La Fattoria Fibbiano – Radici antiche e vini contemporanei nelle Terre di Pisa

Il mio ennesimo tour attraverso la Toscana del vino mi ha portato in una località forse non conosciutissima, ma di grande suggestione e meritevole dell’attenzione di ogni wineblogger e winelover che si rispetti: Terricciola.
Siamo in provincia di Pisa, in una zona della quale vi avevo già mostrato un piccolo squarcio tempo fa attraverso la condivisione delle mie impressioni riguardo alcune cantine e che oggi ha rivendicato la sua DOC Terre di Pisa.
Quella che vi racconterò oggi è una giornata davvero intensa, passata fra vigne ed assaggi, alla scoperta di questa terra e di una realtà familiare davvero interessante.
Siamo alla Fattoria Fibbiano, alla quale è legata una storia non così comune, che parla di sogni, sacrifici, lungimiranza e soprattutto di famiglia.
La famiglia in questione è la famiglia Cantoni, formata da Giuseppe, Tiziana e i due figli Matteo e Nicola, lombardi di origine, ma toscani nel cuore.
cantina fibbiano terricciola
Fu nel 1997 che Giuseppe Cantoni, trasferitosi all’estero per una carriera nellindustria, decide di tornare in Italia e ritrovare le radici dei suoi avi, agricoltori da generazioni.
Giuseppe, insieme alla moglie Tiziana e ai due figli Matteo e Nicola, sceglie la Toscana e va alla ricerca di una tenuta.
Basta un passo sulla terra della Fattoria Fibbiano per innamorarsene e per decidere di far ripartire da lì la vita dell’intera famiglia, a contatto con la terra e le cose più pure, lontano dal caos e dalla routine della città.
Un’opera, quella avviata da Giuseppe con il supporto della moglie e dei due giovani figli Matteo e Nicola, che sin da subito non fu un mero investimento, bensì un percorso di recupero prima e di mantenimento poi dell’intero contesto naturale e paesaggistico che l’azienda agricola rappresentava in quel territorio. A quanti di noi, spesso, sfugge la bellezza del luogo in cui viviamo, per poi rendercene conto a pieno solo quando è qualcuno “che viene da fuori” a farcela notare con enfasi e meraviglia? E’ proprio per questo che la famiglia Cantoni è diventata custode, non solo della propria azienda agricola, ma anche di quella fetta di territorio che, pur non essendo nativi del luogo, sentono come la propria casa.
Un destino quello di fare vino in questa terra ed ancor più in una fattoria dove la coltivazione della vite sembra essere presente da centinaia di anni e la produzione di vino, addirittura in bottiglia, avveniva già dai primi del ‘900, come testimoniano alcune etichette ritrovate in loco.
Eppure il rischio di perdere la memoria storica di questa terra era palese, in quanto lo stesso fattore consigliò alla famiglia, al momento dell’acquisto, di espiantare l’antico vigneto di più di 100 anni per impiantare nuove viti, più produttive e magari varietà internazionali, come dettavano i trend dell’epoca.
Pur non conoscendo, ancora, benissimo la realtà vitivinicola della zona Matteo e Nicola fecero tesoro di ciò che fu insegnato loro dal nonno “non abbandonare mai la strada vecchia per la nuova anche se apparentemente più corta”, in quanto in natura e quindi in agricoltura nulla accade ed è lì per caso, e tutto è unito da un sottile filo logico per cui se una determinata varietà cresce e prolifera da sempre in un dato territorio è perché esiste questo legame.
Fu proprio quel vigneto ultracentenario a far propendere la famiglia per l’acquisto della fattoria, per poi spingersi verso scelte produttive di certo controcorrente per l’epoca.
Da quelle piante, così diverse eppure così vicine, che convivono da anni in piena armonia conservando una salute e una vigoria rare, sono stati selezionati i cloni di Sangiovese, Canaiolo, Ciliegiolo, Colorino e S. Colombana propagati poi in quelli che oggi sono gli attuali 20ha ca. di vigneti.
Detto oggi, anno 2016 selezione clonale, sembra una cosa abbastanza normale -anzi forse anche un po’ di moda -, ma nel lontano 1998 in Toscana, in questa zona, ancor più che in altre, le tendenze dettate da mercati e critica enoica erano quelle di espiantare vitigni autoctoni e reimpiantare alloctoni.   
Questa scelta non fu di certo facile, né tanto meno portò i vini di Fibbiano a essere apprezzati da quella stessa critica che propendeva per tutt’altro “genere enoico” e per una cifra stilistica filo-americana, che non sempre corrispondeva ad un’espressione sincera del territorio in senso lato e del terroir in senso stretto, ma vi basterà fare due chiacchiere con Matteo e Nicola per capire di che pasta siano fatti questi due fratelli. Due fratelli che si sono suddivisi i compiti sin dall’inizio del percorso aziendale, senza lasciar nulla al caso. Se Nicola, infatti, ha portato a termine gli studi di enologia al fine di occuparsi con senno e consapevolezza tecnica della cantina, Matteo è colui che gira il mondo per far conoscere l’azienda e coordina la comunicazione aziendale. Tutta la famiglia è coinvolta nella gestione di un’azienda agricola che ha mantenuto intatto il fascino dei tempi andati – per molti altri, ma non per Fibbiano! -, ma che oggi vanta, oltre al cuore vitivinicolo, una bellissima struttura agrituristica ed una produzione di ottimo olio evo. Quindi diciamo che il “da fare” non manca!
Se ho scelto di parlarvi di Fibbiano, però, non è solo per la bellezza del territorio e per la storia di una famiglia davvero speciale, ma è anche e soprattutto per l’unicum che questa azienda rappresenta sotto tanti aspetti e l’esempio lampante che ci sia sempre un’alternativa ai condizionamenti di massa di mercati e critica e che alla lunga ciò che vinca nel Vino possano ancora essere qualità e territorialità.
Sia chiaro, Nicola non si è fatto mancare passaggi sperimentali, per arrivare a prendere atto del fatto che, forse, per andare avanti bisognasse guardarsi indietro e non assecondare le mode. Partiti dal cemento, per poi tornare alla botti grandi di legno, fermentazioni, oggi, assistite solo con un normale controllo della temperatura, ma senza l’inoculo di lieviti selezionati, una gestione dei vari vitigni in purezza capace di esaltare ogni singolo terreno aziendale e ogni singola esposizione dei vigneti. Queste sono solo alcune delle scelte di cantina, ma nulla di tutto ciò darebbe risultati così importanti, senza un approccio altamente rispettoso e conservativo in vigna.
 
A Fibbiano la tradizione coincide con l’innovazione, in quanto in ogni gesto, in ogni decisione ed in ogni bottiglia di Vino prodotta vengono convogliati i principi del rispetto e della lungimiranza, che uniti alle doti del terroir hanno dato vita ad una produzione davvero interessante.
Un terroir che grazie alle particolari condizioni pedoclimatiche ed alla grande richezza di calcare attivo dei terreni dona ai Vini freschezza e mineralità, rendendoli approcciabili sin dall’imbottigliamento, pur palesando grande longevità.
I vini che ho avuto modo di assaggiare sono i seguenti: Fonte delle Donne (50% Vermentino e 50% Colombana), Sofia Rosé  (100% sangiovese da vinificazione in bianco – non da salasso), Le Pianette (70 % Sangiovese e 30% Colorino), Casalini Chianti Sup. (80% Sangiovese 20% Ciliegiolo), L’Aspetto (50% Sangiovese, 50% Canaiolo), Ceppatella (100% Sangiovese da vigna vecchia) e due assaggi extra un passito da uve Colombana – prodotto per lo più per “gli amici” -, ma davvero equilibrato e profondo e il Morfeo, un metodo classico bilanciato e dinamico che potrebbe farmi ricredere riguardo l’attitudine del Sangiovese alla spumantizzazione tradizionale.
fibbiano wines
Comunque, i vini sui quali mi piacerebbe soffermarmi sono i seguenti:
L’Aspetto 2012: un blend toscano dal quale scaturisce un Vino che parla di Fibbiano ed esprime a pieno il connubio fra il terroir e la volontà dei fratelli Cantoni di produrre Vini che non se la tirino affatto, ma al contempo capaci di una complessità intrigante e dipanabile nel giro di pochi istanti. Una complessità dal naso varietale sfumato di una sensuale speziatura naturale, spinta verso l’animo di chi assaggia da una fresca dinamicità sorretta da una contemporanea mineralità salina.
Il biglietto da visita aziendale che si mostra per ciò che è e mostra ciò che Fibbiano è: rispetto in vigna, semplicità consapevole in cantina, duttilità in bottiglia e personalità spiccata nel bicchiere.
 
Ceppatella 2001-2012: di questo Sangiovese prodotto con le uve dei vari cloni presenti da oltre 100 anni nella vigna vecchia della fattoria, il vero cuore pulsante dell’azienda, ho avuto modo di conoscere ed approfondire sfumature e potenzialità attraverso l’assaggio di varie annate, in una verticale storica sensibilmente emozionante. Emozionante perché aver modo di percorrere un cammino che vedeva da una parte un vigneto destinato all’espianto, che solo grazie a questa famiglia ha avuto modo di mettere a disposizione della cantina la propria esperienza ultracentenaria e dall’altra dei produttori agli albori della propria storia enoica. Cosa ho evinto da questa degustazione? Semplice… la voglia di una vigna vecchia, ma affatto stanca, che aveva solo bisogno di cura ed attenzione, di parlare di sé e del territorio che la ospita da anni, ma soprattutto la sensazione che quelle viti stiano come ricambiando queste premure risorgendo a nuova vita.
Se il Vino si fa, per lo più, in vigna è anche vero, però, che è indispensabile da parte dei vignaioli avere una forte e chiara consapevolezza riguardo ogni aspetto produttivo e posso assicurarvi che sono bastati pochi istanti per capire quanto Nicola sia oculato in ogni fase dalla vigna alla bottiglia.
Un Sangiovese puro, che attinge a delle note varietali autentiche, mai scontate, in cui la spezia e la linfa sembrano voler porre dei lievi accenti sulla maturità delle piante da un lato e sulla voglia di vivere e dare ancora ed ancora dall’altro. Tannini di connaturata esperienza, che non conoscono il concetto di eccesso, in quanto ormai saggi e pazienti.
Grandi assaggi, per un Vino che berrei volentieri a pochi mesi dall’imbottigliamento, ma in egual modo dimenticherei in cantina nel vero senso della parola, perché se me lo ricordassi difficilmente arriverebbe ad elevarsi per più di una manciata di anni.
 
La linea dei vini si completa di due referenze dalla beva slanciata e inerziale come il Fonte delle Donne, bianco territoriale prodotto con un 50 e 50 di Vermentino e Colombana, e il Sofia Rosato di Sangiovese tutto spinta e sapidità.
 
Una nota di merito ad entrambi i fratelli Cantoni ed a tutta la loro famiglia, mi sento di darla per il modo in cui stiano dando davvero anima e corpo in ogni sfaccettatura dell’azienda, dal lavoro nei campi all’accoglienza degli ospiti, passando per le dinamiche di cantina e la comunicazione di un intero territorio in Italia e, soprattutto, nel mondo.
Matteo è davvero un esempio di positività e propositività, doti manifestate in particolare nella voglia di creare continue e costruttive sinergie, senza egocentrismo e con la consapevolezza che l’unione non abbia mai fatto la forza come in questo momento!
Di Nicola posso solo dirvi che siamo stati molto di più in vigna che in cantina e questo la dice lunga sul perché io mi sia subito sentito in sintonia con i vini di Fibbiano e in empatia con questa famiglia del Vino.
Senza ombra di dubbio una realtà da scoprire e da continuare a seguire sia per la qualità dei propri vini che per la piacevolezza delle persone che vi accoglieranno in questo angolo di Toscana tutto da scoprire, come da scoprire sono tutti i vini della nuova Doc Terre di Pisa della quale Fibbiano fa parte.

 

F.S.R.
#WineIsSharing

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