Cosa significa “vino minerale”?
Mineralità è, senza tema di smentita, uno dei termini più utilizzati da sommelier, media enoici e dagli stessi produttori negli ultimi anni, ma di cosa si tratta davvero?
Giusto qualche anno fa partecipai a una masterclass in cui il relatore – noto e stimatissimo ricercatore nonché degustatore e giornalista – asseriva che la mineralità provenisse dal terreno portando a sostegno delle sue asserzioni prove più che convincenti, tanto che io stesso, scettico degli scettici, mi convinsi che tra tutte le varie interpretazioni quella fosse la più opportuna, un po’ per le dinamiche tecnico-scientifiche semplici da comprendere un po’ per l’immagine romantica della vite che “succhia” la mineralità dalla sua terra tramite le radici, come a voler sottolineare una volta ancora il legame tra vino e territorio. Negli ultimi anni, però, si sono susseguite opinioni e ricerche orientate verso diverse “verità” e quella più tangibile sembra essere la conclusione alla quale è arrivato la società spagnola Excell Ibérica in collaborazione con Outlook Wine con il suo studio biennale “La Mineralità nei vini”.
I risultati dello studio indicano che la composizione chimica dei vini e la percezione di eventuali loro connotazioni “minerali” non sono direttamente collegate ai minerali presenti nel terreno nel quale è impiantato vigneto, sia esso calcareo, vulcanico, sabbioso, ricco di ardesia o pieno zeppo di fossili pliocenici!
I responsabili della sensazione di mineralità nel vino sembrerebbero, piuttosto, una varietà di composti chimici volatili derivanti dal metabolismo della vite, dalla fermentazione dei lieviti e dall’azione di particolari batteri, nonché dalle tecniche applicate nella vinificazione e nell’affinamento.
Quindi, oggi, si può decretare con la “quasi assoluta certezza” – come se questo fosse davvero possibile in un contesto vivo e mutevole come quello enoico… – che ad essere responsabili della mineralità nel vino siano tioli volatili e/o esteri e/o altre componenti chimiche e non, direttamente, i nutrienti minerali presenti nel terreno.
Tra i vari studi che ho avuto modo di leggere, però, ce ne sono alcuni contemporanei se non postumi a quello della Excell che testimoniano, tramite l’analisi di alcuni campioni, quanti e quali componenti minerali sono presenti nel vino e, seppur in piccolissima parte, in alcuni vini sembra esserci una certa corrispondenza fra le sensazioni minerali e i nutrienti assorbiti e metabolizzati dalla vite. Di contro, però, sono stati rilevati anche molti altri composti minerali o capaci di indurre sensazioni definite minerali dai degustatori derivanti da trattamenti chimici e/o organici in vigna, utilizzo di solforosa, sistemi di filtraggio ed utilizzo di chiarifiche chimiche ed altro.
Poi c’è una terza versione, quelle che a me piace di più e della quale ho trovato conferma in diverse occasioni, ovvero la peculiarità di alcuni particolari vitigni di enfatizzare la sensazione di mineralità , come se, per farvi un paio di esempi, il Riesling Renano abbia insita in sé la capacità di sviluppare sensazioni ed aromi che in gergo vengono definiti di “idrocarburo” o il Verdicchio disponga geneticamente di una potenziale nota salina al palato. Qui si aprirebbe un altro capitolo interessante, ma senza via d’uscita, ovvero quello riguardante la nostra individuale percezione dell’amore e del gusto “minerale”: la “famosissima” pietra focaia? L’appena citato idrocarburo? Le note vulcaniche e/o sulfuree? Il gesso? La Grafite? La sapidità? Il salmastro? Il “marino”?
Piccola digressione: alcuni scindono il concetto di mineralità da quello di sapidità legando il secondo – un tempo anch’esso motivo di discussioni per via della convinzione che i vini sapidi fossero necessariamente quelli prodotti vicino al mare – alla presenza, in soluzione, di sali di potassio, magnesio e calcio in quantità “considerevoli” nel vino.
Al di là delle elucubrazioni, dentro e intorno al concetto di mineralità, la cosa fondamentale credo sia non prendere lo studio dell’Excell come la negazione della sensazione minerale, anzi, credo vada presa come una testimonianza ancor più importante di quanto la mineralità sia diventata argomento di discussione e della continua ricerca da parte dei palati odierni di questa connotazione, tanto da spingere ad uno studio durato ben due anni per cercare di dipanare i dubbi destati da un termine relativamente nuovo per il mondo del vino. Sì, perché non si hanno tracce del descrittore “minerale” in alcun testo fino all’utilizzo di questo termine da parte dell’indimenticato enologo francese Emile Peynaud nel suo “il gusto del vino” (1983).
Da quel momento in poi la mineralità è stata sdoganata e in molti, tra degustatori, professori di enologia, sommelier di fama mondiale e media hanno inserito questo descrittore nel proprio vocabolario enoico.
Ad oggi la dialettica intorno a questo concetto non si è conclusa e le correnti di pensiero sono ancora divergenti, tanto che molti produttori non rinunciano a considerare come derivanti dalle proprie terre le sensazioni minerali dei propri vini e gli studi anche in favore di questa convinzione si susseguono.
Pareri personali sul concetto di “mineralità” nel vino
Personalmente penso che la mineralità possa essere correlata e legata indissolubilmente al concetto più ampio di terroir (altro termine di complessa natura e concezione, ma che non si può non amare e non utilizzare) in cui ad essere abbracciate sono tutte le componenti e ad essere inclusi sono tutti i fattori riguardanti territorio, terreno (suolo e sottosuolo), utilizzo ed azione di lieviti (indigeni e non, con risultati molto differenti) e batteri, varietale ed età della pianta, nonché, ovviamente, l’azione del vignaiolo/produttore in vigna (trattamenti organici e non) ed in cantina (ad esempio, c’è chi sostiene che le lunghe macerazioni sia nei bianchi che nei rossi enfatizzino queste sensazioni minerali).
Inoltre, credo che tutta questa corsa alla razionalizzazione del vino, per quanto importante (lo sarebbe di più nelle analisi di altri composti, ben più nocivi…) tolga molto del suo fascino e del suo naturale romanticismo che mi fa spezzare una lancia in favore di quei vignaioli che continuano a voler credere in qualcosa che, magari non sarà scientificamente provato, ma che comunque fa parte, ormai, del rapporto fra l’uomo e la sua terra. E poi, diciamola tutta, sono appena tornato da un viaggio sull’Etna e sfido chiunque a non percepire la forza minerale di quelle terre e di quel vulcano in molti dei vini che in quel luogo vengono prodotti. Lo stesso vale per il Priorat con le sue note di grafite o per le ardesie della Mosella e potrei andare avanti all’infinito, ma non lo farò!
Sarà suggestione? Sarà condizionamento? Potrei dirvi che alla cieca un vino dell’Etna lo si riconosca proprio per la sua mineralità, ma potreste tranquillamente smentirmi (come in tutto ciò che cammina in equilibrio su quel filo sottile che separa o unisce l’oggettività dalla soggettività), quindi preferisco dirvi soltanto che qualsiasi sia oggi e qualsiasi sarà poi la momentanea o l’assoluta verità riguardo il concetto di mineralità nel vino, non c’è cosa più bella di prendere in mano una manciata di terra portarla al naso per poi ritrovare quell’odore, quell’aroma, quel profumo nel vino che da quella terra nasce.
Ah, un consiglio… non spendete soldi per master class e convegni riguardanti temi così labili o vi ritroverete come me a pensare “chi me l’ha fatto fare?!?”. Ovviamente sto scherzando, il bello del vino è anche questa continua incertezza legata a doppio filo all’evoluzione ed alla ricerca, che spesso, più che dare risposte aumenta i quesiti, asserendo qualcosa, ma lasciando le porte aperte ad altre interpretazioni ed altre ricerche, come a voler salvaguardare il fascino ed il mistero di questo meraviglioso mondo.
Non so perché, ma continuo ad immaginarmi che se Fabio de Luigi interpretasse ancora il suo mitico personaggio Luigio Guastardo della Radica chiuderebbe questo post con un bel “Ah, la mineralità!” al posto del suo leggendario “Ah, la tauromachia!“.
F.S.R.
#WineIsSharing
P.S.: attenzione, anche la freschezza, da sempre legata alla percezione dell’acidità del vino, potrebbe essere motivo di discussione, in quanto non sempre la “sensazione di freschezza” è direttamente proporzionale alle componenti acide e quindi “inversamente” proporzionale al ph del vino… ma di questo, magari, parleremo un’altra volta!
Sicuramente e un altro aspetto sulla degustazione di certi vini e delle sensazioni che si percepiscono, sul fattore chimico sono perplesso, sul fattore terreno mi trova d’accordo, su certe zone per loro collocazione d’accordo, ultimamente ho bevuto il Trento doc e ho trovato tutte queste espressioni, ma la serietà della cantina lontano da me pensare manipolazioni. Grazie per avere sviluppato e fatto conoscere questo aspetto provocatorio che ci fa approfondire la complessità del bere bene.