Entrare in un ristorante che non si conosce, in una città turistica come Bergamo Alta, può rivelarsi una scelta azzardata, ma, a volte, ci sono dei segni rivelatori, degli indizi e delle peculiarità che possano aiutare nella scelta e, per me, il primo è sempre stato sbirciare i Vini che si intravedono sparsi per il locale. E’ proprio così che ho scelto di entrare nel Ristorante Lalimentari di Paolo Chiari (grande winelover), una piccola officina del gusto e della ricerca enoica, dove mangiare qualcosa di straordinariamente buono e semplice, con la possibilità di intrattenersi con Vini che spazino dalle micro-realtà naturali ai più grandi nomi, con un criterio di selezione palese che è quello della qualità e dell’emozionalità dei Vini in carta.
E’ in un luogo come questo, in cui, ad un winelover che non ama molto le situazioni troppo impostate ed i ristoranti eccessivamente – passatemi il termine – “fighetti”, basti un istante per sentirsi a casa, che ho deciso di riassaggiare, a più di un anno dall’ultimo incontro, un Vino fra i più complessi ed al contempo semplicemente veri mai assaggiati: il Jakot di Radikon 2006.
Sono pochi i Vini che incutano timore e preoccupazione nell'”oste” stesso, che al solo sentirmi ordinare questo Vino (non conoscendomi) si sincera più volte della mia convinzione nella scelta, si premura di sapere se io conosca o meno quello specifico Vino e se abbia già avuto modo di assaggiare Vini di questo produttore. Questo perché, come hanno scritto molti nel mio post sui social, il Jakot di Radikon “non è un Vino per tutti”… sì, forse è vero, ma credo che questo Vino, in particolare, abbia la capacità unica di poter entrare in empatia ed in sintonia con l’animo di ogni tipologia di persone e di assaggiatore, a prescindere dai preconcetti e dalla sua complessità, tanto da poter stupire, appagare ed emozionare anche chi si approcci per la prima volta ad esso.
Comprendo, comunque, i timori dell'”oste”, che deve essersi visto rimandare indietro bottiglie come quella per il solo colore così ambrato, per la materia in sospensione che lo rende così vivo e intimamente intrigante nel suo essere elegantemente torbido, profondamente mutevole nella forma e nel colore, ma non nell’essenza. Un Vino dai toni evoluti, mai paghi, dalla voglia di far capire quanto, oggi, sia più la normalità a stupire che l’eccesso. Un bianco da trattare come un rosso, un orange wine che non è un orange wine, ma è “semplicemente” un Vino di Radikon. Una volta compreso che l’amore per questo vino fosse condivido, è lo stesso Paolo a sentirsi sollevato e ad esprimere la sua gioia nel vederlo nel mio calice.
Un Vino che non teme il tempo e lo affronta con l’estrema naturalezza che ne accompagna la vita in vigna ed in cantina, dimostrando un’altra strada, per alcuni, sia possibile, ma che alla fine dei conti ciò che faccia la differenza sia sempre e solo il compendio del terroir dal quale nasce, mettendo al primo posto l’identità, la personalità e, quindi, l’approccio del vignaiolo stesso.
A volte capita di assaggiare… di bere Vini complessi, difficili e di trovarli ostici alla beva, persino snob, ma in questo caso la bottiglia da 0,50l sembra esser stata scelta appositamente per farti comprendere quanto poco ci voglia a far divenire il mero gesto della mescita un’azione inerziale, quasi inconscia, come berlo.
Il Jakot di Radikon è un Tocai, un Friulano, di quelli che non si dimenticano, ma non solo per la sua natura “estrema”, che poi di estremo ha solo la naturalità stessa che così estrema non dovrebbe essere, bensì per l’altrettanto estrema capacità di far parlare di sé e di aprire gli animi a chiacchierate dentro ed intorno al Vino, tra persone uguali e diverse, esperte e meno esperte, ma unite dai valori fondamentali della curiosità e della sete di sapere.
Sete di sapere e di emozioni che viene appagata, ma non placata totalmente, in quanto se ne vorrebbe sempre di più di Jakot, un po’ come di tutti i Vini di Stanko.
Lo sapete, non sono mai stato un fanatico di alcun movimento enoico, se così vogliamo chiamare chi cerca di imbrigliare e di segregare in nicchie ideologiche l’interpretazione enoica ed enologica del Vino, ma ho sempre perseguito il rispetto come dogma in vigna ed in cantina, confidando ciò possa sfociare in Vini degni di esser bevuti con piacere ed interesse, ma se c’è un produttore su tutti che fa della nicchia una forma democratica di piacere, che trascende ideologie e faziosità, questo è Radikon.
Il Vino “naturale” è tradizione oculata e frutto di un percorso personale fatto di scelte non di casualità… non è di certo una moda, una tendenza o una mera filosofia. E’ senno e può essere qualità estrema.
Potrei star qui a parlarvi delle tecniche di vinificazione, di quanto sia percettibile la cifra stilistica, o ancor meglio la mano increspata dal lavoro e dal tempo di Stanko nei suoi Vini, ma credo che non sia questa la sede per conoscere questi dettagli… lo sarà la sua cantina, lo saranno i calici dei suoi Vini, grazie alla vostra curiosità, che confido di aver smosso ed alimentato.
Ho chiuso gli occhi durante il primo sorso di Jakot, nonostante la bellezza del mondo intorno a me ed ho sorriso, di quei sorrisi sinceri da bambino…
ho chiuso gli occhi durante ogni sorso di Jakot, per guardare dentro me ed ho trovato il Vino…
ho chiuso gli occhi durante l’ultimo sorso di Jakot ed ho capito che il buio è solo la luce vestita elegante…
Ho aperto gli occhi ed ho visto la bellezza nell’essenzialità della natura.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.