vini di Riserva della Cascina, curiosando tra le piccole e rispettose
aziende vitivinicole laziali e iniziando a seguire con occhio attento
il lavoro della giovane vignaiola Silvia Brannetti e della sua
famiglia.
Riserva della Cascina è il toponimo
della tenuta in cui giacciono i vigneti aziendali come riportato
sulle antiche mappe catastali dell’area: il terreno si trova in
zona Fiorano, con entrata sulla via Appia Antica, una strada che ha
2000 anni, disseminata di rovine Romane. Un posto molto suggestivo ad
appena 10 km dal Campidoglio.
viticoltura, che vede il bisnonno e il nonno di Silvia avviare la sua
avventura come vignaioli e produttori di vino sin dagli anni del
dopoguerra.
vendeva sfuso, come in molte altre parti d’Italia, e la produzione si
riversava tutta nella Capitale. La svolta, probabilmente, avviene con
l’entrata di Pino, padre di Silvia, nell’attività di famiglia, ma
è nel 1994 che Riserva della Cascina acquisendo la certificazione
biologica, lancia un segnale importante nel volersi distinguere per
rispetto e qualità dalla vigna al bicchiere. A prescindere dalla
certificazione, sin dai primi anni di produzione vitivinicola la
conduzione agronomica della famiglia Brannetti è stata oltre i
principi del biologico, preservando così il terreno e le piante
stesse grazie al completo diniego dei prodotti chimici di sintesi.
mettere in bottiglia il suo primo vino, un bianco da uve Malvasia
Puntinata, Malvasia di Candia e Bombino Bianco. Poi il primo rosso,
da uve Sangiovese, Montepulciano e Merlot, ed entrambi hanno avuto un
bel successo da subito, anche grazie alla possibilità di vendere i
vini direttamente nello storico negozio dove i nonni avevano iniziato
a vendere il proprio vino sfuso.
azienda, eppure è grazie alle donne che Riserva della Cascina ha
acquisito una notorietà inaspettata tra noi curiosi cultori enoici.
Parlo di Daniela, moglie di Pino, che si occupa della
commercializzazione dei prodotti e degli aspetti prettamente
amministrativi e, come accennato poc’anzi, di Silvia, giovane
vignaiola che, nonostante abbia conseguito un dottorato di ricerca in
matematica, ha sentito forte il richiamo della terra e del “fare”
entrando in azienda nel 2011.
assestamento, oggi, Silvia si occupa della cantina e quindi delle
vinificazioni con un approccio che attinge alla razionalità
matematica nella pulizia e nella concretezza ma, usando un termine
basico di questa disciplina, predilige la sottrazione all’addizione.
la ragione e l’attaccamento a questa terra si coniuga al meglio con
una crescente consapevolezza tecnica.
usando la testa, seguendo i principi del rispetto e della
salvaguardia dell’identità e questo la rende il prototipo della
vignaiola contemporanea.
è, senza dubbio, la fortuna di giacere su suoli vulcanici, con una
forte componente basaltica, ideale per la viticultura e in
particolare per la produzione di grandi bianchi. A conferma di ciò
c’è la condivisione di questa stessa matrice vulcanica con i vigneti
dai quali la storica azienda Tenuta di Fiorano dei Boncompagni
Ludovisi produceva il noto Fiorano Bianco.
Silvia che partirò nella consueta condivisione delle mie impressioni
enoiche sugli assaggi fatti dei vini di Riserva della Cascina:
2017 – Riserva della Cascina: un bianco che eleva la Malvasia
Puntinata a ciò che potrebbe essere ma nella maggior parte dei casi
non riesce ad essere, ovvero un’uva capace di dare origine a vini
completi
mix di frutta, fiore e note vulcanico/minerali e balsamiche di salvia
e menta che fanno da incipit ideale ad un sorso composto, pieno ma al
contempo slanciato e vibrante nel suo allungo acido-sapido. Un vino
che non manca di nulla e che diverte con la sua beva facile ma non
per questo scontata. Il vulcano è spento ma il vino è decisamente
“acceso”, luminoso e vitale!
2017 – Riserva della Cascina: se dalla Malvasia Puntinata ho avuto una conferma è con questo
Rosato che Silvia e la sua azienda mi hanno stupito! Sto portando
avanti da 2 mesi degustazioni selettive “in rosa” e pochi vini mi
hanno colpito in maniera così nitida, senza bisogno di effetti
speciali o di scimmiottamenti provenzali. Questo Rosato base
Sangiovese e Montepulciano da vinificazione in bianco sa essere sé
stesso, senza la boria di chi esaspera corpo ed estrazione né
l’esilità di chi scarica troppo pur di avere qualcosa di
cromaticamente simile ai modelli imposti dalla Provenza. Non so
perché, ma credo sia un buon tentativo di personificazione in quanto
nel bicchiere sin dal colore inizia a parlare della sua unicità, per
poi passare ad un naso affabile, garbato con le sue note dolci e
fresche e agrumate. Come sempre, però, è il sorso a dover dare
indicazioni più concrete sulla reale personalità di un vino e
questo Rosato entra con grande carattere, schietto e sicuro nel suo
incedere consapevole dell’annata favorevole alla sua espressività.
Acidità e sale non mancano e, anche in questo caso, agevolano une
beva dinamica e inerziale. Una rosa che ha nello stelo la spina
dorsale minerale del vulcano e che non ha spine ma petali affilati,
leggiadri, morbidi al tatto ma, soprattutto, forte e resistente…
persistente!
Giovanni nell’orto, nel tardo pomeriggio estivo che vanga sudando. Io
ancora ragazzina che mi affaccio alla finestra e lo vedo. Lo saluto
gridando “nonno!”. Lui mi guarda e mi fa un gesto con la mano
sinistra, avvicinando l’indice al pollice. Io capisco al volo: esco
di casa, vado in cantina, prendo un bicchiere da osteria, ci metto un
po’ di vino, pari alla distanza tra il pollice e l’indice di cui
sopra, e glielo porto in mezzo all’orto. Lui lo beve d’un fiato e mi
dice: “ringrazio commosso”.“
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