Tra tutti i viaggi enoici intrapresi, tra tutti i varietali più o meno conosciuti assaggiati, c’è un connubio fra luogo e vitigno che sin dal primo incontro ho sentito fortemente mio.
Parlo dell’unione naturale della Val di Non e del Groppello di Revò.
Siamo in un luogo che definire mozzafiato sarebbe riduttivo, una terra in cui un tempo, neanche troppo lontano, al posto dei meleti c’erano vigneti tra i più estremi e suggestivi in Italia e, oserei dire, del mondo.
In tempi non sospetti vi parlai già di questa realtà, ma ho voluto riprendere in mano i vecchi appunti e rievocare immagini ed emozioni nella volontà di “restaurare” alcuni miei pensieri riguardo il Groppello di Revò e la sua cantina di riferimento, ovvero la Cantina Laste Rosse di Romallo.
Per chi mi segue da poco, questa è la storia di uno dei pochi vignaioli in grado di tenersi stretta la propria vigna in Val di Non, è la storia di chi continua credere in un vitigno ormai quasi estinto, come il Groppello di Revò, ma soprattutto è la storia di una famiglia che nel vino ha trovato il modo di esprimere al meglio la propria identità e di raccontare il proprio territorio. E’ la storia di Pietro Pancheri della Cantina Laste Rosse, che con la sua famiglia sta portando avanti quella che sembra essere più una missione che un impegno lavorativo. Un’impresa, nel vero senso della parola, in quei vigneti che in totale non arrivavano neanche ad 1 ettaro ai tempi della mia prima visita e che oggi vedono qualche piccola particella strappata al bosco e alle sterpaie con coraggio e caparbietà da Pietro.
Per chi mi segue da poco, questa è la storia di uno dei pochi vignaioli in grado di tenersi stretta la propria vigna in Val di Non, è la storia di chi continua credere in un vitigno ormai quasi estinto, come il Groppello di Revò, ma soprattutto è la storia di una famiglia che nel vino ha trovato il modo di esprimere al meglio la propria identità e di raccontare il proprio territorio. E’ la storia di Pietro Pancheri della Cantina Laste Rosse, che con la sua famiglia sta portando avanti quella che sembra essere più una missione che un impegno lavorativo. Un’impresa, nel vero senso della parola, in quei vigneti che in totale non arrivavano neanche ad 1 ettaro ai tempi della mia prima visita e che oggi vedono qualche piccola particella strappata al bosco e alle sterpaie con coraggio e caparbietà da Pietro.
Una volta, in questa Valle, tutti avevano un po’ di vigna, come accadeva in molte altre parti d’Italia, e tutti bevevano il “Gropel”, vino apprezzato dalla gente del posto. Ora di Groppello ce n’è davvero poco, solo un pugno di ettari distribuiti in parcelle scampate alla “meletizzazione”, ma per fortuna alcuni vignaioli hanno deciso di ripiantare quelle viti e di riproporre quel vino sulle nostre tavole.
Già nel nome troviamo una peculiarità di questo territorio, i terreni rocciosi, che abbinati a pendenze che farebbero scendere dalla bici persino i ciclisti più abili, rendono impossibile ogni lavorazione meccanizzata e lasciano alla premura delle mani di esperti vignaioli la cura dei vigneti ed ovviamente la raccolta.
Un lavoro, quello di Pietro, che non deve solo fare i conti con un territorio impervio, con l’attacco di uccelli ingordi di Groppello (per i quali hanno predisposto apposite reti protettive) e negli ultimi anni di insetti, ma deve anche “lottare” con il fenomeno che ha portato alla scomparsa di quasi la totalità dei vigneti della Val di Non appannaggio della mela.
Ma c’è una cosa che si palesa sin dal primo istante in cui si ha modo di entrare a casa Pancheri e quindi in cantina: in questa azienda, in questa famiglia la fatica non spaventa nessuno, a partire dalla bimbe che durante la mia visita non hanno fatto altro che correre a destra ed a manca su e giù per le scoscese vigne… che invidia! Io dopo due salite avevo già l’affanno!
Il Groppello è una scommessa di Pietro e di pochi altri piccoli produttori che hanno deciso di salvare qualche vecchio filare e/o di reimpiantare questo varietale che in dialetto veniva chiamata “Gropel”. Un’uva sicuramente “selvaggia”, ostica ai più, ma che se coccolata e, soprattutto, interpretata con umiltà e comprensione può e sta dimostrando di dare grandi risultati.
Veniamo ai vini di Pietro Pancheri, partendo dal Groppello di Revò Laste Rosse 2015, vinificato in acciaio per poi affinare metà in acciaio e metà in barrique, che mostra in maniera vivida e esplicita la natura di questo vitigno, che ha un frutto intrigante e speziato a tratti rinfrescato da toni di verde che non denotano immaturità bensì carattere. E’ il tannino, però, la più nitida peculiarità di questo, più che duro, arduo varietale, che il legno piccolo riesce solo a smussare leggermente, senza domarlo o renderlo succube dell’affinamento. Un tannino netto, deciso ma estremamente pulito, un tannino di montagna, di roccia e di grandi escursioni termiche che fa il pari con un’acidità alpina. Parlare di equilibrio con un vino come questo sarebbe come voler far morire quadrato un tondo, anzi date le dinamiche e divertenti spigolature del Groppello invertirei la massima. Eppure per me c’è grande vitalità e c’è soprattutto una forte identità territoriale, due componenti imprescindibili per me.
Pietro, però, non si è limitato all’interpretazione più positivamente “classica” e, forse, anche quella che lascia emergere di più il vitigno, in quanto ne produce anche una sorta di riserva chiamata Privato 2014 (etichetta frontale sostituita da una bellissima scritta a mano libera di Silvia), Groppello che gioca su un totale affinamento in legno per un periodo più prolungato , con la volontà di limare ancora qualche millimetro alle punte tanniche del vino e di sperimentare le potenzialità evolutive dello stesso. Missione ampiamente compiuta, tanto che in più di un’occasione questa interpretazione non solo ha stupito me con la sua spiccata personalità, bensì ha colpito più di un degustatore esperto per la sua complessità tra sensuale speziatura, la sua fresca balsamicità ed una profonda sensazione di slancio al sorso, per nulla ostacolata dal tannino, che nella prima versione, forse, aveva l’unica pecca di accorciare un po’ il sorso. Questa bottiglia è la testimonianza liquida di quanto il Groppello di Revò possa arrivare a dare.
In fine c’è l’ultimo nato in casa Pancheri, una scommessa nella scommessa, ovvero un Metodo Classico (Blanc de Noir – Vendemmia 2012 – Sboccatura 2016) base Groppello di Revò, che avevo già avuto modo di assaggiare in anteprima, ancora sui lieviti e che ho ritrovato poche settimane fa nella sua release finale confermando le mie previe impressioni.
Il naso ha un incipit scritto da lieviti golosi di pasta di mandorle che lasciano ben presto spazio al territorio espresso con la verde balsamicità montana che sembra voler preparare la strada ad un sorso in cui le bollicine, fini ed eleganti, sono tagliate dalla katana di una freschezza rampante come gli archi di una cattedrale gotica, immagine che aiuta ad intuirne la verticalità.
Se è vero che in Italia, forse, la “s-mania” di fare metodo classico con “la qualunque” ci stia scappando un po’ di mano è pur vero che grazie a questa continua e curiosa sperimentazione ho avuto modo di incontrare nel mio calice vini di grande potenzialità proprio come il Metodo Classico da Groppello di Revò della cantina Laste Rosse.
La Famiglia Pancheri produce anche un bianco da uve Traminer Aromatico, molto varietale e di grande freschezza, da bere con inerzia.
Una storia quella della Cantina Laste Rosse della famiglia Pancheri e del suo legame con il territorio e con il Groppello di Revò che ha saputo catturare la mia attenzione, ma soprattutto ha saputo non perderla mai grazie ad una tenacia costante nel voler preservare questo vero e proprio pezzo di storia di una terra meravigliosa che rischia di perdere parte della sua bellezza per l’omologazione delle colture e quindi dei paesaggi agricoli. Io continuerò a stappare Groppello di Revò, perché “una mela al giorno” toglierà anche il medico di torno, ma un bicchiere di buon vino rende la vita sicuramente migliore!
F.S.R.
#WineIsSharing
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