Sono Andrea Menichetti, classe 1979. Ebbene si, “figlio di” Valeria e Maurizio. Dopo una esperienza adolescenziale in sala (direzione e sommelier) mi avvicino alla cucina e riesco ad avere qualche bella soddisfazione anche tra i fornelli. Campione del mondo nel 2003 per la cucina con l’olio di oliva. Ma dal 2006 si torna in sala e cantina, fino a quando non sono partito per gli Stati Uniti, dove in 7 anni ho fatto di tutto: lavapiatti, preparatore di linea, cuoco di linea, sous chef, executive chef, sommelier, manager e general manager. Torno a casa, Maurizio (alias Caino) va in pensione (difficile lavorare insieme, ma il 90% di quello che so l’ho imparato da lui. Grazie non basta), rientro alle redini di un ristorante del quale ho contribuito alla crescita e che ho abbandonato perché avevo bisogno di crescere io. Sarò pronto?! Boh?! Penso non si sia mai pronti veramente.
Il Vino nel nostro Ristorante è esattamente la parte che bilancia la cucina. Se avessimo una cuoca così talentuosa come mia mamma e non ci fosse vino… beh, non si potrebbe mangiare! Scherzi a parte, il vino ha da sempre ricoperto il ruolo della passione di mio padre Maurizio, una passione che è cresciuta di pari passo alla cucina. Le due cose sono sempre state in simbiosi, non credo ci sia mai stato un periodo in cui cucina e cantina si superassero come importanza. Questo riflette molto il nostro pensiero di esperienza gourmet.
AH! Non c’è vita senza vino, direi. Tante persone che ho conosciuto, hanno detto che ho ereditato le passioni dei miei genitori, ma non è proprio così. Durante la crescita sono sempre stato coinvolto in tutte le attività del ristorante avendo un’infanzia overpowered di sensazioni e ho costruito i miei interessi. – Mio nonno mi mescolava acqua e vino a 5 anni; a 13 anni ho riconosciuto 6 vini al buio; a 14 anni ho degustato Caol Ila 76 per l’acquisto di un barile; a 15 anni portavo avanti la sala da solo. – Non avendo mai bevuto Tavernello o mangiato Hamburger di soia, non puoi che appassionarti a questo mondo. Un mondo fatto di vino, vita, tradizione, lavoro, risultati, delusioni e tanta tanta soddisfazione. Quindi il vino è diventato velocemente uno stile di vita.
-Come vedi il vino nell’alta ristorazione italiana?
-Essere responsabile della sala e della carta vini di un Ristorante come Da Caino ti “obbliga” a vivere il vino come un lavoro, ma riesci a far combaciare con l’aspetto professionale anche la passione per questo meraviglioso mondo?
-Quali sono gli aspetti del tuo lavoro che ami di più e quali quelli che ti mettono più alla prova?
Gli aspetti amati di questo lavoro sono molteplici, dallo scoprire al ricercare fino al pensiero di come poi vorrai vendere ciò che trovi. Adoro anche, semplicemente, tenere in ordine la nostra cantina. Quello che ti mette più alla prova è, sicuramente, il confronto con il cliente. Anche se devo dire che sempre meno persone si siedono a tavola ed esordiscono dicendo la fatidica frase :”ah, ma sa, io sono sommelier” che per me è come andare dal dottore e dire :”sa dottore secondo me dovrebbe prescrivermi questo medicinale”. Ad ognuno il suo mestiere!
-Per interfacciarsi al meglio con i clienti occorre una buona dose di empatia e di esperienza capaci di aiutarti a captare in pochi istanti gusti e personalità di chi è seduto al tavolo. Ti senti un po’ psicologo durante il servizio?
In questo caso devo ammettere che gli insegnamenti di Maurizio sono stati di vitale importanza, in quanto mi ha sempre detto le seguenti parole: ”hai 3 domande! Non fare mai al cliente più di 3 domande sul vino o si infastidisce”. Così ho fatto e non mi sono mai trovato male. Psicologo è la parola esatta: dobbiamo capire il mood del cliente e consigliarlo in base a quello che percepiamo.
-Da comunicatore enoico ho sempre sostenuto che i veri comunicatori “finali” del vino siano coloro che riescono a parlare di una realtà, proporre un’etichetta e versarne il contenuto nel calice di chi andrà ad assaggiarla. Quanto conta saper comunicare un vino? E quanto credi possa concorrere una buona comunicazione alla buona riuscita del tuo servizio?
Partiamo dal presupposto che tutti i vini si dovrebbero raccontare – anche i più blasonati – anche per semplice allenamento personale. Quando serviamo un vino dobbiamo riuscire a trasmettere al cliente la stessa emozione di quando lo abbiamo assaggiato noi, se ci riusciamo abbiamo fatto un buon lavoro. Noi di sala (passami il termine) dobbiamo entrare in simbiosi con il cliente, la buona comunicazione è tutto! Se il cliente non capisce quello che gli vogliamo dire non avrà mai l’esperienza che noi gli vogliamo far vivere. Certo – torno indietro un attimo -, dobbiamo prima capire se il cliente è ben disposto o se si trova seduto al nostro tavolo solo per passare una serata con una persona e del contorno non gliene frega niente. Ma dobbiamo rimanere vigili, perché se a metà cena assaggiando si incuriosisce, è in quel frangente che dobbiamo intervenire e saper comunicare il tutto.
-Cosa non dovrebbe mai mancare nella carta dei vini di un ristorante italiano?
Tre proposte per ogni regione vinicola importante, con le relative fasce di prezzo diverse. Tutto comunque dipende dal tipo di ristorante di cui si parla. Una trattoria non è tenuta ad avere la carta dei vini di un ristorante o di un’enoteca con ristorazione, soprattutto per il target a cui fa riferimento.
-Mentre in quella di uno stellato?
La carta dei vini è personale: nella mia non dovrebbero mancare le mie passioni. Quindi auguro a tutti i sommelier d’italia di poter riuscire a proporre e vendere le proprie passioni.
-Come selezioni un vino da mettere in carta? Valuti il vino solo in base alle sue peculiarità organolettiche o reputi altrettanto importante la storia del produttore, le tradizioni e la cultura del territorio in cui nasce e/o il tuo legame con quello stesso vino?
Un vino che metterò in carta, come primo requisito deve piacermi, altrimenti non sarò mai capace di proporlo. Quello che elenchi nella domanda è tutto importante, perché fa parte del vino. Quando poi racconti un vino devi trasmettere tutto: il territorio, la storia e la tradizione sono le basi che un vino deve avere. Ho legami con molti vini, praticamente con tutti quelli che ho in cantina.
L’abbinamento cibo-vino è importante, ma non essenziale. Io sono cresciuto con la frase di Maurizio:”il bono col bono sta bene insieme”, quindi capisci che la penso così anche io, con le dovute limitazioni naturalmente: non berrei mai un Petrus con un crudo di calamaro, ma non è essenziale berci una bollicina. Per il resto, lo faccio ogni giorno per i miei clienti, e vedo che rimangono entusiasti di alcuni abbinamenti particolari, quindi sicuramente è importante, ma non lo ritengo fondamentale.
-Quali sono i vini e i viaggi enoici ai quali sei più legato?
I viaggi enoici ai quali sono più legato sono quelli dell’infanzia, quando il giorno di chiusura del ristorante saltavo la scuola per andare per cantine con Maurizio. Da lì i primi amori, come il Flaccianello, Monsanto, Poggione, Rivetti, Conterno Fantino, Clerico, Capannelle (quello vero quando c’era Raffaele Rossetti), Le (mitiche) Due Terre, San Giusto a Rentennano, Montevertine e tanti altri. Tutti fatti prima di 18 anni, naturalmente! Ultimamente mi ha segnato molto il mini viaggio in Borgogna, dove tornerò presto. Un territorio che mi affascina parecchio e che avevo studiato maniacalmente, tanto da sapere già quale vite sarebbe stata dove.
Dammi il milione poi ti rispondo! Ahahha, scherzo! Il vino è una grande passione che coltivo da quando sono bambino, non ho mai avuto tanta passione per produrlo, ma selezionarlo e raccontarlo mi è sempre piaciuto parecchio. Il vino è un fattore essenziale della nostra tavola, in quanto per noi è sempre stato presente per tradizione, e credo sia una tradizione anche cercare i più buoni. Scoprire, scovare, degustare e capire cosa c’è dietro. Tutto questo per me è vino.
-Concludiamo con un consiglio a tutti i giovani che sognano di poter lavorare in sala in un ristorante importante come Da Caino.
Studiate… tanto prima o poi dovrete farlo! Sembra che non serva a nulla poi, invece, nel vostro percorso formativo troverete molto utile averlo fatto. Poi lavorate, tanto, e partite dal basso, fa bene ed aiuta la crescita. Una volta chiesi ad Antonio Santini come si faceva a diventare come lui (avrò avuto 10 anni) e lui mi disse semplicemente di imparare a pulire i cessi e lavare i bicchieri. Io chiesi il perché e lui mi rispose che se un domani avessi avuto un ristorante, avrei dovuto saper correggere i miei dipendenti e non c’è cosa peggiore per un Maitre di sala di avere i bicchieri sporchi e peggio ancora i bagni! Appassionatevi a qualcosa, altrimenti questo lavoro non ha senso: se non hai la passione non lo puoi fare! Non è un lavoro calcolato, è un lavoro di stomaco, di cuore e di pancia. Lo devi sentire, lo devi amare, lo devi comunicare perché gli altri lo amino e poiché gli altri capiscano cosa c’è dietro. Il tutto senza essere prolissi o romantici o pallosi. A me piace la sportività, la freschezza e il sorriso. Non salviamo vite umane. Regaliamo momenti felici e questo si può fare solo maturando la giusta professionalità. L’unico modo per arrivare ad essere professionali è essere attuali quindi non smettere mai di studiare.
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