Dai dolci colli dell’entroterra, ci si sposta a nord ovest verso le Colline Metallifere e a nord est verso il vulcano spento del Monte Amiata. Poi abbiamo le terre del tufo, ovvero il comprensorio di Pitigliano e Sorano, luoghi dal fascino infinito, in cui non è raro trovare cantine scavate nel tufo, proprio come le necropoli etrusche di cui questa zona è piena. Spostandoci verso la costa, troviamo il suggestivo promontorio dell’Argentario e attraversando il mare possiamo godere della viticoltura isolana dell’Isola del Giglio, ancora impostata come da tradizione con terrazzamenti e piante impalcate con canne incrociate. La fascia costiera, in toto, vanta suoli principalmente di matrice argillosa.
In un caleidoscopio pedoclimatico come quello dell’areale maremmano non poteva che affondare le proprie radici una base ampelografica ampia e variegata, composta da imprescindibili vitigni tipici come il Ciliegiolo, il Canaiolo nero, il Sangiovese, il Pugnitello, l’Aleatico, il Vermentino, il Trebbiano, l’Ansonica, la Malvasia, il Grechetto e da varietà internazionali come l’Alicante (sinonimo di Grenache, qui presente storicamente), il Cabernet Sauvignon, il Cabernet franc, il Merlot, la Syrah, il Petit Verdot, il Viognier, il Sauvignon, lo Chardonnay. Base che assume ancor più variabilità se si pensa alla moltitudine di declinazioni che il territorio permette di matrice pedologica in matrice pedologica, di altitudine in altitudine, di esposizione in esposizione.
Una Toscana diversa, quindi, in cui il Sangiovese non surclassa gli altri varietali, pur rappresentando ca. la metà del parco vigna dell’areale. (Ovviamente il fatto di condividere i vigneti con alcune doc a trazione Sangiovese come quella del Morellino di Scansano e del Montecucco incide sulla minor presenza di Sangiovese a Doc Maremma).
Questa ricchezza ampelografica non va – a mio modo di vedere – letta come una confusa e poco identitaria scelta commerciale, bensì come un’opportuna e ponderata scelta di andare a impiantare ciò che meglio si può esprimere in quel determinato contesto pedoclimatico, cercando di ottenere da terreni di matrici diverse, da micro climi differenti e da altitudini che vanno dal livello del mare a ben oltre 500m slm il meglio in termini di combinazione vitigno-territorio.
Avere a disposizione una tavolozza di colori da utilizzare in purezza o in combinazione con altri, con pennellate materiche e sicure o fini e sfumate, deve rappresentare un valore aggiunto per i produttori della Maremma e molti di essi si stanno dimostrando sempre più consapevoli del potenziale del proprio territorio e della duttilità delle proprie uve. L’obiettivo, però, non deve essere traviato da dinamiche meramente commerciali bensì deve mirare ad enfatizzare ciò che è possibile qui più che in altre aree: la possibilità di attingere a sottozone dalla risposta ideale ai cambiamenti climatici, l’attitudine di alcuni terreni a rispondere alle esigenze dei palati più contemporanei in termini di freschezza e agilità, la propensione di alcuni varietali a quell’eleganza che per anni non è stata contemplata fra le peculiarità dei vini maremmani ma che, invece, è e può essere ricercata e trovata da molte referenze delle realtà di queste zone.
Ecco perché durante il mio ultimo viaggio in loco ho voluto assaggiare e comparare una selezione di vini ad ampio spettro, che abbracciasse quasi tutte le “categorie” prodotte in Maremma.
Tra i vini bianchi spicca, ovviamente, il Vermentino che rappresenta una scommessa vinta dalla Maremma e che può, senza tema di smentita, diventare il punto di forza della produzione locale sia per la potenzialità di assorbimento commerciale da parte della costa che come traduttore territoriale, essendo presente in quasi tutte le ideali “sottozone” e manifestando in maniera nitida le differenti peculiarità zonali. Resiste ancora l’Ansonica, vitigno tipico dell’Isola del Giglio e della “Costa d’Argento” che, nonostante le asperità dei vigneti storici, sta cercando di resistere attraverso l’opera di alcuni virtuosi produttori che continuano a credere in un varietale che ben rappresenta la luminosità e il calore della costa, unitamente alla sua salinità marina e alla tessitura materica che alcune espressioni che contemplano la macerazione (purché ben gestita e dosata) sanno conferire.
Interessanti per la loro capacità di adattamento e per le evidenti sfaccettature territoriali che sanno assumere nel calice i vini base Viognier e Chardonnay, sicuramente più performanti in purezza che in fuorvianti blend con il Vermentino.
Una delle categorie più in crescita sia in termini di produzione che in termini di interesse, inoltre, è quella dei rosati che in Maremma trovano terreno fertile data la possibilità di accedere ad uve spesso ideali per la produzione di vini freschi, profumati e salini ma non scontati, come si confà a degli ottimi rosè. Uve come il Sangiovese, il Ciliegiolo, l’Alicante e la Syrah, ma anche il Merlot e l’Aleatico ben si prestano alla vinificazione in “rosa”, dando origine a referenze degne di nota, che possono rappresentare una chiave di lettura territoriale intelligente e vincente, se contestualizzata in maniera opportuna all’interno di un territorio che produce rosati per vocazione e non per la sola necessità di assecondare pedissequamente i trend di mercato.
La Toscana è una regione a trazione rossista e la Maremma rappresenta l’areale in cui potrete trovare, a seconda delle microzone, tutte le interpretazioni varietali, di uvaggio e di blend che trovate nel resto della regione. Dal Sangiovese al Ciliegiolo, dall’Alicante (Grenache) al Pugnitello, passando per i blend base Sangiovese con saldi di uve internazionali ai tagli bordolesi classici in cui spiccano quelli fra Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. Poi ci sono i bivarietali Merlot & Cabernet (la Doc Maremma è stata la prima denominazione ad ottenere la possibilità di riportare in etichetta il bivarietale) e le espressioni in purezza di Merlot, Syrah e Petit Verdot, che rappresentano nicchie di interesse che molti produttori stanno esplorando negli ultimi anni portando nel calice vini non scontati e dal potenziale inaspettato in termini di armonia e longevità.
Quella che pensavo potesse essere una problematica – ovvero l’ampissima gamma di vini prodotti nella Doc – in realtà si sta dimostrando un potenziale valore aggiunto là dove non si prenda le possibilità del disciplinare “come un menù dal quale ordinare tutto”, bensì come una lista di possibilità da attuare con cognizione di causa e in maniera ponderata in base alla predisposizione di vitigni e vigneti. Ecco perché nonostante, è palese, il Vermentino si sia ritagliato un ruolo fondamentale in termini di rappresentatività territoriale e spendibilità commerciale, e sebbene varietali come il Ciliegiolo e l’Alicante stiano, ragionevolmente, dimostrando opportunità più che interessanti (a patto che se ne scorgano e se ne valorizzino quelle peculiarità che rendono questi due vitigni in grado di dar vita a grandi vini), è il lavoro sulla valorizzazione e l’elevazione della percezione della Maremma in quanto territorio vitivinicolo d’elezione che può e deve fare la differenza. E’ solo mostrando e dimostrando le qualità intrinseche a questo areale che si può anteporre il terroir a tutto il resto, comprese le basi varietali o le singole interpretazioni enologiche.
La storia della Maremma è quella di un territorio che è passato dall’essere una terra di importanza assoluta per gli Etruschi alla stasi dell’epoca in cui erano i grandi stagni a segnare la fisionomia dell’areale. I tempi dei butteri e dei loro cavalli, dei pascoli e dei carbonai, ma anche della malaria che ha afflitto questo territorio per molti anni.
Poi arrivò la grande bonifica che tra il 1828 e il 1830 trasformò quella che era una vera e propria palude in un’area fertile nella quale molti si spostarono per coltivare terre che avrebbero, a lungo andare, permesso alla Maremma di preservare l’integrità paesaggistica che possiede tutt’ora, lontana dall’industrializzazione e fiera della sana alternanza delle campagne d’un tempo.
E’ proprio grazie alle sue sfortune e all’opera virtuosa e rispettosa di chi oggi ne coltiva i terreni e le vigne in particolare che, oggi, la Maremma può affermarsi come areale ricco di biodiversità e di realtà che fanno delle sostenibilità un valore imprescindibile, dalla vigna al bicchiere.
E’ per questo che reputo questo areale degno di essere annoverato fra i punti di interesse più meritevoli visitati da quando scrivo di vino e per questo continuerò ad approfondire la conoscenza dei singoli micro areali e delle realtà che insistono in essi. Il rispetto profuso dai viticoltori e la qualità media sempre più elevate dei vini prodotti fa ben sperare per un futuro molto più vicino di quanto si pensi e di quanto pensino i produttori maremmani stessi che se peccano di qualcosa e solo di una maggior consapevolezza nei propri mezzi. Perché per anni hanno “giocato” un campionato minore, relegando i propri vini – almeno concettualmente – alla sola prontezza di beva e maggior agilità, quando oggi quelle caratteristiche possono fungere da base all’ottenimento dei valori ai quali tutti dovrebbero anelare: l’eleganza e la finezza.
Una Maremma selvaggia e senza tempo nei paesaggi ma contemporanea ed elegante nei vini, dunque. Una provocazione? Staremo a vedere!
Se state ancora scegliendo le mete per i vostri prossimi tour enoici, segnatevi questo territorio e, sono certo, non ve ne pentirete! Io, da par mio, vi aggiornerò di tour in tour, con dei focus sul pedoclima zonale e sulle singole identità di zona, segnalandovi, nelle mie selezioni, i produttori che si dimostreranno più meritevoli.
#WineIsSharing