Torno in Umbria per raccontarvi una delle realtà che di più ha saputo distinguersi per qualità e personalità negli ultimi anni: la Cantina Tabarrini.
Di proprietà della famiglia Tabarrini, vignaioli e agricoltori in queste terre da 4 generazioni, oggi questa cantina ha saputo ritagliarsi un ruolo di spicco a livello nazionale e internazionale grazie alla dedizione e al genio di Giampaolo Tabarrini, produttore capace di coniugare la saggezza acquisita dal padre Nello e dal nonno Armando ad un approccio contemporaneo, erudito e ragionato in vigna e in cantina.
Era da qualche anno che non andavo a trovare Giampaolo e ciò che ho trovato è una realtà in continua evoluzione, con i 15 ettari di vigneto ormai portati tutti a Guyot e una cantina nuova ed innovativa atta ad assecondare al meglio l’idea di vino che il produttore, coadiuvato dal suo inseparabile enologo Emiliano Falsini, porta avanti dal 1998: pulizia, equilibrio ed eleganza.
“Genio e sregolatezza” questo è il primo pensiero che non puoi evitare di farti balenare nella mente durante una visita in vigna e in cantina con Giampaolo Tabarrini.
Sì, perché questo istrionico vignaiolo umbro passa dalle vesti del più “semplice” e spontaneo contadino a quelle del produttore esperto e del nerd del vino in pochi attimi. Due anime che convivono in un uomo di vigna e di vino che ha dedicato la propria vita alla propria terra attraverso interpretazioni luminose del Sagrantino e del Trebbiano Spoletino.
Girando per i vigneti dislocati in varie zone è facile comprendere l’importanza della vinificazione separata di ogni parcella, specie per quanto concerne il Sagrantino, che dispone di 3 cru dedicati: Colle Grimaldesco, Colle alle Macchie e Campo alla Cerqua, che prende il nome dalla grande quercia secolare che domina l’appezzamento.
Per quanto riguarda il Sagrantino Giampaolo ha saputo comprendere la strada migliore per portare in bottiglia vini capaci di andare oltre le tendenze del momento, positive o negative che fossero, puntando tutto su un raro e arduo (con questo tanto ostico quanto grande vitigno) connubio fra potenza espressiva e armonia di tutte le componenti.
La voglia di raccontare la sua terra e le sue unicità di vigna in vigna, di annata in annata e di bottiglia in bottiglia ha portato Giampaolo a riscoprire vitigni come il Trebbiano Spoletino, oggi chicca enologica dell’umbria bianchista. Prodotto da un vigneto in cui dimorano viti a piede franco di Trebbiano Spoletino vecchie fino a 100 con un’età media di 60 anni, con ceppi ancora maritati all’acero campestre, l’Adarmando è un vino che ha sapito coniugare tradizione e passato allo spirito pionieristico e lungimirante di Giampaolo Tabarrini e della sua realtà. Un vino unico, che da solo ha dato il via alla riscoperta di questo varietale che trova nell’era attuale la sua contemporaneità in termini organolettici donando ai vini da esso prodotti luce, slancio e sapidità senza lesinare ampiezza e profondità. Ho avuto modo di assaggiare varie annate di Adarmando e ciò che colpisce è la disinvoltura del Trebbiano Spoletino di sostenere l’affinamento in bottiglia giocando con il tempo, l’ossigeno e la propria materia. E’ così che troverete un’annata come la 2016 ancora tutta sul frutto e sul fiore, con lievi rimandi minerali, grande intensità di sorso e profonda sapidità, mentre nelle vecchie annate come la 2009 o la 2007 troverete un’evoluzione minerale, fine, elegante con toni di idrocarburo e fiore bianco nella prima e folate fumé nella seconda, entrambe unite da una verve dinamica e saporita che sembra non voler mai venir meno.
Giampaolo è un curioso, l’avete capito! Quindi, non poteva “limitarsi” alla riscoperta del Trebbiano Spoletino… Infatti, non pago di quest’opera pionieristica, ecco arrivare il Grero trovato per caso nel giardino della casa vacanze di una signora romana. Dovendo potare questa vite e non avendo la più pallida idea di che tipo di vitigno fosse Giampaolo fa fare l’analisi dell’RNA. Si trattava di Grero, un’uva autoctona, rossa, quasi dimenticata, dalle caratteristiche organolettiche ignote ai Tabarrini. La curiosità è troppa, quindi Giampaolo decide di propagare inizialmente in mezzo ettaro e successivamente nella restante metà del terreno questo “strano” varietale.
Tempo 6 anni ed ecco la prima vinificazione e i primi riscontri in termini analitici e organolettici che, ça va sans dire, stupiscono tutti! Basso tenore alcolico (anche in annate calde), alta acidità, tannini quasi impercettibili ma colore intensissimo, impenetrabile! Un vino giocato tutto sulle freschezze capace, però, di reggere lunghi affinamenti in legno e in bottiglia.
Come per il Trebbiano Spoletino, ciò che rende il Grero così interessante è la sua capacità di risultare attuale e contemporaneo, fuori dal tempo, per le sue peculiarità che lo rendono intrigante, complesso ma al contempo slanciato dalla notevole agilità di beva.
La sperimentazione non si ferma mai e le poche annate prodotte di Grero hanno visto cambiare qualcosa in termini di vinificazione, ma l’aneddoto più particolare legato a questo vino è, sicuramente, quello relativo all’annata 2016 che non è stata prodotta a causa delle condizioni climatiche avverse ma che, comunque, è stata inserita nelle confezioni delle annate di Piantagrero rigorosamente vuota. Qualcuno ha visto questo gesto come una mera provocazione ma io ci vedo molto di più, ovvero la volontà del produttore di far comprendere tramite questo messaggio così impattante quanto lavoro ci sia dietro ad ogni singola bottiglia durante tutto l’arco dell’annata a prescindere dall’esito finale. E’ per questo che quella bottiglia potrà sembrare materialmente vuota di vino ma è, a mio parere, colma di valori preziosi come la tenacia, l’impegno, il tempo e la dedizione al proprio lavoro nonché dell’investimento economico che un vignaiolo deve sostenere ancor più nelle annate complesse.
Ciò che colpisce di più, però, è la sua continua ricerca della perfezione che passa, soprattutto, attraverso una concezione della nuova cantina impeccabile in quanto a tecnica e tecnologia, il tutto subordinato ad una pulizia maniacale.
Terminati questi doverosi elogi alla geniale follia di Giampaolo Tabarrini, passiamo al Sagrantino e ai suoi tre cru che vi racconterò di assaggio in assaggio:
Colle Grimaldesco – Montafalco Sagrantino Docg 2014: è il “cru” storico dell’azienda, capace di dare il là all’epopea di Giampaolo Tabarrini e della sua azienda. Un vino forte, dalla grande integrità, potente nel frutto e intrigrante nella spezia. Al sorso si mostra polimaterico come un’opera dell’artista – umbro, anch’egli – A. Burri, consistente ma al contempo elegante, dal nerbo acido integrato che sembra fungere da ago per tessere col filo del tannino una trama fitta e mai greve o sgraziata.
Colle alle Macchie – Montefalco Sagrantino Docg 2014: in questo “cru” la maturità delle uve si traduce in potenza espressiva nel frutto e nelle note terrose così identitarie; la spezia è lieve e ben si fa avvolgere dalle spire balsamiche rinfrescanti. Un sorso che entra ampio per poi distendersi sicuro e profondo, con un tannino che non ostacola la beva ma ne allunga la persistenza e ne fa intravedere una prospettiva luminosa.
Campo alla Cerqua – Montefalco Sagrantino Docg 2014: sicuramente il “mio cru”, ovvero quello che meglio interpreta le mie esigenze gustative quando mi ritrovo nel calice un Sagrantino. Un vino dalla finezza disarmante, che abbina alla freschezza del frutto ancora integro, note mentolate e speziate mai eccessive ma che fanno da degno incipit ad un sorso slanciato, dinamico, dall’incedere sicuro e fiero ma per nulla ostico. Molti pensano che il Sagrantino non possa avere beva, beh… questo vino dimostra quanto, con questo varietale, si possano produrre vini di grande classe e con notevole agilità di beva senza lesinare struttura e tannino, bensì armonizzando ogni componente dura e morbida in maniera impeccabile.
Come un’”Attesa” di Fontana, un taglio nella tela dei preconcetti legati al Sagrantino. Uno squarcio verticale volto ad indicare una via alternativa a quella che ha portato ad una sorta di timore reverenziale nei confronti di questo straordinario vitigno, specie nei suoi primi anni di vita in bottiglia.
Ogni visita in vigna e in cantina con Giampaolo è un’esperienza unica come unico è il suo amore per queste terre e questi vitigni ai quali tanto ha dato e che tanto gli stanno dando in termini di soddisfazioni.
La Cantina Tabarrini è da sempre, per me, un esempio di quanto coraggio, intuito e caparbietà possano creare anche in un mondo complesso e rischioso come quello del “far vino” e, per questo, Giampaolo e la sua famiglia meritano tutta l’attenzione e il successo che stanno riscuotendo.
“Un talento colpisce un bersaglio che nessun altro può colpire; un genio colpisce un bersaglio che nessun altro può vedere.”(Arthur Schopenhauer)
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