Crisi d’identità di un wine blogger che crede di non essere un wine influencer

In un’era in cui
etichette, tag e hashtag sintetizzano, raggruppano, definiscono e –
a volte – imbrigliano determinati insiemi di cose o persone anche
il modo del vino non è immune a questa categorizzazione.
Tranquilli, non sto per
parlarvi dell’annosa diatriba fra “vino convenzionale” e “vino
naturale”, ma di un argomento che mi vede coinvolto in prima
persona e che da qualche tempo ha dato adito a molte critiche.

Se di solito vi consiglio di versarvi un buon calice di vino prima di apprestarvi alla lettura, stavolta avrete tutto il tempo per godervene qualcuno in più e mi scuso previamente per la lungaggine, ma ho scritto a ruota libera e tagliare o sintetizzare sarebbe stato difficile.
wine influencers
E’ da un po’ che sento il
bisogno di di condividere il mio punto di vista riguardo
un'”etichetta”, ma per una volta non parlo dell’etichetta di un vino,
bensì di un termine con il
quale sin troppo spesso vengo definito:
influencer o wine influencer
per essere precisi.


Alla luce di alcune
giuste e meno giuste, opportune e meno opportune, critiche – sulle
quali, nel pieno rispetto del diritto di pensiero e di espressione,
eviterò di soffermarmi – e di alcune più o meno recenti
“classifiche” (
Best Social Wine InfluencersBest Instagram Wine Accounts – Best Wine Influencers) legate proprio a quelli che
vengono definiti, per convenzione, 
wine influencers mi sembrava doveroso buttar giù
“due righe” (forse qualcuna in più! Sono irreparabilmente prolisso… lo sapete!) riguardo la mia posizione nei confronti di
questa categoria e del termine utilizzato per descriverla. Un termine che mi è stato affibbiato e che sin troppe volte non mi ha fatto sentire a mio agio, ma che solo un ipocrita denigrerebbe senza ammettere la grande visibilità scaturita dall’inserimento in quei contesti. 
Proprio ieri ho ricevuto un link in cui si parla di una classifica dei “migliori” wine influencers al mondo che tiene conto solo del numero di followers legati al profilo instagram di ogni singolo “wine influencer”. Cosa che, per quanto possa far piacere, non potrei mai consigliare come un riferimento assoluto non essendo il numero di follower su instagram un parametro di valutazione valido e affidabile.

Comunque, partiamo da una delle
infinite definizioni reperibili online (già solo questo marasma
descrittivo fa capire quanto siano lacunose e soggettive
l’interpretazione e la percezione di questa “figura”):
Gli influencers
sono considerati tra i più autorevoli esperti nel loro settore di
competenza. In un mondo sempre più interconnesso e legato ai social
network, gli influencers hanno acquisito una considerevole
importanza, andando a rivestire il ruolo una volta interpretato dagli
opinionisti della carta stampata e dei programmi televisivi (gli
Opinion Leader).”

Descrizioni come questa, possono valere per molti, ma al contempo fungono da base per diatribe intorno al termine “influencer” e alla
categoria di comunicatori che ne deriva. A questa descrizione chiara,
ma fuorviante, se ne aggiunge un’altra che – sin troppo spesso –
viene utilizzata senza una reale attinenza con la reale attività
della persona in questione (definita influencer), ma che potrebbe
aiutare a creare un distinguo fondamentale: l’influencer marketing.
L’Influencer
marketing è una forma di marketing in cui l’attenzione è rivolta a
persone influenti piuttosto che al mercato di riferimento nel suo
insieme. Identifica le persone che hanno influenza sui potenziali
acquirenti e orienta le attività di marketing attorno a questi
influencer.
Il contenuto degli
influencers può essere inquadrato come “testimonial
pubblicitario”, dove essi svolgono il ruolo di un potenziali
acquirenti o possono essere terze parti. Queste terze parti esistono
nella catena di fornitura (dettaglianti, produttori, ecc.) O possono
essere i cosiddetti influencers a valore aggiunto (come giornalisti,
bloggers, accademici, analisti del settore, consulenti professionali
e così via).
– Fonte Wikipedia
Prima di parlarvi del mio
punto di vista riguardo la figura dell’influencer e circa l’utilizzo
di questo termine per definire il mio operato nel mondo del vino, ci
terrei a farvi riflettere su qualcosa di tanto semplice e scontato
quanto – forse – poco dibattuto: non siamo, forse, tutti
influencers nell’epoca dei social media?
Sono certo che coglierete
la mia leggera provocazione, ma per evitare fraintendimenti vi
spiegherò meglio cosa intendo!
La maggior parte delle
persone smartphone-dotate ormai, fa un utilizzo personale dei social,
condividendo impressioni e foto relative ai propri viaggi, alle
proprie idee riguardo determinati argomenti, e nello specifico nel
mondo del vino ai propri assaggi, le proprie visite in cantina o alla
propria partecipazione a un evento enoico. Ognuno di voi lo fa a modo
proprio, attraverso post appassionati e descrizioni minuziose o
magari solo postando splendide foto o video in grado di suscitare
emozioni. Nel momento in cui dieci, cento o mille persone vedono
quello che avete condiviso (e non bisogna essere poi così bravi per
arrivare a centinaia di persone tramite il proprio semplice profilo
facebook o instagram) avete automaticamente una potenziale influenza
sulla loro opinione in modo positivo o negativo in base all’entità
della pubblicazione e alla percezione del singolo.
Per me è nato tutto
esattamente in questo modo e ancora oggi non è cambiato molto, se
non il fatto che sono aumentate le persone alle quali posso riferirmi
e questo senza fare poi molto affinché avvenisse.
Quindi, parlando di vino
nello specifico, credo sia importante fare un distinguo fra chi vuole
influenzare l’opinione di chi legge e/o guarda circa un
prodotto/vino, un brand/cantina o un territorio/denominazione a fini
promozionali (il marketing non è di certo un reato o un’attività
poco raccomandabile, ma sarebbe opportuno evidenziarne le dinamiche)
e chi, invece, condivide le proprie esperienze in modo più organico
e seguendo la propria passione e il proprio gusto indipendentemente
dai rapporti commerciali o professionali con determinate aziende,
consorzi ecc…

Questo non significa che
l’influencer che fa marketing sia necessariamente una persona deprecabile o che stia
commettendo un reato contro l’umanità e il vino o che l’influencer
“organico” sia l’integerrimo salvatore dell’enopatria, ma sarebbe
opportuno distinguere le due categorie o evidenziare l’entità di
ogni singola attività di chi viene definito influencer o di chi si
auto-definisce tale. Questo, però, sta al comunicatore e non a chi
fruisce della sua attività, per quanto con un po’ di attenzione
chiunque può comprendere che tipo di comunicazione e che tipo di
profilo si ha di fronte.

Per quanto mi riguarda,
l’etichetta di “influencer” è stata stampata e appiccicata sul
mio operato da alcuni siti principalmente stranieri come
socialvignerons.com che negli ultimi anni mi ha citato fra i più
importanti social wine influencers al mondo
evidenziando un ulteriore
spunto di riflessione, ovvero la differenza di percezione che c’è
all’estero riguardo questa figura e riguardo l’attività di chi
comunica in ambito vino e in molti altri ambiti di interesse (cibo,
viaggi, moda ecc…). Questo perché in Italia si tende a
generalizzare e a vedere le terminologie acquisite o prese in
prestito dai paesi anglosassoni come qualcosa di prettamente
denigratorio o di futile a prescindere. Ho letto più di una critica
sui social riguardo l’utilizzo di termini come “winelovers”,
“storyteller”, “wine blogger”
per il semplice fatto che se
ne preferisca una versione più nostrana o ancor peggio perché se ne
percepisce un significato fuorviante.

In realtà se si
vanno a tradurre questi termini non c’è poi nulla di così strano
nel definire qualcuno “amante del vino”, “narratore di storie” (a patto che le storie siano veritiere),
“blogger del vino”
(ricordando che “blog” sta per diario
online). C’è da dire, però, che il termine “influencer”,
invece, vede nella sua traduzione letterale qualcosa di più critico
e di più soggetto ad interpretazione e, quindi, a manipolazione:
“colui che influenza.”
E’ anche vero che quelle classifiche sono spesso lacunose e lasciano il tempo che trovano includendo categorie molto differenti fra loro.
Comunque, ora star qui a disquisire
su cosa significhi influenzare qualcuno e su quanto questo possa
essere legato al marketing o alla mera comunicazione porterebbe ad
una digressione troppo ampia e tediosa che vi risparmio dato che vi
starò già annoiando abbastanza, ma di certo c’è una profonda
differenza fra chi vuole influenzare seguendo una serie di parametri
e di strategie votate ad avere una forte incidenza sull’opinione
altrui e chi condivide la propria idea, il proprio vissuto, le
proprie impressioni, mettendo inoltre a disposizione di chi
legge/guarda le proprie competenze tramite i nuovi media. Molti degli
influencer nel mondo del vino fanno entrambe le cose e questo è
importante, in quanto chi segue queste persone è disposto ad
accettare un’azione di marketing più o meno evidente in cambio di un
consiglio, una nozione o uno strano e un po’ orwelliano/voyeuristico
scorcio della vita della persona che ha deciso di “seguire” sui
social.
L’ulteriore distinguo risiede nel capire come improntare queste azioni di promozione e
ancor più a monte nel decidere se questa attività debba o possa essere il
proprio lavoro – quindi remunerata e remunerativa – o frutto di un
percorso più legato alla crescita personale e all’acquisizione
graduale di esperienza, rispetto e reputazione virtuale e reale in un determinato settore in funzione di una futura occupazione in tale settore o semplicemente per potersi guadagnare la stima e la fiducia atte all’acquisizione di alcuni “privilegi” che da semplice appassionato non si hanno (assaggiare vini da botte, riuscire a visitare cantine non aperte a tutti ecc…).

La mia scelta, sin
dall’inizio, è stata quella di non promuovere direttamente le
cantine e di continuare ad avere un’altra attività a sostegno della
mia passione per il vino, relegando la pochissima attività di
promozione (banner laterali, posizionamento di backlinks all’interno
di contenuti testuali o condivisione di immagini sui social) alle
aziende correlate al settore del vino a patto che non siano
produttori di vino, in modo da non avere alcun rapporto commerciale
con le cantine e da poter mantenere l’imparzialità “professionale” (su
quella umana ho già espresso il mio parere qui) nei confronti delle
stesse al momento della pubblicazione di un mio articolo/post. Io amo andar per vigne, amo assaggiare nuovi vini e amo conoscere le realtà sociali e vitivinicole più disparate e potrei farne un lavoro, che male ci sarebbe? Semplicemente ho scelto di approcciare e di godermi tutto questo in modo diverso, perché così mi sento più libero. Poi si vedrà…


Non per questo mi sento
di biasimare o criticare comunicatori, critici, giornalisti o blogger
che hanno fatto di tutto questo la propria principale attività, ma non posso negare di non capire chi lo fa senza cercare di elevare la propria conoscenza e di strutturare la propria competenza giorno per giorno. Nel mondo del vino, come in altri settori, c’è
spazio per tutti se si opera nel rispetto e con quel “minimo” di
deontologia che sempre occorre nel portare avanti un percorso
professionale e umano, ma è importante alimentare l’intero sistema comunicativo con contenuti utili e interessanti. Cosa che tramite i soli social risulta sicuramente più complessa che tramite un blog o una magazine online. Per questo vedo i social più che altro come un tramite per arrivare a questo blog.

Tornando al termine “influencer”, per me che cerco di
comunicare e condividere le mie esperienze nel mondo del vino in
maniera molto schietta e diretta non vi nego che questa definizione diventa sempre meno calzante.
Scrivendo delle proprie
impressioni riguardo una visita in cantina, raccontando la storia di
un vignaiolo o di una vignaiola, descrivendo le sensazioni
espressamente soggettive – seppur frutto di un’attenta degustazione
tecnica – provate assaggiando un determinato vino o semplicemente
pubblicando una foto scattata in vigna o un video in cui è lo stesso
produttore a raccontarsi, io vorrei sensibilizzare chi mi “segue”
nei confronti del vino come passione, come contenitore di meraviglia
e bellezza, come veicolo di cultura e convivialità, ma anche per
continuare a confrontarmi circa i miei studi agronomici e la mia
continua crescita personale in termini di conoscenza enoica (che
ancor dopo 10 anni, reputo solo agli albori).

Probabilmente, anch’io,
con le mie condivisioni sui social o con i miei scritti su questo
blog ho influenzato qualcuno, ma se l’ho fatto è stato perché quel
qualcuno ha deciso più o meno consciamente di ripercorrere ciò che
ho avuto modo di vivere o anche solo di assaggiare un vino riguardo
al quale ho condiviso una personale opinione positiva. Non è forse
quello che facciamo ogni volta che raccontiamo di un viaggio ad un
amico o scriviamo una nostra impressione riguardo un ristorante, una
località di vacanza, un personaggio noto o un qualsiasi altro
argomento sui social?
Se tanto mi da tanto i veri “influencers” nel
mondo del vino ormai dovrebbero essere quelli che pubblicano recensioni su Vivino,
un po’ come per la ristorazione o per la ricettività chi pubblica
una recensione su Tripadvisor o Booking incide fortemente sulla
scelta altrui (riguardo a questo si potrebbe aprire un’ulteriore
discorso riguardo l’autorità che qualcuno si arroga in un’Italia in
cui chiunque si sente autorizzato a criticare senza conoscere), nonostante non sia necessariamente un “esperto” in materia.
O forse sono gli autori delle guide del vino o di classifiche di gradimento enoiche a influenzare in modo più palese opinione pubblica e mercato e quindi a essere i veri wine influencers? Alcuni Monopoli seguono ancora i punteggi per definire quali vini acquistare e quali no e sono sicuramente tantissime le persone che hanno bisogno di una guida per definire il proprio gusto. Inutile dire di no! Per quanto il mio approccio sia completamente antitetico a quello delle guide sono conscio che se esistono ancora non è solo perché i produttori continuano a inviare loro i propri vini, ma anche per altre dinamiche forse un po’ in crisi, ma ancora vigenti nei consumatori. Vedremo col tempo cosa accadrà…
E’
tutto così soggettivo che, anche in questo caso, ognuno è libero di
decidere a chi affidarsi e di chi fidarsi, ma mi piace pensare che il
libero arbitrio trionfi sempre sul condizionamento e che la
personalità di chi legge o vede qualcosa riguardante una cantina o
un vino sul web sia in grado di discernere e di farsi una propria
idea a riguardo. Provate a chiedere a voi stessi chi e cosa abbia il potere di condizionare i vostri gusti e magari i vostri acquisti.

Io ho sempre
visto le mie condivisioni come un potenziale spunto di riflessione o
un abbrivio per gli appassionati che non potendo viaggiare e
assaggiare quanto me cercano realtà che possano rientrare nei canoni
del loro gusto e della loro concezione enoica. Non mi è mai piaciuto
definirmi o essere definito un “guru” o un “esperto”, ma dopo
oltre 10 anni in cui ho avuto l’onore e il piacere di incontrare
centinaia di produttori, sommelier, media enoici, in cui ho camminato
attraverso i vigneti di gran parte dei più importanti areali
vitivinicoli italiani e europei per comprendere al meglio le
dinamiche agronomiche e enologiche, oltre che antropologiche e
storico-culturali legate a questo meraviglioso mondo e dopo aver
avuto il privilegio di assaggiare innumerevoli vini, mi fa sempre più
piacere mettere ciò che apprendo a disposizione di chi sceglie
liberamente di attingere a questo blog o ai miei profili social.
Ora riflettete sulla differenza che c’è fra un punteggio che vi da subito l’idea di quale sia l’obiettivo di quel tipo di comunicazione e un post o un articolo descrittivo che mira solo a darvi nozioni e strumenti per decidere se quel determinato vino o quella determinata cantina possa o meno essere di vostro interesse. Il punteggio è sicuramente ha un’incidenza più diretta e per quanto io non ne condivida l’essenza, comprendo quanto alcuni “wine critics” siano diventati influenti. Semplicemente perché danno ad un’importante fetta di “pubblico” ciò che quel tipo di pubblico vuole; perché c’è ancora e ci sarà sempre una lunga schiera di appassionati e di operatori del settore che vuole avere una dritta diretta e concreta sui vini da acquistare. Non lo condivido e mai utilizzerò questa forma di valutazione, ma non lo trovo poi così strano in un’epoca in cui viviamo tutti un’eterna corsa contro il tempo… anzi, trovo ben più strano che i miei articoli super-prolissi continuino ad avere così tanti lettori. 

Ogni comunicatore del
vino ha un suo stile, una sua forma mentis e credo che questo non sia
un limite, bensì un grande vantaggio per chi legge, in quanto ce n’è
davvero per tutti: dal più tecnico al più emozionale, dal più
critico al meno critico, da chi pubblica notizie a chi dice la sua a
riguardo, da chi da punteggi a chi condivide esperienze enoiche e in
mezzo ci sono quelli che magari mettono in ciò che fanno una
commistione più o meno bilanciata di tutti questi approcci. La comunicazione è ormai crossmediale e ramificata a tal punto che non è il comunicatore a decidere a chi arrivare, ma è il fruitore della comunicazione ad optare per una piuttosto che per l’altra interpretazione. Ci saranno sempre approcci differenti e contenuti con una caratura tecnica e informativa più o meno importante, ma è fondamentale. Se esistono e coesistono giornalisti, bloggers e guide è perché questo sistema è alimentato da varie branche di chi il vino lo fa e di chi il vino lo compra e lo beve. Per comunicare la bellezza di un vigneto e stimolare l’interesse di uno enoturista piuttosto che di un appassionato di vino o persino di un importatore può servire un testo descrittivo, ma oggi come oggi a volte basta un bellissimo scatto e per quanto possa essere riduttivo la realtà è questa. Ovviamente tutto deve essere corredato di qualcosa di più di un contenuto superficiale e fine a se stesso. Ogni post sui social può e dovrebbe fungere da starter per una fermentazione spontanea in chi legge e in chi osserva, suscitando in quella persona curiosità e voglia di approfondire. Oggi, ogni forma comunicativa può occorrere e concorrere alla sensibilizzazione di un pubblico sempre maggiore e sempre più esigente nei confronti del mondo del vino, dalla vigna alla bottiglia. Si dovrebbe pensare a coordinarsi e a lavorare insieme, ad imparare dai saggi ad utilizzare determinati strumenti dialettici e dai più giovani a sfruttare al meglio i social per ampliare il proprio spettro. Io credo che si possa coesistere e persino avere un’unità d’intenti e me lo dimostra il fatto che molti amici giornalisti e blogger ci tengano a confrontarsi con me riguardo i social.

Quindi perché indignarsi contro l’una o l’altra categoria?!? 

Con questo non voglio dire che ogni genere di comunicazione debba essere ammesso e che si debbano tollerare errori o approcci poco rispettosi, ma sono certo che siano i lettori stessi a rendersi conto di chi valga la pena seguire e chi no e se dovessi ricadere nei primi me ne farei una ragione, perché sarebbe a causa di miei errori e di una forma comunicativa incapace di arrivare dove e come dovrebbe, dove e come vorrei.
Essere influenti per qualcuno in un determinato contesto non deve equivalere a sfruttare la cosa negativamente o solo per fini economici. L’influenza dovrebbe andare di pari passo con la ricerca e la produzione di contenuti originali e utili. 

Il bello di tutto questo
è che si può anche partire con l’idea di voler diventare influenti
in un determinato settore, ma poi sono gli altri a determinare il
valore di un comunicatore e non sono solo il numero di followers o le
visite al proprio blog
che quantificano i meriti di chi comunica, ma
è il connubio di qualità dei contenuti, fruibilità degli stessi
per un target più o meno ampio e più o meno mirato e etica che
possono fare la differenza. Per questo continuo a prendere come
costruttive tutte le critiche, specie quelle mirate a far crescere la
qualità dei miei contenuti (piano piano sto cercando di correggere
decine e decine di refusi  e di veri e propri errori fatti negli anni in articoli scritti con
impeto e sin troppa fretta), ma capisco meno quelle basate su una
conoscenza superficiale di ciò che sono e che faccio nel mondo del
vino semplicemente perché sono certo che conoscendo meglio il mio approccio e il mio background molte
di esse sarebbero quanto meno ricalibrate. Ovviamente non si può
piacere a tutti e non si può neanche sputare nel “calice in cui si beve” rinnegando gli aspetti positivi di esser
stato citato in determinati contesti e classifiche in cui, per
convenzione, tutti i comunicatori del vino (giornalisti, critici,
bloggers, scrittori e guide) vengono definiti wine influencers, ma si può cercare di far valere le proprie qualità e le proprie competenze non solo con i numeri, bensì con le argomentazioni frutto del proprio percorso di ricerca e di studio. Sono certo che sarete voi e il tempo a determinare la valenza di ciò che ciascun comunicatore fa e farà nel mondo del vino.

Ti criticheranno
sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno
al quale tu possa piacere cosi come sei! Quindi vivi, fai quello che
ti dice il cuore, la vita è come un opera di teatro, che non ha
prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno
della tua vita prima che l’opera finisca senza applausi…” Cit.
Charlie Chaplin

Io vado avanti, cercando di non accettare compromessi come lo scambio like e  l’aumento dei followers tramite gli Instagram Pods (gruppi di instagramers che concorrono ad aumentare la visibilità e i “numeri” di un profilo con un’ovvia poca organicità) perché sono certo che a contare di più sia la qualità dei “followers” e non la quantità e se il mio account è così seguito è solo perché sono partito anni prima dei nuovi “wine instagramers”, pubblicando centinaia di foto di assaggi e viaggi giusto per avere una sorta di album fotografico virtuale da riguardare ogni tanto e vi basterà dare un’occhiata a chi mi segue per comprendere che sono tutti profili reali di appassionati di vino, seppur provenienti da ogni parte del mondo. Essere sempre molto seguito e rientrare in classifiche importanti non può che rendermi felice, ma per me non è mai stata una sfida a chi “ce l’ha più seguito” e più vado avanti più mi rendo conto che non sono quei riconoscimenti a darmi la forza di andare avanti. Sono le decine di email di appassionati che ricevo ogni settimana o gli attestati di stima di chi assaggia o viaggia con me, o anche solo una stretta di mano intrisa di fiducia di un lettore rubata ad un evento enoico. Io sto coltivando la mia passione e la mia cultura, il mio sapere e la mia consapevolezza perché amo il vino e amo comunicarlo, ma c’entro ben poco con chi vive alla ricerca del consenso espresso tramite like o followers.
Essere un wine blogger o fare il wine blogger? Essere un wine influencer o fare il wine influencer? La crisi d’identità è impellente e a spingermi verso questa lunga e, probabilmente, caotica riflessione è stata la mia visita a Mamoiada in Sardegna, meraviglioso luogo del vino in cui centenari ceppi di cannonau allevati ad alberello sembrano danzare. Perché a Mamoiada? Perché oltre ad essere lì per il Cannonau, ho avuto modo di conoscere la storia dei Mamuthones e degli Issohadores, maschere che vedono nell’annullamento dell’identità dell’uomo in favore della “possessione” del corpo da parte dell’anima del personaggio la loro peculiarità. Io mi sento spesso come uno degli uomini che, una volta finite le celebrazioni di Sant’Antonio, svestono i panni del loro personaggio per tornare alla loro reale identità, vivendo per ben più di un attimo una sensazione di smarrimento e di confusione. 
fonte vistanet
Quindi potrei chiedervi di non chiamarmi Wine Influencer, potrei persino farmi rimuovere da quelle classifiche – perché diciamocela tutta, non è di certo in base al numero di followers su instagram che si possono determinare il valore e la competenza di un comunicatore del vino –, potrei mettermi a criticare chi non ha il mio stesso approccio perché non lo condivido, ma non è questo che voglio e non è questo che serve a me e tanto meno alla comunicazione del vino odierna. Si sta dando molta importanza – forse troppa – ad instagram, social che io uso e che apprezzo molto per la sua fruibilità e la rapidità con la quale si può veicolare un contenuto più o meno interessante, ma che non può rappresentare l’unica forma di comunicazione di un wine blogger o di un wine influencer.

Io, l’ho sempre visto come uno strumento nel quale condividere istantanee dei miei viaggi e della mia vita dentro e intorno al vino nella speranza di incuriosire a tal punto da arrivare fino a questo contenitore ben più completo e approfondito (anche perché qui non ho limiti in quanto a battute e immagini da pubblicare).

Per questo mi dispiace un po’, essere accomunato a chi ha un approccio profondamente differente dal mio e obiettivi ancor più diversi.
Vi basti pensare che nell’ultima classifica dei 10 wine influencers più popolari al mondo su instagram – tra i quali figuro anch’io – ci sono delle wine community (quindi gruppi che nascono per convogliare contenuti di diverse entità dal semplice winelover all’azienda produttrice), un importantissimo wine magazine, dei wine blogger più o meno dediti al marketing, un instagramer e un produttore. Il mondo è bello perché è vario, ma così si rischia di fuorviare e di creare una confusione là dove di confusione ce n’è già abbastanza!
world wine influencers instagram
A mio modesto parere servono solo più equilibrio, chiarezza e rispetto per le opinioni di tutti, come servono le critiche (alcune mi hanno fatto male lì per lì, ma col tempo mi hanno aiutato a crescere e a rinnovare la mia curiosità e la mia voglia di mettermi in gioco e di fare meglio, di conoscere di più!) e le prese di posizione ben definite, ma non servono a molto le diatribe sterili o gli scontri triti e ritriti.
Il vino è oggetto di grande passione e interesse perché è vivo, soggettivo da un lato e profondamente radicato nella cultura e nella storia, è frutto di lavoro e dedizione  e di ragione e competenza tecnica e si può decidere se vedere ognuno di questi ideali contrasti fra irrazionale e razionale come motivo di scontro o come opportunità di confronto tra opinioni, punti di vista e approcci differenti.
Per concludere… se
essere influencer significa cercare di influenzare l’opinione altrui
attraverso mere strategie comunicative o di marketing secondo
rapporti economico-commerciali con i produttori non mi sento addosso
questa definizione, ma se essere influencer significa condividere ciò
che si fa, si vive e si apprende in modo diretto, quindi senza
richiesta da parte delle cantine, cercando di arrivare in modo
organico ad un numero sempre maggiore di persone interessate al vino,
chiamatemi pure wine influencer. Se poi volete farmi felice, chiamatemi semplicemente Saverio o come mi chiama un mio caro amico “instancabile frequentatore di vigne e assaggiatore seriale”. Scherzi a parte, io continuo a sentirmi calzare a pennello la definizione di appassionato di vino che condivide la propria esperienza e i propri step nell’infinita scala del sapere enoico, senza voler insegnare nulla, ma continuando a sperare di dare a voi contenuti che siano degni di essere letti. Poi vedete voi come chiamarmi!
Detto questo, il
vino è ormai parte integrante della mia vita e da anni cerco di
capire cosa vorrò fare da “grande” e quando lo capirò sarete i
primi a saperlo! Per ora, continuo a  studiare e apprendere, con grande curiosità e umiltà, ma anche con la consapevolezza di imparare qualcosa in più giorno per giorno, incontro dopo incontro, assaggio dopo assaggio e di poter dire la mia. Non negando mai la fortuna che ho nell’avere la possibilità di continuare a conoscere produttori, territori
e vini di tutta Italia con la consapevolezza di avere dei privilegi
legati al seguito che grazie a tutti voi ho ottenuto negli ultimi
anni che non tutti hanno. Per questo ringrazio voi che continuate a
seguirmi e a darmi la forza di andare avanti nonostante tutto e tutti
e ringrazio i produttori che continuano costantemente ad invitarmi a
camminare nei propri vigneti, a visitare le proprie cantine e ad
assaggiare i propri vini per avere un confronto e/o un mio sincero
parere che il più delle volte non viene neanche pubblicato in questo
wine blog.

Purtroppo è inutile pensare di potersi togliere di dosso etichette e definizioni come è sciocco pensare di poterne fare a meno in un momento storico e sociale in cui purtroppo si tende ad etichettare ogni genere, ogni categoria cercando la semplificazione e la sintesi in modo spesso superficiale, rischiando di ledere pochi in favore di molti.
Sarebbe bello essere valutati solo per i propri contenuti, per la propria personalità e per i meriti guadagnati nel proprio campo e grazie ad essi vedersi riconoscere una definizione diversa per ognuno di noi, ma così facendo crollerebbe l’intero sistema in cui la targetizzazione è fondamentale.

Il mio invito, però, resta quello di prendere sempre con le molle le mie parole e di sfruttarle solo come stimolo a curiosare nel mondo del vino, a viaggiare verso i luoghi dove i vini nascono, per poi assaggiarli con obiettività analitica se si vuole approcciare una degustazione in maniera tecnica, ma senza mai dimenticare la sinestesia e la capacità che ogni vino ha di darci qualcosa in più del semplice gusto e delle semplici peculiarità organolettiche.

Io non sono di certo un faro, ma piuttosto un marinaio come voi che naviga in un mare di vino, verso una terra ferma piena di vigna, in cui di fari ce ne sono tanti quanti i propri guardiani, ovvero coloro che il vino lo fanno.

Mi scuso ancora per essere stato estremamente verboso e a tratti, sicuramente, tedioso, ma la lunghezza di questo mio scritto vuole far notare – anche – la differenza fra i social e i blog, dato che nei primi non ci si può dilungare a oltranza – a volte è un bene! – mentre qui non si hanno limiti di spazio.

F.S.R.
#WineIsSharing

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