso & Sennori – La Romangia

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Romangia – Sorso e Sennori

Dopo l’ennesima degustazione, lasciamo Usini per dirigerci verso una città dal nome evocativo: Sorso.

Siamo in Romangia, terra che per decenni se non secoli ha rappresentato il “miglior vino” di Sardegna, ma che, anche in questo caso, ha avuto una fase di lento declino negli ultimi anni. Un declino che, però, non ha fermato alcuni giovani produttori che stanno letteralmente resuscitando questo territorio, cito Alessandro Dettori delle omonime tenute, le sorelle Laura e Delia della Cantina Sorres ed una delle mie più luminose scoperte degli ultimi anni, ovvero Mario Bagella della cantina 1Sorso, che oltre ad essere un valido agronomo, è stato l’altro mio compagno di viaggio in questo intenso enotour attraverso la Sardegna del vino.

Avevo già assaggiato i vini di Mario e di suo padre Leonardo e mi avevano colpito a tal punto da selezionarlo come uno dei più rappresentativi giovani produttori d’Italia per l’Only Wine Festival tenutosi lo scorso aprile a Città di Castello, ma non avevo ancora avuto modo di visitare i suoi vigneti affacciati sul mare, quindi non potevo che terminare il mio viaggio proprio da lui. Aspettate, però… c’è dell’altro! Prima di parlarvi dell’azienda 1Sorso dei suoi vini, c’è stato un tanto inatteso quanto piacevole fuori programma, legato a doppio filo alla passione per il vino ed alla storia di questa terra ed è stato l’incontro con la confraternita del Moscato di Sorso-Sennori, una delle più piccole Doc italiane, che stava quasi per perdersi, quando questo gruppo di vignaioli (anche in questo caso il becero adagio “spagnoleggiante” si dimostra inadatto) e di amici decide di dar vita ad un progetto che riporti in auge la storicità di questo ottimo vino dolce del territorio ed il vino stesso, producendone poche, ma fondamentali bottiglie per comprendere quali siano le potenzialità del moscato in questa zona.
Un assaggio che non dimenticherò, fatto mentre scorrevo un album di foto senza tempo, nelle quali erano ritratti i confratelli in vesti antiche e con fare ancestrale, come a rievocare i fasti di una terra e di un vino che oltre ad avere il colore del sole e dell’oro, era altrettanto prezioso per la popolazione locale.
Confraternita Moscato di Sorso e Sennori

Torniamo a Sorso, dove il giovane vignaiolo Mario Bagella e suo padre Leonardo accettano la mia proposta di organizzare una piccola degustazione alla cieca con alcuni dei più rappresentativi Cannonau del territorio, per comprendere tramite il mio palato e, soprattutto, tramite la loro stessa incondizionata percezione a che punto sia il loro vino.
La degustazione è stata davvero interessante ed ha confermato la qualità del lavoro svolto da 1Sorso, che si è distinta per eleganza e freschezza, nonostante i buoni prodotti proposti anche dalle altre realtà. Un contesto in cui anche le cooperative sono in grado di imbottigliare vini di grande qualità, magari con meno identità, ma molto piacevoli, quindi un ulteriore merito a Mario e suo padre per aver ben figurato in mezzo a vini davvero ben fatti.

Eppure, se il Cannonau 2016 1Sorso mi ha colpito molto, ha stupirmi in tutto e per tutto è stato il Vermentino 2016, in grado di mostrare il meglio del varietale al naso, evitando ogni nota organolettica omologante e noiosa come l’eccessivo aroma di banana al quale tendono molti “vermentini” sardi, specie in Gallura, evidenziando invece note fresche, marine e minerali, anche grazie alla leggera macerazione sulle bucce. Un vino di grande slancio, nonostante la buona struttura, che si fa bere anche grazie ad una sapidità che cresce fino alla chiusura del sorso. Il sole ed il mare si incontrano e si fondono in questo Vermentino, dando origine ad uno dei migliori bianchi assaggiati durante la mia permanenza in Sardegna.

Un viaggio davvero ben congegnato, che mi ha permesso di fare un “coast to coast”, da sud a nord, in 3 giorni potendo dedicare ad ogni realtà la giusta attenzione. Ora non mi resta che pianificare il mio ritorno in terra sarda, stavolta per attraversarla in orizzontale.
Rinnovo il mio invito a provare a visitare almeno alcuni di questi areali durante i vostri prossimi viaggi in Sardegna… ne vale davvero la pena!

Per le altre foto scattate durante il mio viaggio in Sardegna clicca qui
—> https://www.facebook.com/media

F.S.R.
#WineIsSharing

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