Il mito del Castello di Monsanto e la realtà del Chianti Classico Riserva 2014

Sapete cos’è un mito? Il “mito” è prodotto dall’innata tendenza dell’uomo a raccontare e propone in ogni cultura una serie multiforme di figure simboliche e di modelli di comportamento.
Il mito nasce per affascinare, ma al tempo stesso per insegnare e le storie del mito devono essere avventurose e piene di colpi di scena, ma anche semplici e chiare, così come lo sono i personaggi che simboleggiano i caratteri fondamentali dell’uomo. Spesso queste storie sono costruite su opposizioni: bello e brutto, buono e cattivo, maschile e femminile. L’uomo e la natura ne sono i protagonisti: dalla nascita del mondo ai viaggi degli eroi, il mito cerca di rispondere alle domande fondamentali degli uomini e al loro desiderio di conoscere.

Questo è, più o meno, quello che troverete cercando il termine “mito” all’interno dell’Enciclopedia Treccani e molti di voi, leggendo queste parole, correranno con il pensiero verso i miti Greci e Romani, ricorderanno gli studi di epica o magari penseranno a qualche personaggio famoso dello sport o dello spettacolo considerato un “idolo” per le sue più “popolari” gesta. Ma questo è un Wine Blog, quindi il “mito” di cui vi parlerò oggi fa della vigna il proprio contesto d’azione e dell’annuale percorso verso la vendemmia la propria sfida, più o meno eroica in base a ciò che Madre Natura deciderà.



cantina monsanto
Il mito è quello del
Castello di Monsanto
, ma è anche e soprattutto quello di Fabrizio
Bianchi e di sua figlia Laura. I miti, si sa, sono intrisi di
leggende, ma nel vino la leggenda oltre ad essere tramandata
oralmente o per iscritto ha il vantaggio di poter essere stappata e
assaporata anche a distanza di lustri. E’ proprio dal tempo e dalla
lungimiranza che partirò nel giustificare la mia definizione di mito
riferita a questa cantina, in quanto è in questo luogo che si ha uno
degli storici più importanti d’Italia e al mondo in termini di
bottiglie conservate per ogni annata di produzione, con oltre 120mila
“diari liquidi” capaci di raccontare in maniera più che
esaustiva la nascita e la storia di un mito.
castello di monsanto
I miti diventano tali
perché hanno il coraggio di andare controcorrente e di mettersi in
gioco con quel giusto blend di sfrontatezza e consapevolezza, proprio
come quello che ha spinto Fabrizio Bianchi ad abbandonare sin dal
1968 il protocollo chiantigiano che prevedeva raspi, uve bianchi e la
pratica del Governo all’uso toscano per la vinificazione. La missione
era chiara: fare vini di grande identità nel rispetto dell’annata e
del territorio, senza temere di rischiare e di sperimentare, ma
sempre con grande consapevolezza.
vecchie annate monsanto
Ancor prima, nel 1962,
Fabrizio aveva già dato prova della sua leggendaria lungimiranza,
mutuando dai francesi l’idea di cru – per la prima volta nella
denominazione – originando quello che oggi può essere considerato,
senza tema di smentita, il vino più rappresentativo dell’azienda e
uno dei vini più apprezzati di tutto il Chianti Classico.
Poi arrivò il Sangioveto
(Grosso), l’espressione di un vigneto, un altro cru, votato alla
valorizzazione del Sangiovese nella sua più integra purezza, in
quella Barberino Val d’Elsa che in pochi credevano potesse dare
risultati così luminosi.
cru monsanto
Come già detto poc’anzi,
i miti osano, non temono e godono di visioni prospettiche che più si
spingono avanti più sembrano coincidere con una premonizione,
proprio come quella che portò Fabrizio a produrre il Nemo, uno dei
primissimi Supertuscans, nel 1981.
Un mito che può
identificarsi tanto nelle persone quanto nella splendida tenuta nella
quale scorre un arteria che pompa sangue nelle vene degli
appassionati e arriva dritta al cuore dell’azienda: la cantina
ipogea.
barricaia monsanto
Un tunnel temporale che
vede entrare di diritto nella leggenda tre braccianti, tre uomini
della terra che proprio quella terra decisero di scavare per quasi
300m, per 6 lunghi anni.
I nomi degli eroi che
donarono a Fabrizio e Laura e a chi verrà dopo di loro, ma
soprattutto a noi appassionati amanti del vino questa maestosa opera
intrisa di fatica e di forza di volontà sono Mario Secci, Giotto
Gigionesi e Romolo Bartalesi e a loro la famiglia Bianchi non
dimentica mai di rendere grazie.
monsanto barrique
Ora potrei raccontarvi
delle mie camminate in vigna, della vista che si ha dalla terrazza in
pietra in cima al “poggio” o dell’emozione che si prova
nell’attraversare la lunga galleria di botti che accompagna alle
antiche cantine del Castello di Monsanto, ma non lo farò, perché, a
me, i miti che affascinano di più non sono quelli legati alla mera
bellezza, all’indiscusso potere o alla condizione di innata
superiorità, bensì sono quelli in cui l’umanità si rende capace di
affrontare la difficoltà con saggezza, ma non senza timore; quelli
in cui non tutto va come dovrebbe andare, ma alla fine l’esperienza e
il lavoro danno origine a qualcosa di inaspettato anche per chi è
abituato ad aspettarsi il massimo.
verticale poggio monsanto
Sì, perché tra tutti i
vini prodotti dal Castello di Monsanto che ho avuto modo di
assaggiare recentemente, – dalla leggendaria annata botritizzata 1972
de Il Poggio alla più recente maestosa 2012 del Sangioveto,
passando per una serie di annate storiche che non vorrei svilire in
un mero elenco, ma che hanno lasciato il segno nella memoria e
dell’animo – oggi, ho scelto di parlarvi di un potenziale “brutto
anatroccolo”, che si è fatto cigno in un istante, forse perché
non poteva essere altrimenti, nonostante i fuorvianti preconcetti.
il poggio 1972 monsanto
Parlo del Chianti
Classico Riserva 2014 del Castello di Monsanto
che, a mio modesto parere,
racchiude in sé molti degli aspetti che hanno contribuito a creare
il mito di questa Cantina.
Parto col dirvi che quest’etichetta è
quella notoriamente più prodotta dall’azienda, ma che nella 2014 ha
incontrato sicuramente delle difficoltà dovute all’andamento
climatico non proprio benevolo di cui tutti abbiamo parlato, ma di
cui qualcuno – forse – ha straparlato per di più prematuramente
attribuendole l’epiteto di anno horribilis.
La 2014 è una di quelle
annate che da un lato insegnano e dall’altro mettono in luce quello
che in gergo motociclistico verrebbe definito “il manico” dei
produttori, la loro esperienza, ma soprattutto la loro capacità di
interpretare l’annata, prendendo le più opportune decisioni al fine
di portare in cantina uve sane atte alla produzione del miglior vino
possibile per quelle specifiche condizioni.
Inutile dire che a
Monsanto l’esperienza non manca, eppure, quando ho avuto modo di
assaggiare il Chianti Classico Riserva 2014 e di elogiarne le
fattezze riferendomi direttamente a Laura nei suoi occhi ho notato un
malcelato stupore, come a ribadire quanto sia stata sorprendente
anche per la stessa famiglia Bianchi questo risultato.
Un vino di grande finezza
al naso, privo di sporcature di sorta, con un sorso teso, dritto come
i quasi 300m della cantina di affinamento, di rara dinamica nel farsi
strada tra la fitta trama tannica. Un sorso profondo, lungo quanto
basta per far apprezzare un vino che ha nella sua forza non tanto la
possente struttura bensì lo slancio e l’agilità di beva unite alla
sua capacità di non risultare esile nonostante le sue grandi doti di
finezza e di freschezza. Non manca la firma in “calce” del terroir, che in questo caso assume duplice significato, dato che ad apporla a fine sorso è proprio il carbonato di calce presente nella composizione del galestro unitamente alle restanti componenti minerali ad arricchire questo vino di sapidità e complessità. Un vino che durerà nel tempo, sorretto dal suo scheletro e dalla suo nerbo acido.
E’ il Chianti Classico
Riserva 2014 il vino che di più mette in risalto la grandezza di
un’azienda che non teme né i numeri né le annate difficili e che sa
mettersi in gioco tanto in vigna quanto in cantina, con estrema
consapevolezza e profondo rispetto regalando ancora oggi inattese
sorprese e emozionanti pergamene liquide in cui è raccontato un
passato che non teme il futuro.
chianti classico riserva 2014 monsanto
E con questo vino, oltre alla grandezza di questa cantina, si conferma quanto sia sciocco e inopportuno giudicare le annate prematuramente, tanto che la 2014 – ad oggi – si conferma, per quanto difficile e con cali importanti di produzione in quasi tutta la penisola – una buona annata per i bianchi e un’annata da apprezzare per la sua contemporaneità in termini di slancio e di finezza in molte interpretazioni in rosso, specie se parliamo di Sangiovese.

Un grazie speciale a Laura per la grande ospitalità dimostrata nella mia ultima visita alla cantina e alla, ormai, celebre “compagnia delle merende” per aver condiviso con me il viaggio all’interno il mito di Monsanto.

F.S.R.
#WineIsSharing

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