Enrico Serafino e l’Alta Langa dal principio

Un viaggio alla scoperta dell’Alta Langa attraverso i vini della pionieristica cantina Enrico Serafino 1878

Tra le denominazioni a trazione spumantistica italiana l’Alta Langa è quella che, negli ultimi anni, sta dimostrando maggior dinamismo e una palese crescita in termini di numeri, qualità e, soprattutto, appeal. Questo grazie anche all’avvento di nuovi produttori che vedono nella tipologia e nel territorio una combinazione vincente per dare ulteriore slancio alla propria azienda. Eppure, se i vini Alta Langa Docg sono, oggi, un riferimento quando si parla di spumanti metodo classico italiani, è soprattutto grazie alle realtà storiche che, molti anni prima del riconoscimento della denominazione, hanno creduto nel potenziale di un territorio, da sempre, più orientato alla produzione di vini rossi.

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Tra i pionieri del metodo classico piemontese e dell’Alta Langa l’azienda Enrico Serafino 1878 rappresenta un caso particolare che seguo da diversi anni con interesse e che la pone fra le più importanti cantine di produzione di quello che è diventato il metodo classico piemontese per eccellenza. Proprio per questo ho voluto approfondire la storia, il presente e il futuro della Enrico Serafino con una due giorni di vigna, cantina e assaggi ma anche e soprattutto di confronti e contestualizzazione dei vini là dove devono stare: a tavola.

Prima di condividere con voi la storia e le mie impressioni riguardanti la Enrico Serafino, facciamo un conciso preambolo sul territorio dell’Alta Langa Docg e sulle sue dinamiche produttive.

L’Alta Langa tra storia, territorio e scelte

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L’areale di produzione dell’Alta Langa Docg comprende la fascia collinare delle province di Asti, Alessandria e Cuneo situata alla destra del fiume Tanaro.
I vigneti sono coltivati su terreni esclusivamente collinari e a matrice pedologica marnosa, calcareo-argillosa, quindi con una fertilità moderata.

L’altitudine minima dei vigneti deve essere di 250 metri slm; sono assolutamente vietati i terreni di fondovalle e umidi. Parliamo di un areale che può sembrare molto ampio, in quanto include ben 149 comuni ma in termini di superficie non superiamo i 350ha (per fare una comparazione l’areale del Barbaresco con i soli tre comuni di Barbaresco, Neive, Treiso e la frazione San Rocco Seno d’Elvio del comune di Alba vanta una superficie di ca.750ha di vigneto).
Il Disciplinare prevede che ogni vigneto conti abbia una densità di 4.000 ceppi ad ettaro.
La produzione delle uve non può superare le 11 tonnellate per ettaro e la resa in mosto di tutte le frazioni della pressatura deve essere inferiore al 65% così da ricavare esclusivamente la parte derivante dalla polpa.

L’Alta Langa, seppur non con questo nome, è con buone probabilità il primo metodo classico a essere prodotto in Italia, fin dalla metà dell’Ottocento, nelle “Cattedrali Sotterranee” oggi riconosciute Patrimonio dell’Umanità Unesco.
La base ampelografica è formata dalle sole uve Pinot Nero e Chardonnay, in purezza o in taglio in percentuale variabile; può essere bianco o rosé, brut o pas dosé e prevede, da disciplinare, almeno 30 mesi sur lattes.

Altra particolarità dell’Alta Langa Docg è che deve essere millesimato, ecco perché troverete sempre l’annata in etichetta.

Da par mio, ciò che ho sempre valutato interessante, ai fini di una prospettiva concreta e in linea con quelle che sono le esigenze delle viticoltura contemporanea e futura e in relazione ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità, è la possibilità di andare a scegliere solo le zone più vocate (il fatto che in molti stiano propendendo per una maggior quota di Pinot Nero nelle cuvèe aumenta la selettività del varietale, ergo restringe il campo delle parcelle utili al suo impianto) ad altitudini solo parzialmente esplorate in queste zone e in contesti di maggior biodiversità. Ovviamente la speranza è che non si esasperino gli impianti, preservando l’integrità boschiva dell’alta collina, rifuggendo quella monocoltura che in alcune aree delle Langhe la fa da padrona e che lascia incerti riguardo al futuro di tale modello vitivinicolo.

terreni vigne alta langa
Dettaglio delle matrice geologica e pedologica dei vigneti di Enrico Serafino siti a Cerreto Langhe

Se la storia del metodo classico piemontese risale ai primi dell’800, la storia “moderna” dell’Alta Langa ha ufficialmente inizio nel 2001 con la nascita del Consorzio Alta Langa che, al momento della fondazione, contava 48 soci di cui 41 viticoltori e le prime sette case spumantiere: Barbero 1891 (Enrico Serafino), Bersano & Riccadonna, Giulio Cocchi, Fontanafredda, Gancia, Martini & Rossi, Vigne Regali (Banfi).

La Enrico Serafino pioniera in Alta Langa

Una storia che dimostra quanto la Enrico Serafino 1878 abbia creduto sin dal principio nelle potenzialità di un vino che di lì a poco avrebbe ottenuto la DOC (2002) e, successivamente la DOCG (2011).

Fondata nel lontano 1878 a Canale d’Alba, la Enrico Serafino è stata una delle prime Case Storiche Piemontesi a creare, all’interno delle proprie gallerie sotterranee ottocentesche, pregiate cuvée di Metodo Classico come l’Asti Champagne e lo Champagne Regina Brut. Questo, ovviamente, prima che l’utilizzo del nome “Champagne” e del riferimento al metodo “champenoise” in etichetta venissero vietati da una legge ottenuta dal Comité Champagne a tutela della propria denominazione:

Estratto della legge del 2 luglio 1990
“Il nome geografico che costituisce la denominazione d’origine o qualsiasi altra menzione che lo richiama non possono essere impiegate per nessun prodotto o servizio quando questo uso è suscettibile di danneggiare o di indebolire la notorietà della denominazione”.

Poco male, in quanto i vini di Enrico Serafino erano da sempre riconosciuti per per il raffinato logo art déco e per lo stile delle campagne pubblicitarie affisse nelle più importanti città del mondo, tanto da renderlo uno dei metodo classico più apprezzati.

La Enrico Serafino 1878 può contare diverse ere, contrassegnate da fondamentali tappe della sua cronistoria, iniziata nell’anno che porta in etichetta quando un ventitreenne erede di una famiglia di ricchi possidenti di Romano Canavese, scevro da ogni legame con il vino, decide di trasferirsi a Canale e di iniziare la produzione di Barolo, Barbaresco e Metodo Classico. Da quel momento l’azienda crebbe, cambiò proprietà e obiettivi enologici e commerciali, ma mantenne sempre saldo quell’amore per il Metodo Classico – prodotto sin dall’anno di fondazione – che agli inizi degli anni ’90 si interseca indissolubilmente con la genesi dell’Alta Langa.
Un progetto nato dai primi vigneti sperimentali (il 25% di quelli piantati fra ’91 e ’94 fanno ancora parte del parco vigne aziendale) ma che, oggi, comprende 35ha suddivisi in 56 parcelle, con una superficie media di 5.775 metri ciascuna. Piccoli fazzoletti di vigna dislocati in 41 “lieu-dit” a loro volta situati in 16 comuni differenti. Quello che, in termini logistici può divenire uno svantaggio, diviene un valore aggiunto in termini di variabilità del terroir e di complementarietà delle uve delle singole micro-zone, con un dislivello di 300 metri e con distanze rilevanti di 58 km tra i due vigneti più estremi nella direttrice Est–Ovest e di 28 km nella direttrice Sud – Ovest, Nord – Est. Ecco quindi giaciture, cloni, pedoclimi, escursioni termiche e valori analitici differenti, con un range molto ampio di possibilità e di sfaccettature che contribuiscono all’ottenimento di equilibri tanto sottili quanto concreti anche nelle annate apparentemente più complesse. Un patrimonio che si traduce in vini che, in parte, divengono “vin de reserve” utili a bilanciare ulteriormente le annate che verranno. Sempre nell’ottica di una ricerca di equilibri privi di una marcata incidenza di addizioni enologiche o di scelte “invasive” si è scelto di non utilizzare distillati nelle proprie Liqueur d’expedition. Un concetto di sottrazione consapevole che può essere applicata solo se si ha estrema contezza del proprio know how e se si hanno ben chiari gli obiettivi enologici da raggiungere, sostituendo all’interventismo il sapere e l’esperienza.

cattedrali sotterranee cantine unesco

In un “gioco” di scelte e soluzioni (come ad esempio la gestione degli equilibri ossidoriduttivi, passando da un estremo all’altro con la consapevolezza di avere dotazioni tecnologiche e contezza tecnica su cui pochissimi possono contare) orientate sempre più verso finezza (dosaggi sempre più ridotti), complessità (lunghi affinamenti sui lieviti) ed esternazione di quella che è un’identità “Alta Langa” ancora in divenire ma già percettibile nei vini della Enrico Serafino, l’azienda produce 12 diverse cuvée di cui solo 7 sono già reperibili sul mercato.

Impressioni sulla Enrico Serafino e i suoi Alta Langa Docg tra degustazioni verticali e neurotasting

Nello specifico, il mio ultimo incontro con i rappresentanti dell’azienda (da qualche anno proprietà, assieme a Vietti e al Wine Resort Casa di Langa, di Kyle Krause grande amante del vino piemontese e del territorio in cui ha investito con rispetto e valorizzando a pieno ogni attività da lui rilevata) e in particolare con Nico Conta, CEO della Enrico Serafino, mi ha permesso di approfondire le dinamiche produttive e le prospettive di quello che è stato ufficialmente il primo dosaggio zero della denominazione, ovvero lo “Zero”. Ho potuto farlo degustando tutte e 18 le annate prodotte, nell’ambito di una particolare sperimentazione sugli esiti dell’attività neuronale durante l’assaggio dei vini. Il neurotasting condotto da Thimus, eccellenza del settore nata proprio in Italia, sembra essere stato il primo al mondo di questa tipologia e i risultati, seppur su un panel ridotto a soli 5 degustatori, sono stati decisamente interessanti, mostrando una media molto coerente con le attese in termini di descrittori e percezioni delle singole annate ma, soprattutto, una solo parzialmente auspicabile incidenza del “retrogusto” sulla valutazione implicita della degustazione. Nell’attesa che il report completo venga condiviso e, eventualmente, pubblicato condiviso con voi quelle che sono state le mie impressioni generali sulla verticale dell’Alta Langa Cuvée Zero di Enrico Serafino, prendendo in considerazione le sole annate che di più mi hanno colpito fra quelle già sboccate e dandovi alcune parziali suggestioni su quelle ancora sur lattes, senza prendere in esame i vini che non ancora in bottiglia.

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Nel novero elle annate tendenzialmente calde e siccitose che vanno dalla 2004 alla 2007, sono state la 2004 e la 2006 a convincermi maggiormente: la prima per tenuta, complessità e tonicità ma anche per una persistenza sapida non scontata; la seconda per luminosità e intensità aromatica, nonostante i parametri analitici parlino di un PH leggermente più alto di altre annate, l’acidità è percettibilmente integra e fende la buona concentrazione materica, affondando fino alla chiusura salina.
L’annata 2008 è l’annata dell’equilibrio e dell’eleganza, stappata a quello che è il suo apice tra riconducibilità identitaria e complessità data dall’affinamento sui lieviti e ancor più da quello post-sboccatura che non ha conferito particolari incidenze ossidative. Se la 2010 è sicuramente un’annata ancora in forma a stupirmi maggiormente, seppur fuori dagli schemi di quella che sembrava essere l’opinione comune, è la 2009 che vede alleggerirsi le tonalità più “burrose” grazie a incursioni minerali e iodate. Il sorso è integro, di buon nerbo acido e con un riverbero di agrume e sale in chiusura. Molto persistente.
Con le annate più interessanti passo direttamente alla 2013 (seppur preceduta da due assaggi molto a fuoco come la 2011 e la 2012), annata che conferma la bontà della scelta fatta dall’azienda, ovvero quelal di passare dalla consueta composizione che prevedeva l’85% di Pinot Nero e il 15% di Chardonnay a un blanc de noirs da solo Pinot Nero. Un vino di grande eleganza che vede ridursi le tonalità lattiche e di boulangerie privilegiando frutto, suggestioni floreali e folate minerali tra il ferro e mare. Ampio ma vibrante, in grado di agile distensione e di buona profondità ematico-salina.

Poi arriva la cenerentola 2014 che, come spesso è accaduto in questi anni, dimostra ancora una volta la sua attitudine a stupire con una tensione disarmante e grande sapidità.
Le annate in commercio si fermano alla 2016 che, nonostante giunga dopo tanti assaggi e a ridosso di un’ottima 2015, si pone sin dal primo naso (in virtù anche della maggior freschezza aromatica e della tanto fine quanto briosa verve carbonica) come un benchmark per l’intera denominazione per quel raro connubio estetico (nell’accezione filosofica del termine) tra nitida espressività di terroir e ricercata eleganza. Un metodo classico che non manca di nulla in termini strutturali, in cui materia e acidità vibrano all’unisono e la sapidità è proverbiale. Ciò che va rimarcato, però, è l’estrema agilità di beva, conditio sine qua non per un Alta Langa Pàs Dosé, seppur da lungo affinamento sur lattes.

Ad aggiungersi a questi ci sono le annate sboccate à la volée e quelle ancora da “tirare” tra le quali mi permetto di segnalare una 2018 sferzante per freschezza e ricordi iodati e agrumati e, soprattutto, una 2019 che potrebbe raccontare qualcosa di molto simile alla 2016 a un livello persino superiore di dialettica narrativa.

A margine della verticale dedicata alla Zero ho avuto modo di assaggiare anche alcune delle altre referenze tramite le quali la Enrico Serafino interpreta il territorio dell’Alta Langa e la sua base ampelografica, attingendo al proprio ampio e variegato parco vigne:

Propago Millesimo 2016 Alta Langa Docg Extra Brut: Blanc de Blancs da sole uve Chardonnay fresco e floreale, con accenni di pan brioche che fanno da preambolo a un sorso per nulla eccessivo in termini di burrosità ma a suo modo cremoso; ritmato e agile nell’incedere verso la chiusa giustamente sapida.

Oudeis Millesimo 2018 Alta Langa Docg Brut: Pinot Nero all’85% e il restante 15% di Chardonnay, fresco nell’esposizione del frutto e del fiore, con la minima incidenza dei lieviti. Una chiave di lettura didattica delle potenzialità della denominazione e un biglietto da visita sincero ed efficace, per nulla banale. Un brut ben dosato, capace di proiettare l’assaggio verso il crescendo di complessità e finezza degli Alta Langa di Enrico Serafino.

Parcellaire Millesimo 2018 Alta Langa Docg Extra Brut: 95% Pinot Nero e 5% di Chardonnay selezionati dalle singole parcelle che maggiormente identificano l’Alta Langa nella sua espressione più tesa e salina, senza rinunciare all’energia e alla concretezza che rendono i vini di questa realtà così idonei a stupire “oggi” e ancor più “domani”.

Zero140 Millesimo 2009 Alta Langa Docg Riserva Pàs Dosé: è la punta di diamante dell’azienda e rappresenta il coronamento di un percorso fatto di ricerca, di sperimentazione e tentativi tutti volti alla ricerca dell’unicità in concordanza con l’attitudine pionieristica di Enrico Serafino. A prescindere dall’interessantissimo che contempla valutazioni agronomiche, enologiche e comunicative, questo vino ricalca o forse, sarebbe meglio dire, ritraccia i canoni dell’eccellenza del Metodo Classico made in Piedmont, manifestando equilibri solo parzialmente esplorati e raggiunti sino ad ora in termini di classe e fierezza, senza ostentare l’incidenza dei 12 anni sui lieviti (io non amo i lunghissimi affinamenti sur lattes, in quanto rischiano di barattare cedere l’identità in favore di complessità e avvolgenza mannoproteica, scadendo spesso in una, seppur elegante e appagante, omologazione). Vino di grande profondità e persistenza ma che, anche in questo caso, non lesina una buona dinamica di beva.

enrico serafino zero 140

Restano fuori i due Rosè de Saignée e, ovviamente, il resto della produzione dell’azienda nelle altre denominazioni in cui è presente con i suoi vigneti (va ricordato che la Enrico Serafino è una delle pochissime cantine storiche ad avere la deroga per la vinificazione di Barolo e Barbaresco al di fuori dalle rispettive denominazioni). Approfondimento generale che non mancherò di fare entro fine anno, mosso dalla curiosità indotta non solo dagli assaggi degli Alta Langa appena condivisi ma anche da estemporanei calici di Picotener e Dolcetto (vinificato con una grande percentuale di grappolo intero) che la dicono lunga sulla completa riluttanza dell’attuale squadra della Enrico Serafino nei confronti di tutto ciò che è semplice e tendente alla banalità.

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Conclusioni

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Credo che il genio dell’indimenticato Enrico Serafino, tanto lungimirante quanto innamorato di queste terre in cui aveva deciso di investire con oculatezza e trasporto, sarebbe felice di vedere l’azienda da lui fondata mirare alla qualità e anelare a traguardi sempre più alti e tangibili in quanto a sostenibilità e rispetto delle singole identità territoriali. Per quanto, dall’esterno, possa sembrare fuori dai miei canoni elettivi e selettivi, ho apprezzato molto il nuovo corso di questa realtà proprio per la direzione presa e per i risultati che sta ottenendo in vigna e in cantina, prima ancora che in bottiglia. Qualcosa mi dice che nei prossimi anni l’azienda di Canale ci serberà ulteriori interessanti novità, nonché spunti di riflessione interessanti.

F.S.R.

#WineIsSharing

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