Rufina…lmente! Un “nuovo” Rinascimento chiamato “Terraelectae”, l’eleganza dei “grandi cru” dei Sangiovese del Chianti Rufina

Storia, zonazione, peculiarità pedoclimatiche e prospettive delle cantine e dei vini areale del Chianti Rufina Docg, alla luce dell’uscita dei primi vini del progetto “Terraelectae”

C’è una terra da vino in Toscana che vive sta vivendo un momento di slancio non indifferente ma che è ancora parzialmente frenata da preconcetti, deviazioni semantiche e una comunicazione fuorviante che ne hanno limitato, per anni, non tanto la qualità produttiva quanto la capacità di mostrarsi al mondo per ciò che è nella consapevolezza di esser compresa. Parlo della Rufina, piccolo areale in cui storia, vocazione, famiglia, dedizione, biodiversità e operosità si fondono da secoli per dar vita a vini classici e, oggi più che mai, contemporanei.

La storia del Chianti Rufina è comune a poche altre terre del vino e può vantare una testimonianza certa della propria vocazione, ovvero il Bando di Cosimo Terzo de’ Medici che, nel 1716, delineò i confini della regione vinicola: Chianti (ora Chianti Classico), Pomino (ora Chianti Rufina e Pomino), Carmignano e Valdarno di Sopra. Questa proclamazione sanciva il terreno fertile e il clima temperato di questa zona come ideale per la coltivazione delle varietà tipiche al fine di produrre vini di pregio. Nel corso dei secoli, questo areale ha subito diversi accorpamenti, ma è nel 1932 che, grazie a un decreto ministeriale, è stata delineata la delimitazione territoriale attuale e la creazione delle sottozone, tra cui quella della Rufina.

bando mediceo vino

La Denominazione di Origine Controllata (DOC) è stata assegnata al Chianti Rufina nel 1967, mentre nel 1984 ha ottenuto il prestigioso riconoscimento di Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG). Su un totale di 22 produttori di Chianti Rufina 20 sono soci del Consorzio Chianti Rufina presieduto oggi da Federico Giuntini, Consorzio fondato nel 1980 e in cui, nel 1991 confluito il Consorzio Viti Rufina, guidato dell’allora Presidente e socio-fondatore Alberto Longhi.

Territorio e Clima

Il Chianti Rufina si trova a soli 20 chilometri da Firenze, sul medio versante della Sieve, tra i comuni di Pontassieve, Rufina, Londa, Pelago e Dicomano. Questa zona è caratterizzata da forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, creando un clima ideale per la viticoltura. Le altitudini variano da 200 metri slm fino a 700 metri slm. Nello specifico in base alla classificazione di Koeppen (rivisitata da Pinna per l’Italia), l’area del Chianti Rufina è caratterizzata da un clima temperato sublitoraneo, con temperature medie annue tra 10 e 14,4 °C, un mese più freddo con medie tra 4 e 5,9°C, tre mesi estivi con medie superiori a 20°C e un’escursione termica annua di 16-19°C. Inoltre, l’area presenta un mesoclima appenninico interno, tipico della zona a rilievo dell’area a macroclima mediterraneo. All’interno del mesoclima possiamo trovare microclimi e veri e propri climat riconducibili alle caratteristiche dei vini ivi prodotti, con un range abbastanza ampio che va dai vini più concentrati e profondi a quelli più freschi e slanciati.

La pedologia è stata approfondita da un’indagine zonale condotta dal Prof. Scienza, utile ai produttori per dirigere al meglio le scelte d’impianto, cosa di cu tutti gli areali vitivinicoli dovrebbero disporre:

  1. Argilliti, siliti e marne: tipici delle zone pedemontane, con rilievi sia a quote modeste che a 500 metri s.l.m.. Sono suoli profondi, privi di calcare e con un buon drenaggio. Presentano un’importante presenza di scheletro che invita l’apparato radicale a fittonare.
  2. Suoli calcareo-marnosi: Terreni con alto tenore calcareo, che richiedono un adattamento ambientale da parte delle piante per gestire la scarsa riserva idrica dall’invaiatura alla raccolta. Li troviamo in ambiente collinare e vantano tessitura da franca a franco argillosa, da poco a moderatamente profondi, con alto tenore calcareo, ph generalmente alcalino, drenaggio da buono a eccessivo, con scheletro da sensibile ad abbondante.
  3. Complessi caotici: Suoli formati da blocchi e pacchi di varia litologia, tipici delle vallate. Terreni argillosi da moderatamente a profondi, da scarsamente a calcarei, ph da subalcalino ad alcalino. Richiedono tecniche agricole per drenare l’acqua in eccesso.
  4. Suolo differenziato: Terreni su arenarie, calcari e brecciole, con pendenze pronunciate e strato coltivabile sottile. Tipici del contesto pedemontano, dei rilievi a quote variabili. Poco atti alla viticoltura viste le pendenze. La raccolta delle uve deve essere posticipata per raggiungere la completa maturazione.

Le seguenti cartine potranno tornare utili a chi vorrà approfondire le singole unità pedoclimatiche dell’areale del Chianti Rufina Docg:

Il Disciplinare di Produzione

Il disciplinare di produzione del Chianti Rufina è in gran parte in linea con quello del Chianti DOCG. La base ampelografica richiede che il vino sia composto dal 70 al 100% di Sangiovese, mentre le uve a bacca bianca non possono superare il 10%, il Cabernet Franc e il Cabernet Sauvignon non possono superare il 15%. Il vino non può essere immesso al consumo prima del 1° settembre dell’anno successivo alla vendemmia. La menzione “Riserva” richiede un invecchiamento minimo di 2 anni, di cui sei mesi in legno e un titolo alcolometrico minimo del 12,5%. La menzione “vigna” può essere utilizzata, ma con rigorose condizioni di produzione: vinificazione in recipienti separati seguita dal toponimo tradizionale riportato sia nella denuncia delle uve, sia nei documenti di accompagnamento previsti nell’apposito elenco regionale ai sensi dell’art. 6 comma 8, del decreto legislativo n. 61/2010.

Il Sangiovese

Il Sangiovese è la varietà dominante ma per correttezza bisognerebbe parlare di “Sangiovesi”, data la varietà di cloni, biotipi ed ecotipi presente sul territorio anche all’interno dello stesso vigneto. Una profonda opera di restauro del parco vigna locale ha infatti portato alla nascita di impianti ben ponderati in cui le scelte di portainnesti, genetiche (preservando, laddove ne valesse la pena, il materiale di vecchi vigneti attraverso la selezione massale), sesti di impianto, potature (sempre più frequente la conduzione e/o la conversione a guyot, nonostante permangano ancora alcuni impianti ben gestiti a cordone) e approccio agronomico hanno reso possibile un maggior equilibrio e una prospettiva più concreta e ragionata della viticoltura del Chianti Rufina. Comprendendo la necessità di riferire la menzione “Terraelectae” al Sangiovese in purezza, non vi nego che – da par mio – non mi dispiacerebbe che in questa area, ancor più che in altre, si tornasse a valorizzare l’uvaggio classico di territorio, con quei pochi vecchi vigneti rimasti a raccontare in maniera molto chiara quanto la complementarietà varietale (tema a me molto caro di cui ho ampiamente trattato qui) possa rappresentare, in molti casi e in molte stagioni, un fattore mitigante nei confronti dell’incidenza sempre maggiore dei cambiamenti climatici sia in termini agronomici che di gusto, con vini che (specie in una denominazione in cui sono ancora, fortunatamente, incluse le varietà bianche nella base ampelografica a disciplinare) più luminosi, stabili, freschi e dinamici (gli studi legati alla cofermentazione e alla copigmentazione danno modo di pensare che il Sangiovese e i suoi “gregari”, a bacca rossa e a bacca bianca, possa trovare equilibri, sempre più rari da raggiungere in purezza, con maggior continuità e senza forzature di cantina). Cosa che qualche virtuoso produttore ancora porta vanti nei Chianti Rufina Docg che permettono questo approccio.

Progetto TERRAELECTAE

La “menzione vigna” di cui sopra è concetto portante di quello che è divenuto il progetto trainante nonché potenziale leva valorizzante dell’interno areale, ovvero: “Terraelectae”. Si tratta di quello che viene definito marchio collettivo volontario e mira a evidenziare, attraverso le singolarità micro-zonali, da un lato, la sfaccettata complessità del Chianti Rufina e, dall’altro, i comuni denominatori e la vocazione diffusa del territorio. Per farlo ogni azienda ha (o lo farà per chi ancora deve entrare a far parte del già folto novero di realtà coinvolte nel progetto) selezionato il vigneto più vocato e rappresentativo, impiantato esclusivamente a Sangiovese. Questi vini sono vinificati con regole uniformi e dotati del marchio “Terraelectae” che rappresenta uno step ulteriore alla tipologia Riserva (tutti i vini saranno, comunque, “Riserva”) e alla menzione “Vigna”:

Produzione max uva/ha 70 Q.li/ha;
Titolo alcolometrico non inferiore a 12,5%vol.;
30 mesi invecchiamento di cui 18 in legno e almeno 6 in bottiglia;
Divieto di utilizzo di recipienti tipo “fiasco” (si sta lavorando per potersi dotare di una bottiglia comune o comunque identificativa del progetto che, ad oggi, è riconoscibile “solo” per la menzione Terraelectae in etichetta).

“Il vino “Terraelectae” deve essere ottenuto esclusivamente da uve prodotte nella zona di produzione Chianti Rufina DOCG e provenienti da vigneti in proprietà dell’Azienda o condotti in affitto o con titolo diretto di conduzione. Deve riportare in etichetta la menzione “Vigna” o “Vigneto”. Il vino deve essere tracciato, la vinificazione e conservazione del vino devono avvenire in recipienti separati e tale menzione, seguita dal toponimo o nome tradizionale, deve essere riportata sia nella denuncia delle uve, sia nei registri e nei documenti di accompagnamento. In definitiva tutti i nomi dei vini Terraelectae seguiranno le regole del disciplinare per quanto attiene la Menzione “Vigna”, ma questo non comporta la necessità di istituire un registro apposito e diverso dai consueti registri di denuncia delle uve previsti dalla legge.”

Questo progetto ha richiesto molto lavoro da parte del Consorzio e ha permesso, però, di agire in tempi ristretti in quanto non ha apportato modifiche al disciplinare vigente, bensì lo ha usato come base e strumento per poter raggiungere un più alto standard qualitativo e di percezione. Ciò che farà la differenza, da ora in avanti, sarà – oltre all’ovvia qualità pretesa per questi vini – un riposizionamento importante di quella che deve essere non solo una punta di diamante per la Rufina, bensì una leva per alzare in maniera sensibile il prezzo medio di tutti i vini ivi prodotti che, attualmente, non gratifica i produttori e cozza con l’indubbia vocazione dell’area. Non a caso ho scelto di tornare in Rufina e di dedicare un focus a quest’area proprio nelle prime battute del progetto Terraelectae. Durante il mio tour ho avuto modo di visitare quasi tutti i vigneti selezionati per la produzione di queste vere e proprie selezioni e di confrontarmi con chi ha aderito e chi è in procinto di aderire a quello che potrebbe essere il volano per un territorio in cui, da sempre, si fa buon vino ma che rischiava di rimanere imbrigliato nel proprio stesso passato. Ecco perché, confrontandomi e assaggiando i vini che riportano in etichetta la menzione “Terraelectae” sono giunto alla conclusione che ciò che serve al Chianti Rufina non è rivangare il passato o far pedissequo sfoggio di storia e tradizione, bensì prendere coscienza di quelle peculiarità che rendono queste terre adatte a mitigare gli esiti dei cambiamenti climatici in atto sia dal punto di vista agronomico che enologico. Questo non significa rinnegare il passato (che va custodito e contemplato fra i valori intrinseci del territorio sia a livello antropologico che enoico a 360°) ma tenere solo ciò che di buono è possibile tradurre nel presente e, ancor più, nel futuro, con rinnovata consapevolezza tecnica e prospettive chiare, nitide e credibili. I vini parlano da soli: i Chianti Rufina, dai vini “classici” alle Riserve, fino ad arrivare ai Terraelectae” incarnano in maniera spontanea e senza forzatura alcuna i canoni del vino contemporaneo, con gradazioni tendenzialmente più contenute, maggior freschezza e agilità di beva, ma con vigore e tonicità dati da nerbo, tannino e persistenza di gusto. Va da sé che le mie considerazioni sono generali e che tra le oltre 40 referenze assaggiate (più gli altri vini prodotti sul territorio che non ricadono nella denominazione Chianti Rufina Docg, tra i quali spiccano bianchi e rosati di grande freschezza e precisione e vini orientati alla valorizzazione delle singolarità vocazionali di ciascuna “micro-zona”, come che spaziano da equilibrati blend tra sangiovese e internazionali a raffinati Pinot Nero, passando per tagli bordolesi che sanno più di territorio che del modello di riferimento) si palesano divergenze interpretative importanti che vedono alcuni puntare di più sulla concentrazione e la profondità, altri sulla finezza e la dinamica, ma tutti hanno in comune una predisposizione all’eleganza che non si può creare da zero e, soprattutto, va oltre le scelte stilistiche. Certo, l’eleganza può essere assecondata con attenzione, sensibilità e garbo dalla vigna alla bottiglia, ma credo che in questo momento di “start-up” del nuovo progetto e di un nuovo evidente corso dell’intera denominazione possa essere addirittura costruttivo avere la possibilità di confrontarsi su differenti cifre stilistiche, in attesa di una possibile e auspicabile convergenza.

terraelectae mappa vigneti cru rufina

Queste le cantine delle quali ho avuto modo di visitare i vigneti selezionati per il progetto “Terraelectae” e/o che ho potuto approfondire in degustazione (tra queste, alcune realtà entreranno a far parte del progetto con le prossime annate):

Agricola I Veroni; Azienda Agricola Colognole; Azienda Agricola Frascole; Azienda Agricola Macereto; Azienda Agricola Travignoli; Castello del Trebbio; Castello Nipozzano – Frescobaldi; Fattoria di Grignano; Fattoria Lavacchio; Fattoria Selvapiana; Vinae Montae; La Fattoria Il Capitano; Marchesi Gondi – Tenuta Bossi; Podere Il Balzo; Podere il Pozzo.

Conclusioni

Dopo tre giorni dedicati ai vigneti, attraverso unità zonali, approfondimenti pedoclimatici e ampelografici e dopo aver degustato un’ampia selezione dei vini dell’areale non posso che confermare quanto la Rufina incarni in maniera “spontanea” le condizioni di futuribilità della viticoltura e del vino. Quando parlo di futuribilità vitivinicola intendo la capacità di un territorio di mitigare gli esiti dei cambiamenti climatici grazie alle proprie caratteristiche agevolando una, imprescindibile, consapevolezza agronomica tesa alla ricerca di equilibri sempre più complessi, se non impossibili, da raggiungere in alcune zone. A questa spontanea attitudine all’equilibrio si aggiunge un’integrità evidente, concreta, reale del contesto agricolo, con quella tanto millantata (da altri) “biodiversità” che qui è una dotazione di serie custodita con profondo rispetto e, se possibile, valorizzata attraverso una cura che solo chi ha sensibilità e lungimiranza, nonché contezza del privilegio in cui è immerso, può avere. Questi valori, però, devono necessariamente andare di pari passo con una gratificazione economica che possa rendere sostenibile il lavoro delle azienda vitivinicole che, come in molte sottozone del “Chianti”, rischiano di subire uno standard di posizionamento che non compete ai più virtuosi ma dal quale non è, sempre, semplice sollevarsi. E’ questo il compito di Terraelectae, che può e deve rappresentare un volano a livello commerciale e uno stimolo a far sempre meglio indipendentemente da retropensieri e preconcetti, contemplando anche l’enoturismo come leva per una sempre maggiore conoscenza diretta delle realtà del territorio da parte di chi, di certo, ne apprezzerà contesto, strutture e, soprattutto, qualità dei vini.


Ecco, in Rufina il bello e il buono vanno di pari passo, tradotti in forma liquida da un manipolo di produttori (una ventina di realtà) sempre più coeso e convinto di potersi scrollare di dosso poco utili e poco sensate sudditanze psicologiche che per troppo tempo hanno frenato l’ascesa di una zona che in questo momento è pronta a raccontare una storia nuova fatta di finezza, slancio e sapore, intrisa di tutti quei valori che più che un vanto ormai sono diventati una necessità. Vini contemporanei che anelano a ritagliarsi lo spazio che meritano tra i grandi. Il livello è già valido e posso già anticipare che alcune delle referenze degustate avranno spazio nelle mie personali selezioni di fine anno rientrando nel novero degli assaggi più convincenti fatti negli ultimi 12 mesi. E’ altresì auspicabile una crescita costante che vada verso una convergenza nella volontà di manifestare l’identità territoriale nella maniera più chiara possibile, senza orpelli e/o sovrastrutture.

Ora sta ai produttori, con i quali ho avuto il piacere di confrontarmi in queste lunghe e appassionate giornate, dimostrare tutta la fiducia che ripongono in Terraelectae e, ancor prima, nella propria terra. A me piace pensare che la Rufina ci stupirà, da qui in avanti, non per la sua storicità (o, quantomeno, non solo per quella) né, tantomeno, perché in grado di assomigliare ad altre denominazioni più o meno vicine, bensì per la rinnovata consapevolezza e per la sua odierna capacità di portare nel calice vini che rispondono alle esigenze di riconducibilità territoriale, equilibrio privo di forzature, agilità di beva, versatilità e quel sempre più raro connubio fra prontezza espressiva e proiezione di longevità che il Sangiovese di queste può garantire. Se poi, come ho potuto appurare da alcuni degli assaggi fatti, il sempre più frequente confronto tra produttori, unito al ricambio generazionale e a una diffusa presa di coscienza del potenziale locale porteranno a raggiungere la tanto anelata eleganza, in maniera costante, il Chianti Rufina si siederà al tavolo dei grandi, nel posto che merita, con umiltà sì, ma anche con la sicurezza e l’orgoglio che, forse, sono mancati negli ultimi lustri.

cantine vecchie annate sangiovese chianti rufina


I produttori sembrano pronti a mettersi in gioco, ora sta a noi “metterli alla prova”, aumentando l’attenzione nei confronti di vini che vale davvero assaggiare ma ancor prima di un territorio che va visitato, conosciuto e approfondito. Un areale in cui convivono in maniera armonica realtà dotate di dimensioni, storie, prospettive commerciali ed enologiche differenti, che convergono, però, proprio nella crescente attitudine alla sostenibilità e al rispetto dell’identità del luogo in cui insistono. Questo range di proposte, dal diverso approccio agronomico ed enologico, ma una comune e diffusa attitudine all’autenticità, può e deve essere un valore capace di incuriosire e attrarre appassionati e addetti ai lavori dai gusti e dagli obiettivi differenti, portando la Rufina sulle sugli scaffali, nelle carte vini di e sulle tavole di chi potrà apprezzarne le sfaccettature con maggior contezza e una percezione sempre più alta, indipendentemente dalle “ideologie” enoiche.

F.S.R.

#WineIsSharing

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