Negli ultimi anni ho viaggiato molto cercando di toccare ogni singolo areale vitivinicolo italiano senza trascurarne alcuno. Devo ammettere, però, che c’è un areale in particolare dal quale mancavo da oltre 5 anni. Lungi da me maturare pregiudizi di sorta riguardo vini o zone dedite alla viticoltura, ma sarei ipocrita se non dicessi che certe dinamiche hanno avuto, nel corso della mio cammino enoico, la forza di tenermi lontano da determinati contesti.
Faccio questa premessa perché il territorio in cui vi porterò oggi è stato quello che più di ogni altro ha saputo stupirmi, prendendo ogni mia singola convinzione e ribaltandola completamente in pochi attimi, grazie a poche parole e tanta vigna, a pochi numeri da analizzare e tanta qualità nel bicchiere semplicemente da assaggiare!
Parlo del Soave, un areale che ha preso le mie reticenze e le ha buttate nel dimenticatoio grazie ad una manciata di giorni in cui ho avuto modo di vivere una vera e propria full immersion in quella che è la situazione attuale di una denominazione e di un territorio che, nonostante la propria gloriosa storia, hanno rischiato di depauperare la loro reputazione per mere politiche di mercato e per scelte poco oculate e per nulla lungimiranti.
Eppure, oggi non voglio parlarvi del passato, perché è del Soave odierno che mi interessa e lo farò attraverso i 5 punti focali che mi hanno spinto a fare di questo areale la mia prima tappa enoica del 2019.
Soave Patrimonio dell’Umanità per l’Agricoltura
Parto da uno dei motivi primari del mio ritorno in Soave, la vera e propria pulce nell’orecchio che negli ultimi mesi continuava a spingermi verso le terre in cui affondano le radici viti di Garganega e di Trebbiano di Soave: la candidatura al Giahs.
Il Soave è stato insignito del raro riconoscimento assegnato dalla FAO tramite il progetto Giahs (Globally Important Agricultural Heritage Systems) che lo vede riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità per l’Agricoltura. E’ la prima volta per un territorio italiano legato alla viticoltura.
Questo riconoscimento è frutto di anni di lavoro da parte del Consorzio ma anche e, soprattutto, del sempre più rispettoso lavoro di squadra che vignaioli e natura portano avanti nella salvaguardia dei vigneti storici e nella salvaguardia della biodiversità di un contesto ambientale e paesaggistico di assoluto rilievo.
Un “titolo” che non rappresenterà solo un vanto e una leva comunicativa per il Soave, in quanto porterà con sé ferrei vincoli che vedranno il Consorzio e i produttori farsi orgogliosamente carico della grande responsabilità di chi è e si sente custode di un territorio prezioso, tutelandone la ricchezza in termini di biodiversità e di “bellezza” storica e paesaggistica.
I “Cru” del Soave
Che il territorio dell’areale del Soave fosse uno dei più variegati e interessanti in termini geologici e pedoclimatici non vi erano dubbi, ma è solo negli ultimi anni che si è spinto davvero sull’acceleratore per valorizzare questa infinita ricchezza. Ecco il secondo motivo che mi ha spinto a tornare, ovvero la zonazione. Una scelta volta a rimarcare il potenziale vocazionale storico, presente e futuro di quest’area. A questo fine sono state introdotte le UGA (unità geografiche aggiuntive), veri e propri cru che disegnano la mappa dei vigneti che da sempre si contraddistinguono per caratteristiche peculiari identitarie e di qualità.
Nell’Italia del vino si tende spesso a fare paragoni con i nostri cugini d’Oltralpe ed ancor più spesso lo si fa denotando una certa sudditanza psicologica nei confronti di scelte che hanno reso universalmente grande il vino francese. Il Soave ha voluto mutuare un concetto caro ai vignaioli francesi andando a tramutare un accurato lavoro di zonazione nell’inserimento a disciplinare di ben 33 UGA che mirano a valorizzare le specifiche caratteristiche geologiche, pedoclimatiche e storiche delle più vocate sottozone dell’areale.
Ecco l’elenco dei “cru” del Soave che potrete trovare nei vini ivi prodotti:
Castelcerino
Fittà
Tremenalto
Corte del Durlo
Costalunga
Menini
Castellaro
Brognoligo
Costeggiola
Campagnola
Sengialta
Colombara
Foscarino
Carbonare
Rugate
Coste
Monte Grande
Pressoni
Costalta
Casarsa
Pigno
Ponsara
Froscà
Volpare
Tenda
Croce
Zoppega
Ca’ del Vento
Broia
Paradiso
Monte di Colognola
Duello
Roncà – Monte Calvarina
Menzioni che vanno ad aggiungersi alla storica distinzione fra Soave doc e Soave Classico doc con il primo che comprende buona parte dei comuni della provincia di Verona verso est e il secondo, ovviamente più ristretto, che ha origine nei soli comuni di Soave e Monteforte d’Alpone, zona prevalentemente collinare con i più vocati vigneti della denominazione.
Tra gli altri cambiamenti apportati nel corso degli anni al disciplinare di produzione del Soave c’è anche l’assunzione da parte delle aree di collina non comprese nella zona classica della denominazione Soave “Colli Scaligeri”: la base ampelografica è la stessa del Soave Superiore DOCG che mette in nuova evidenza solo i vitigni qualificanti con l’esclusione del Trebbiano Toscano che prima, invece, era consentito sino ad un massimo del 15%. Oltre al Soave Superiore (anche Classico Superiore) la Docg è stata attribuita anche al Recioto di Soave.
Terreni vulcanici e biodiversità
Siamo in un territorio in cui la viticoltura la fa da padrona, dalla fascia collinare più bassa fino agli oltre 400m slm, ma a far la differenza non è solo l’altitudine dei vigneti, in quanto è il suolo cangiante come in poche altre zone della penisola a determinare in maniera netta e distintiva alcune delle principali specificità organolettiche di questi vini.
Camminando fra i vigneti di Soave e abbassando lo sguardo a terra è facile imbattersi in cambiamenti repentini di composizione del suolo spaziando da terre nere a terre rosse più ricche di ossido di ferro, da terreni poverissimi a suoli dotati di maggior fertilità, dai basalti alle argille con affioramenti calcarei. Una matrice vulcanica preponderante, comune nel Centro-Sud Italia ma molto rara al Nord.
Terreni differenti per differenti sfumature di un vino che vede nella Garganega il suo varietale di riferimento, ormai usato da quasi la totalità delle cantine in purezza, specie da quando il Trebbiano di Soave è passato dall’essere gregario a meritare attenzioni particolari. E’ pur vero che il Trebbiano di Soave (parente stretto di vitigni come Trebbiano di Lugana e Verdicchio) può dare ancora un ottimo contributo in termini di freschezza nei vigneti posti nelle zone più calde, vantando un’acidità di base più alta della Garganega e note varietali più vegetali e balsamiche.
Colline vitate in cui si alternano tratti dolci ad altri decisamente più ripidi e impervi, con una buona presenza di bosco e un antropizzazione per lo più molto garbata.
Tra i metodi di allevamento domina ancora la tradizionale Pergola che non è mai anacronistica, mostrando attitudini particolarmente idonee alla gestione di annate estreme, ormai routine con cadenza frequente a causa del global warming. Un sistema di allevamento che sembra, inoltre, allungare di molto la longevità della vite stessa, permettendo uno sviluppo più profondo dell’apparato radicale e una salvaguardia naturale nei confronti dell’erosione.
Non mancano impianti di nuova concezione in cui il guyot sembra essere la scelta più oculata nell’ottica di una gestione equilibrata della vigoria della Garganega.

Più in generale possiamo dividere l’areale del Soave in 4 principali macro-zone pedoclimatiche differenti:
Val d’Illasi e Mezzane: il terreno è costituito prevalentemente da sedimenti alluvionali calcarei a tessitura limosa, sabbiosa e ghiaiosa. Importante sapere che, vantando un’altimetria media dei vigneti più alta slm, molti vecchi impianti sono rimasti intatti non avendo subito gli esiti della catastrofica gelata del 1985.
Collina di Colognola: terreni con una marcata componente basaltica/calcarea nei versanti che guardano ad ovest, prevalentemente calcarea per quelli che guardano ad est. Si parte da un’altitudine di 40/50 metri per arrivare ai 250 sul livello del mare e le pendenze sono meno impervie.
Val Tramigna: una pianura il cui substrato è ben caratterizzato da depositi alluvionali di origine calcarea, con grande presenza di limo e sabbia. E’ una zona in cui caldo ed umidità si fanno sentire, ma una gestione accorta sia delle pergole che degli impianti di nuova concezione può favorire una produzione equilibrata. Sicuramente è l’area più agevole per la meccanizzazione.
Collina del Soave Classico: un unicum in quanto a inclinazione dei vigneti ed esposizioni. Il suolo ha chiara origine vulcanica ed è ricco di roccia basaltica, non mancano frazioni di terra rossa più ricca di ossido di ferro e affioramenti calcarei. E’ la zona in cui persistono i vigneti più vecchi della denominazione con ceppi che arrivano a sfiorare i 200 anni.
Val d’Alpone: si tratta di una zona molto vasta caratterizzata da suoli originati da sedimenti alluvionali non calcarei (le colline sono costituite da rocce vulcaniche). La struttura del terreno è limoso-argillosa. E’ l’area in cui si sono susseguiti molti dei reimpianti messi a dimora a seguito della gelata del 1985.
Quelli del Soave sono paesaggi davvero suggestivi che vantano un microclima e una biodiversità idonei alla viticoltura di qualità, il tutto non lontani dal centro della città di Verona.
Qualità
La qualità dei vini di Soave ha da sempre un grande potenziale, manifestato da virtuosi produttori che hanno segnato la storia di quello che per il mondo è stato e, probabilmente, è ancora il bianco di riferimento di un’intera nazione.
E’ inutile, però, nascondersi dietro ad un dito non prendendo in considerazione un’epoca in cui la percezione del vino Soave è stata fuorviata da un livellamento verso il basso della qualità prodotto da un incremento verso l’alto dei numeri di produzione. E’ stato un momento di rottura in cui il gap fra milioni di bottiglie che arrivavano sugli scaffali della GDO di tutto il mondo e le produzioni di nicchia di validissime piccole e medie aziende – spesso – a conduzione familiare era così alto da non permettere un equilibrio comunicativo.
Ciò che speravo di trovare, oggi, in un’epoca in cui il livello dei vini in termini di pulizia e precisione è salito a tal punto da trovare una stabilità percettiva che non annovera vini di bassa lega fra le file delle principali denominazioni, era proprio la diminuzione di questo gap. Comparando le produzioni delle realtà cooperative, ancora molto forti nel territorio, e quelle di cantine storiche, nonché di piccole aziende nate più recentemente il risultato è stato sicuramente positivo. Impressionante la tenuta nel tempo di alcune referenze d’eccellenza, ma anche dei vini base, capaci di dimostrare in toto il notevole potenziale di longevità del Soave, ulteriore valore aggiunto per un vino capace di stupire per evoluzioni aromatiche minerali e un sorso che tende a tenersi stressa la propria freschezza anche a distanza di lustri.
Un punto focale in tutti i miei viaggi alla scoperta dei territori del vino italiano è, da sempre, l’unità d’intenti dei produttori di quello stesso territorio. E’ per questo che cerco sempre di riunire vignaioli e rappresentanti di cantine cooperative, piuttosto che piccole e grandi aziende con idee differenti ma uniti dalla produzione dello stesso vino nel medesimo areale.
E’ quello che ho desiderato fare anche nel Soave e il risultato è stato quello di aver incontrato produttori di ogni età, con le esperienze più disparate alle spalle e idee di vino agli antipodi, capaci, però, di guardare tutti verso uno stesso obiettivo. L’obiettivo è quello di portare il Soave dove merita e non di riportarlo ai vecchi fasti, sia chiaro! Parlo di un Soave ancor più interessante, frutto di una viticoltura più accorta, responsabile e sostenibile, in grado di attingere al meglio del passato senza lesinare conoscenza, competenza e consapevolezza odierna. E’ proprio la consapevolezza che farà la differenza in questo territorio, perché è un fattore ancora in divenire e la cosa è più che comprensibile.
Un punto di vista nuovo che non veda nei prodotti a scaffale a pochi euro un alibi per non fare di più o per giocarsi la carta dello “scarica barile”, perché quell’aspetto non cambierà e persiste in ogni denominazione, anche nelle più note. Il Soave 2.0 è: quello che parla dell’unicità delle proprie vigne con la precisione di un Gps; è quello che arriva in maniera trasversale pur non essendo ruffiano o modaiolo; è quello che vede nella curiosità globale verso i vini vulcanici e nell’evoluzione della curva dei palati mondiali sempre più pronta ad accettare vini tesi e saporiti un’occasione per mostrare le proprie carte vincenti di calice in calice. Insomma, Soave vs Soave che parafrasando il nome dell'”anteprima” Soave Versus, ha visto a lungo questo territorio e questi grandi vini “nemici” solo di sé stessi. Le cose, però, stanno cambiando e la presa di coscienza degli ultimi anni è talmente evidente dalla vigna al bicchiere che il termine “versus” sta sempre più acquisendo il significato di “verso”, ovvero di una rotta che punta dritta verso nuovi fasti.Un plauso a tutti i vignaioli quindi e in particolare al loro “nuovo condottiero” Sandro Gini, da poco presidente del Consorzio di tutela del Soave. Consorzio che nelle figure di Aldo Lorenzoni (direttore) e Chiara Mattiello (responsabile comunicazione territoriale) mi hanno supportato in questo tour alla ri-scoperta di un areale degno di grande interesse, oggi più che mai.
Per me, questo tour è stato solo l’inizio di una serie di approfondimenti che conto di portare avanti nei prossimi anni, di vigna in vigna, di cantina in cantina, di calice in calice in questa storica terra del vino italiano.
F.S.R.
#WineIsSharing
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