La comunicazione del vino organica e i “furbetti” di Instagram

C’è una parola che accomuna la viticoltura e più in generale la produzione di vino rispettosa e la comunicazione enoica: organico/a.
Sì, perché se gli anglofoni definiscono “organic wines” i vini da agricoltura biologica o comunque da una viticoltura gestita entro i canoni dell’ecosostenbilità nel mondo della comunicazione online il termine “organico” assume una valenza molto simile in termini etici.
E’ considerata organica, infatti, una comunicazione i quali risultati in termini di seo, posizionamento, traffico e di conseguenza popolarità siano stati ottenuti in maniera “naturale” – altro termine comune anche nel vino e anche in questo caso fonte di ambiguità! -, ovvero senza operazioni a pagamento e senza forzature di sorta.

instagram vino pods fake

Faccio questa premessa perché negli ultimi mesi sta accadendo qualcosa di “particolare” – usando un eufemismo! – nel mondo della comunicazione enoica. In molti – amici, lettori, produttori e persino “colleghi” – mi avete scritto negli ultimi mesi chiedendomi ragguagli su instagram e sull’ascesa poco chiara ai più di alcuni profili italiani e internazionali, quindi cercherò di chiarire alcuni aspetti che riguardano l’escalation che sta portando, spesso, il vino ad essere “usato”, valutato, interpretato e comunicato alla stregua di un paio di scarpe o di un capospalla, in puro stile “fashion” in Italia e all’estero.

Sia chiaro… ben vengano le novità e le ventate di freschezza purché imperniate sulla passione e fondate sui principi della correttezza e della trasparenza e non sulla furbizia e sul mero opportunismo.
Quando penso alla mancanza di trasparenza, alla confusione e al poco rispetto per quella che un tempo era chiamata netiquette e più in generale per il vino in senso stretto e in senso lato mi viene in mente il social più in “voga” del momento, ovvero Instagram.
Partendo dal presupposto che ognuno è libero di pensare, fare e pubblicare ciò che vuole – nei limiti della decenza e del rispetto altrui -, è innegabile che Instagram più di qualsiasi altro social network stia prendendo una deriva molto lontana da qualcosa di realmente costruttivo enoicamente parlando. Non che debba esserlo per forza, ma da chi si auto-proclama comunicatore enoico, wine blogger o addirittura Guru del vino ci si aspetta qualcosa di diverso da ciò di cui vi parlerò nel proseguo di questo pezzo.

Da comunicatore ho avuto la fortuna o forse l’intuito di percepire le potenzialità di questo social in tempi non sospetti, quando a pubblicare qualcosa di inerente al vino eravamo davvero pochi e gli iscritti a Instagram non erano neanche un millesimo di quelli odierni.
Iniziai a usare Instagram come una sorta di “album di ricordi” per conservare foto e impressioni su assaggi e visite in cantina, non curandomi del seguito, senza neanche scrivere hashtag… oggi basta scorrere gli oltre 5000 post per comprendere quanto sia organico e a tratti persino “sprovveduto” l’utilizzo che ho sempre fatto di questo social, come di tutti gli altri in cui condivido le mie idee, i miei pensieri e il frutto della mia vita nel e con il vino. Non ho accettato compromessi o aderito a gruppi di scambio like e commenti non appena compreso il loro funzionamento, perché non l’ho mai trovato corretto nei confronti di chi segue ciò che faccio e ciò che scrivo, nonostante gli introiti di questo blog non provengano dalle recensioni di vini e cantine. Forse è per questo che in molti mi hanno chiesto ragguagli riguardo le varie richieste di compensi da fantomatici “wine influencers” che nel giro di uno o due anni hanno avuto una repentina ascesa in termini di seguito. Che sia fittizio o meno, questo lo lascio decidere a voi, magari leggendo le centinaia di articoli dedicati allo scambio followers, ai Bot e agli Instagram pods.
Io vi consiglio di partire da questi due pezzi scritti da alcuni dei massimi esperti in materia:

http://www.ninjamarketing.it/2017/09/12/insidie-instagram-pod/;
http://www.ninjamarketing.it/2017/11/24/influencer-marketing-bot-fake-furbetti/

Che siate appassionati di vino in cerca di consigli, vignaioli e/o produttori potrà esservi utile un approfondimento e vi basterà leggere gli articoli appena linkati o cercare su Google frasi del tipo “come aumentare followers su instagram”, “cosa sono gli instagram pods” ecc…

In linea di massima non è così difficile individuare quelli che in molti definiscono “furbetti”:
buona parte dei commenti è più o meno sempre degli stessi profili (appartenenti ai pods); la crescita dei followers è molto più rapida di quella auspicabile da un profilo organico per quanto performante possa essere; scorrendo tra i followers troverete più del 10% fisiologico di followers palesemente non interessati al vino e addirittura fake; i contenuti sono orientati alla superficialità o sono rappresentati da presentazioni aziendali e/o schede tecniche copiate e incollate dai siti delle cantine; vengono pubblicate foto di note etichette (spesso ancora chiuse) o di cantine famose (spesso non scattate dall’utente stesso) per massimizzare visualizzazioni ed interazione ecc…

Per darvi un’idea più concreta questo è il tipo di messaggio che ricevo quotidianamente da profili privati, marketer o agenzie di marketing che chiedono di aderire ai Pods:

gruppi instagram vino

Oggi, continuo ad utilizzare i social in modo libero, non curandomi delle strategie che massimizzerebbero la visibilità dei miei post, semplicemente perché non cambierebbe nulla. Instagram per me non è un mezzo per promuovere cantine o vini a pagamento, non è un modo per accumulare numeri vuoti da spendere in contesti poco attenti e con cantine poco accorte che preferiscono pagare per promuovere il frutto del proprio lavoro piuttosto che lasciare che siano le proprie vigne, i propri vini e la propria personalità a parlare e a stimolare chi comunica a condividere la qualità del loro lavoro. Instagram – come tutti i profili social che ho creato negli ultimi anni – è un mezzo, un tramite, un veicolo per arrivare a più persone possibile, sì… ma reali, persone che decidono di loro spontanea volontà di seguire ciò che pubblico perché interessati al mondo del vino, chi in maniera più approfondita e costante chi semplicemente perché incuriosito dalle foto dei miei viaggi, dei miei assaggi o dai miei scritti. Per questo ho deciso di fare dei passi indietro tornando a scrivere praticamente solo in italiano, riducendo da un lato e tagettizzando dall’altro la visibilità di ciò che faccio. Questo perché spero che chi mi segue apprezzi i miei contenuti per quello che sono realmente ed eviti di accomunarmi alle centinaia di profili legati esclusivamente al reposting/regranning o alla pubblicazione di contenuti omologati che hanno invaso instagram. Non è semplice e, per assurdo, il fatto che io abbia accumulato nel corso degli anni tale visibilità mi fa ricadere in un grande insieme che ha ormai assunto le sembianze di un calderone che nulla ha a che vedere con un sano e costruttivo meltin’pot culturale e comunicativo ma, al contrario, ha le sembianze di un caos regolato da dinamiche che fanno comodo a tanti a discapito di pochi. Per questo qualcuno lo trova addirittura positivo continuando a professare l’inconcepibile filosofia del “basta che se ne parli”, ma mi chiedo cosa ne sarebbe di alcuni di questi “wine influencers” se domani Instagram chiudesse i battenti? La mia speranza è che, almeno in parte, molti di essi comprendano la bellezza del vino e inizino a girare davvero per cantine, a calpestare terreni diversi dai pavimenti delle enoteche e dei wine bar nei quali fanno foto a bottiglie prese dagli scaffali ancora “intonse”, parlando con chi il vino lo fa e comunicando tutta questa ricchezza a tutti i propri “followers” reali o meno che siano. Il fine, non giustifica i mezzi, ma in questo caso limiterebbe i danni e potrebbe creare una comunicazione meno superficiale e più interessante.

I social non dovrebbero essere proprio questo? Un mezzo per condividere e coinvolgere, specie se si vuole incentrare la propria comunicazione attorno ad un unico tema portante come il vino. Eppure, negli ultimi anni vedo una continua rincorsa ai numeri, alle classifiche (verso le quali ho da sempre manifestato i miei dubbi, pur essendo citato o menzionato in alcune di esse perché basate su criteri poco chiari e facilmente alterabili), alla notorietà fittizia e dalle fondamenta fragili prodotta da una comunicazione superficiale e, spesso, deviata da dinamiche che poco hanno a che fare con la sete di conoscenza, con il rispetto per chi fa vino e per chi lo acquista, magari proprio spinto da ciò che scriviamo e pubblichiamo; una comunicazione che ha poco a che vedere con la volontà di condividere le proprie reali esperienze enoiche con il grande circolo degli appassionati, degli addetti ai lavori e dei neofiti che proprio grazie a chi comunica potrebbero maturare curiosità e passione; una comunicazione che lungi da me debba essere omologata e che può e deve contemplare – entro certi margini – una giusta dose di leggerezza e di democraticità, ma che non dovrebbe essere fuorviante o addirittura perniciosa per il vino in senso stretto e in senso lato. Io stesso scrissi di avere dei dubbi riguardo le classifiche nelle quali mi sono ritrovato ad essere citato, tanto che oggi Klout (lo strumento utilizzato per valutare l’influenza nel web nei vari ambiti di riferimento, è stato chiuso in quanto non più in grado di adempiere al suo compito). Sia chiaro, sarei ipocrita se rinnegassi l’orgoglio provato nell’essere menzionato fra grandi comunicatori del vino a livello internazionale, ma di anno in anno sono stati gli stessi lettori di questo blog a farmi notare la deriva che i social – instagram in particolare – stavano prendendo.
Quando sono arrivato nel mondo della comunicazione del vino l’ho fatto in punta di piedi, con profondo rispetto per chi, già da anni, scriveva di vino, a prescindere dal come e dal perché. Non è stato facile vivere il periodo in cui al giornalismo enogastronomico “tradizionale” si stava affiancando la comunicazione dei food e dei wine blogger, ma ho sempre visto in alcuni giornalisti e comunicatori degli esempi e delle figure alle quali attingere in termini di esperienza e di professionalità. Figure che, con piacere, ho visto avvicinarsi al blogging e alla comunicazione sui social media, comprendendo le potenzialità di una comunicazione più “libera”, dinamica e trasversale.
Dalla nouvelle vague di comunicatori enoici mi aspettavo un approccio appassionato, scalpitante di curiosità e di voglia di produrre contenuti freschi, fruibili e dinamici ma non per questo superficiali o poveri di polpa come un vino di un’annata fredda e piovosa, in cui neanche l’acidità è capace di farne stare in piedi il sorso. Più scarpe sporche di terra, più video in vigna, più confronti con chi il vino lo fa davvero e magari meno sciabolate con la qualunque! Ma questa è solo un’opinione personale e di qualche amico che continua a mandarmi video di sciabolate con carte di credito, i-phone, calici e alabarde spaziali giusto per farmi innervosire con questa tendenza che definirei “sabrage sauvage”!

Un po’ come nel monologo di Roy Batty in Blade Runner, in questo, a tratti distopico, modo di comunicare sui social, vedo ragazzi che dal nulla pubblicano “Guide Enoiche”, vedo punteggi dati a destra e a manca e “personaggi” che si auto definiscono “Wine Guru” perché si sono creati un seguito su instagram con mezzi poco consoni a definire quello stesso realmente interessato; vedo psuedo-influencers che da un giorno all’altro vengono spinti a tenere corsi “di avviamento alla degustazione”; vedo e-book pieni di copia-incolla presi qua e là in giro per il web e “libri” infarciti di luoghi comuni e scontatezze enoiche che, a mio modo di vedere, sfociano nella mancanza di rispetto nei confronti di chi fa vino, di chi crede in una comunicazione costruttiva e di chi legge.
Una persona anni fa mi disse “fatti i ca…i tuoi e camperai cent’anni!”, un’altra due giorni fa parlando di questa situazione disse “non hai mai criticato nessuno, non iniziare ora! Non è da te!”… hanno entrambe ragione, ma questi ultimi mesi in cui ho rischiato di non poter più tornare a viaggiare, a camminare per vigne, a godermi la mia passione per il vino e, quindi, a ricercare e raccogliere contenuti da condividere con voi attraverso questo wine blog e i miei profili social, ma anche e soprattutto attraverso la mia voce, il mio accento ibrido e il mio strano e maldestro gesticolare seduti ad un tavolo e riuniti attorno a qualche bottiglia, mi hanno fatto capire che c’è qualcosa che non va nella comunicazione enoica 3.0 e che questa deriva può e deve essere arginata. Non di certo da me, io non voglio arginare nulla né impedire a chi lavora di guadagnare legalmente la propria “pagnotta”, ma mi piacerebbe spingere chi ama il vino, sia esso un comunicatore, un produttore o un appassionato a delle riflessioni a riguardo. 
Sia chiaro, ognuno è libero di fare ciò che sente e non credo che la “colpa” sia tutta di chi ha visto nel diventare “wine influencer” un modo per fare due soldi o per riempirsi la cantina di vino, hanno “solo” preso come esempio la Ferragni (ma nel suo settore ciò che fa è ampiamente sdoganato e è comunque, a suo modo, stata una pioniera partendo da un blog) piuttosto che Veronelli..!  La “colpa” non è neanche delle grandi aziende che “sfruttano” i numeri di questi giovani comunicatori per cercare di riempire il web di contenuti che possano sembrare organici, ma che di organico hanno ben poco, quasi come se volessero crearsi una web reputation e di conseguenza una reputazione reale meno legata al marketing e al commercio. Non ci sono colpe in realtà, ma ci sono scelte opinabili fatte da un lato da chi comunica e dall’altro da chi alimenta questo tipo di comunicazione.

Siete marketer? Chiamatevi marketer e potrete andare in giro al Vinitaly presentando il vostro listino prezzi o inviare email con le vostre proposte di gestione social media e campagne pubblicitarie alle Cantine serenamente e nessuno, benché meno io, potrà criticarvi! E’ un lavoro e come tale va interpretato, senza creare confusione e senza celarlo dietro mentite spoglie. Lo screenshot qui sotto credo sia rappresentativo della confusione che vige su instagram:

Detto questo, però, devo ammettere che – per fortuna! – ci sono tantissimi giovani  appassionati e tra di essi molti comunicatori mossi proprio da quella forte passione, da un’inarrestabile sete di conoscenza e da una curiosità inerziale che stanno facendo bene al vino e che sono certo daranno vita a qualcosa di importante attraverso il confronto e il rispetto. Inoltre, i social stanno, nella loro assurdità, avvicinando moltissimi appassionati al mondo del vino e Instagram più di tutti sta invogliando ragazzi e ragazze a viaggiare e a conoscere realtà che fino a poco tempo fa sarebbero rimaste nell’ombra non avendo grandi disponibilità economiche per promuoversi e farsi conoscere. Quindi ben venga un utilizzo consapevole dei social e che ognuno ne lo interpreti a modo proprio, sia che lo faccia per mera passione sia che ne voglia fare un lavoro. L’importante è definire ciò che si fa in maniera più trasparente e, magari, non utilizzare mezzi e modi poco corretti per raggiungere i propri obiettivi.


Qualcuno, forse, se la prenderà leggendo le mie parole perché si sentirà tirato in causa, ma se non ho fatto nomi o riferimenti a qualcuno in particolare è proprio perché non mi riferisco a uno, due o tre individui nello specifico, ma a una situazione generale e diffusa che non è solo italiana, ma che in Italia sta assumendo le connotazioni di una vera e propria deriva in termini di chiarezza. Come detto più volte, parlando di vino e di comunicazione, il problema non è cosa si può o si deve fare e cosa no, ma è il modo in cui definiamo le nostre azioni o il prodotto delle stesse. Chiamarsi blogger o comunicatori e fare a tutti gli effetti i social media manager o i marketer rischia di essere fuorviante, di alterare la percezione delle varie “categorie” e di alimentare diatribe che potrebbero tranquillamente essere arginate sul nascere da una maggior trasparenza. Perché, per quanto io non sia in linea con un certo tipo di comunicazione e di web marketing, non sono tanto ottuso da pensare che le aziende produttrici di vino possano smettere di promuoversi a pagamento puntando solo sulla qualità del loro prodotti (non tutte possono “permetterselo” e non tutte vogliono farlo) e su percorsi comunicativi che non prevedano un do ut des meramente economico.
Quindi se un’azienda vuole pagare per avere la consulenza o per farsi promuovere da un social media manager o un marketer non c’è nulla di strano o di illecito, anche se non credo che l’opera di piccoli produttori e di vignaioli veri si presti a questo tipo di azione comunicativa. Il problema è solo la confusione che si sta creando fra le varie branche della comunicazione e fra i vari esponenti di essa, nel modus operandi e nel fine di tali pratiche.
Basterebbe dare il giusto significato alle parole, ponderarne l’utilizzo e non definirsi per ciò che non si è e che non si fa, ma semplicemente trovare la forma più idonea a definire ciò che si è e che si fa.

Oggi, come ieri, quando qualcuno mi definisce erroneamente “giornalista” sento il dovere di correggerlo perché io non sono un giornalista e sarebbe irrispettoso nei confronti di chi è iscritto all’ordine e di chi si guadagna da vivere grazie a quel lavoro fare altrimenti. Credo che la stessa cosa dovrebbe valere per chi è a tutti gli effetti un social media manager, ma si definisce “Wine blogger” dando consigli ai propri “seguaci” come se fossero frutto di una sincera e imparziale valutazione.

Nei miei articoli troverete qualche refuso, magari qualche vero e proprio errore, ma non definirei mai “vignaiolo” un imprenditore del vino entrato in vigna solo per qualche foto di rito da utilizzare nelle proprie brochure o da pubblicare sul proprio profilo facebook; non chiamerei mai enologo chi non lo è “solo” perché è in grado di produrre il proprio vino da sé magari avendo anche maturato una conoscenza e una competenza enologica maggiore di molti laureati in enologia e lo stesso vale per gli agronomi. Gli sponsor che troverete e le collaborazioni che ho sin dal principio accettato riguardo realtà che non producono vino e che ho conosciuto grazie alla qualità del loro lavoro prima che diventassero partners di questo blog (a tempo determinato). Questo perché scrivere di una cantina o di un vino, magari senza esserci mai stato e/o senza aver mai assaggiato quel vino, in cambio di una più o meno “lauta ricompensa” mi è sempre sembrato scorretto nei confronti di chi legge e del produttore stesso.

Qualche tempo fa scrissi un pezzo su un’ironica ma, sotto sotto, veritiera “crisi d’identità del wine blogger” e quella sensazione continua perché, per assurdo, una definizione che rispecchiava in pieno ciò che faccio da anni, oggi mi pesa, fuorviata da dinamiche che poco hanno a che vedere con ciò che faccio e con come lo faccio.
In molti mi avete detto e scritto “la differenza si vede, non preoccuparti!”, ma ciò che conta per me non è mai stato essere il più bravo o il mio seguito, semplicemente mi è sempre premuto dare ai miei lettori contenuti frutto di esperienze concrete, di pensieri sinceri e di considerazioni che, giuste o non giuste, possano stimolare curiosità e passione dentro e intorno al vino.
Sarebbe sciocco pensare che tutti possano sentire il bisogno di comunicare il vino dalla vigna al bicchiere, che tutti possano avere voglia e modo di girare in lungo e in largo l’Italia per raccontare l’infinita ricchezza del nostro patrimonio vitivinicolo al mondo partendo proprio dagli stessi italiani e sarebbe ancor più sciocco pensare che tutti possano e vogliano farlo senza vederlo come un lavoro. Eppure, mi piace pensare che ci sarà una sorta di “selezione naturale” da parte dei veri appassionati da un lato e di chi fa vino dall’altro riguardo questi differenti approcci. 

Ora mi fermo, anche se tutti quelli che hanno letto la bozza di questo pezzo mi hanno detto di essere “sempre troppo buono”. Onestamente non nego di essere stanco di essere tirato in mezzo a dinamiche che non mi competono e a vedere la passione e l’impegno messi nel comunicare il vino negli ultimi anni intaccate da chi sta trasformando una pseudo-categoria che poteva e può fare e dare tanto al mondo del vino come quella dei wine blogger e dei comunicatori enoici su web e social in generale in un pot-pourri di superficialità, markette à la volée, ma in questo periodo sono ancora più positivo del solito e confido che da questo ennesima era comunicativa scaturiscano una consapevolezza maggiore da parte dei lettori e delle aziende stesse, ma ancor prima da parte di chi comunica il vino. Perché il vino non è un prodotto fatto in serie, non è un oggetto o un argomento da poter trattare come farebbero con un capo d’abbigliamento, una crema di bellezza o un resort di lusso i vari influencers dei comparti fashion, beauty, travel e chi più ne ha più ne metta! Il vino è qualcosa che non si può consigliare, raccontare e condividere a scatola chiusa o senza averne compresa la natura visitandone “il luogo di nascita” e/o confrontandosi con chi ha messo genio, corpo e cuore nel produrlo.

Io, da par mio, non so fare altro quindi continuerò a raccontarvi dei miei viaggi, dei miei assaggi e delle mie piccole grandi scoperte personali nel modo più organico possibile sperando che i protagonisti di ogni mia condivisione continuino ad essere i vignaioli, i produttori con le loro storie ma soprattutto le vigne e i loro vini.

enzo pontoni miani

Chiudo con un consiglio proprio ai vignaioli: gestite da soli i vostri social e sfruttate le occasioni che avete ogni giorno di mostrare gli aspetti del vostro lavoro, la bellezza delle vostre vigne e dei contesti nei quali sono incastonate ma soprattutto fatevi conoscere per quello che siete raccontando la vostra storia, giorno per giorno, con il minimo sforzo! Vi renderete conto che bastano pochi istanti per gestire in modo organico i profili della vostra cantina.
Alle aziende più grandi, ai produttori e agli imprenditori del vino mi sento solo di consigliare di scegliere bene a chi affidare l’immagine e la comunicazione della propria azienda e dei propri vini, perché è normale aver bisogno di un social media manager com’è normale desiderare l’opinione di un giornalista, un blogger, un esperto degustatore riguardo la propria realtà e i propri prodotti, ma oggi come oggi se tutto questo è veicolato in maniera superficiale e, a volte, volgare o è palesemente frutto di una collaborazione economica, spesso, non dichiarata il rischio di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato è alto!
Come sempre… fate vobis e ai “post” l’ardua sentenza!

F.S.R.
#WineIsSharing

 

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