In un’era in cui la semantica del vino si inceppa tra definizioni fuorvianti e descrizioni poco attinenti alla realtà, tra certificazioni e pseudo-filosofie agronomiche, si sta perdendo un po’ di vista un fattore fondamentale per il far vino e, ancor più, per il poter continuare a far vino da qui in avanti: la biodiversità.
Se c’è una cosa che ho capito in questi ultimi anni visitando e scrutando vigneti e ascoltando vignaioli e agronomi è che dobbiamo abbassare lo sguardo a terra. Sì, perché per troppo ci siamo “preoccupati” più del frutto che di quella terra tiene in vita le piante. Le condizioni del terreno in cui cresce il vigneto e le modalità con cui la coltura viene gestita influiscono sulla biodiversità e quindi sull’equilibrio delle varie specie coesistenti.
L’Italia è al primo posto in termini di patrimonio biologico in Europa, ma proprio a causa dell’agricoltura intensiva e, quindi, dell’abuso di agrofarmaci e il ridisegnamento dei paesaggi agricoli da parte dell’uomo, questa ricchezza in termini di biodiversità è continuamente messa alla prova. E’ palese che molti dei paesaggi vitivinicoli italiani, per quanto suggestivi, siano ormai oggetto di una monocoltura, lontana dalla tradizionale alternanza delle aziende agricole di un tempo tra bosco, seminativo e vigna.
Quando sento parlare di sostenibilità penso sempre alle parole dell’agronomo Lorenzo Corino “la biodiversità: parola di moda pronunciata da tutti, in ogni ambito ed occasione… una parola magica. Mi sembra che ci sia un risveglio improvviso.. ma dove eravamo prima? Forse non sapevamo che in 1 g di polvere domestica si posso trovare anche 1000 acari? Che il terreno non è materiale inerte ma è ricco di abitanti, di reazioni fisiche, chimiche, microbiologiche che si influenzano a vicenda in cicli complessi? La diversità biologica è uno status primitivo e variamente dinamico; l’agricoltura lo modifica mentre è proiettata negli obiettivi di massimo beneficio col minor dispendio energetico. Ritengo che rimanga da percorrere un lungo cammino per comprendere meglio il nostro ‘disturbo’ per produrre il cibo; quindi meglio lavorare d’impegno al fine di fornire risultati utili alla causa e limitare slogan che non portano da nessuna parte.”
E’, dunque, fondamentale tutelare e preservare la biodiversità di un vigneto, ovvero l’insieme di tutte le forme di vita (piante, animali, micro organismi) che rendono vivo il suolo e ne aumentano fortemente la resilienza nei confronti degli agenti esterni (clima e uomo).
Ogni azione del viticoltore influisce sulla biodiversità in negativo o in positivo:
Negativo: trattamenti fitosanitari, diserbi chimici, passaggio ingente di mezzi meccanici che provocano compattamento, scelta del sesto d’impianto e della disposizione dei filari per quanto concerne il dilavamento e, più in generale, ogni operazione condotta in modo incauto dal vignaiolo.
Positivo: propagazione di cloni storici, scelta del sesto d’impianto opportuno e di una disposizione oculata dei filari, inerbimento (è provato che è un ottimo metodo per contenere l’erosione, controllare le infestanti e permettere un aumento della presenza di organismi antagonisti ai fitofagi come la Tignola), pacciamatura (questa copertura del suolo, oltre a limitare moltissimo la crescita delle malerbe, mantiene umido il terreno e lo tutela da fenomeni di dilavamento), concimazioni organiche (se e solo se necessarie), sovescio (se e solo se necessario e con un’accurata scelta delle piante da coltivare).
Proprio in questi termini è utile non cadere nell’errore di vedere nella scienza un nemico, in quanto nulla è più utile di un approccio scientifico alla vigna e alle sue dinamiche e bio-dinamiche al fine di comprenderne il potenziale ed eventuali carenze.
Opportuni e cadenzati controlli, analisi mirate e un approccio ragionato alla conduzione agronomica possono portare alla vera sostenibilità. Una sostenibilità circolare che parta dalla tutela della biodiversità, passi per il rispetto profondo della materia prima dalla vigna alla cantina, ma che deve necessariamente concludersi con una sostenibilità economica dell’azienda. Questo è possibile solo e soltanto ponderando le proprie decisioni e cercando di valorizzare al meglio il frutto del proprio lavoro e delle proprie vigne, senza cercare di compensare lacune tecniche con azioni comunicative fuorvianti e poco inerenti alla realtà e, ovviamente, senza utilizzare la sostenibilità e le certificazioni come mera leva di marketing.
Nonostante i cambiamenti climatici, l’Italia può godere ancora di condizioni privilegiate in molti dei suoi principali areali vitivinicoli e sono proprio queste condizioni pedoclimatiche a poter rappresentare un plus nei confronti di molti altri paesi. E’ fondamentale, oggi più che mai, considerare la sostenibilità un valore aggiunto in termini di salvaguardia del nostro patrimonio di biodiversità ma anche per il prodotto finito. La speranza, quindi, non può che essere quella di trovare sempre più produttori e vignaioli virtuosi capaci di riunirsi ed aggregarsi, magari in distretti, attorno ad un concetto circolare di sostenibilità dalla vigna al bicchiere. Tutto questo, però, deve essere accompagnato da una comunicazione seria e limpida, priva di strumentalizzazioni di concetti come l’artigianalità, la naturalità e la salubrità. Sono certo che le diatribe e la confusione degli ultimi anni dentro ed intorno a certificazioni e filosofie enoiche o pseudo tali stia già portando a risultati costruttivi, in quanto sono servite a sensibilizzare la maggior parte dei produttori nei confronti di tematiche ormai impossibili da non considerare e ha portato un livellamento generale verso l’alto dell’attenzione alla biodiversità e alla sostenibilità. Come sempre, in medio stat virtus!
Nonostante i cambiamenti climatici, l’Italia può godere ancora di condizioni privilegiate in molti dei suoi principali areali vitivinicoli e sono proprio queste condizioni pedoclimatiche a poter rappresentare un plus nei confronti di molti altri paesi. E’ fondamentale, oggi più che mai, considerare la sostenibilità un valore aggiunto in termini di salvaguardia del nostro patrimonio di biodiversità ma anche per il prodotto finito. La speranza, quindi, non può che essere quella di trovare sempre più produttori e vignaioli virtuosi capaci di riunirsi ed aggregarsi, magari in distretti, attorno ad un concetto circolare di sostenibilità dalla vigna al bicchiere. Tutto questo, però, deve essere accompagnato da una comunicazione seria e limpida, priva di strumentalizzazioni di concetti come l’artigianalità, la naturalità e la salubrità. Sono certo che le diatribe e la confusione degli ultimi anni dentro ed intorno a certificazioni e filosofie enoiche o pseudo tali stia già portando a risultati costruttivi, in quanto sono servite a sensibilizzare la maggior parte dei produttori nei confronti di tematiche ormai impossibili da non considerare e ha portato un livellamento generale verso l’alto dell’attenzione alla biodiversità e alla sostenibilità. Come sempre, in medio stat virtus!
Questo è solo il primo di una serie di approfondimenti che conto di pubblicare in questo 2019, per tornare a spostare l’attenzione sulla vigna e sul concetto di rispetto di cui tanto ho scritto ma che ancora oggi vedo continuamente trascendere o raggirare. Il fine è quello di arrivare a sensibilizzare appassionati, addetti ai lavori e vignaioli riguardo temi che dovrebbero essere cari a noi tutti, qualunque sia il nostro ruolo enoico. Per farlo in maniera diffusa i pezzi non saranno infarciti di tecnicismi ma, al contempo, proveranno a controbattere la superficialità dilagante oggi nella comunicazione enoica sui social.
F.S.R.
#WineIsSharing
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