Barolo & Brunello – Personalità dei produttori o identità territoriale?

Barolo e Brunello, Brunello e Barolo… basta il nome, dicono… e per i winelovers italiani e di tutto il mondo è davvero così, tanto che alcuni li definiscono i più noti “brands” del vino italico.
Io, personalmente, non ho mai apprezzato il termine “brand” abbinato al vino, ma comprendo che di questo si tratti nel caso specifico di due nomi che da soli incutono in maniera trasversale nell’enoappassionato e nel neofita grande rispetto da un lato ed eguale aspettativa dall’altro.
barolo brunello montalcino
Trovare una kermesse di 44 aziende divise equamente fra Barolo e Brunello, concentrate in una stessa location, con la possibilità di apprezzarne e compararne storie, territori, interpretazioni e peculiarità non è cosa comune, ma grazie all’evento BaroloBrunello organizzato da WineZone a Montalcino lo scorso weekend (12-13 nov) tutto ciò è stato possibile.
Due storie tanto simili quanto parallele, nel senso geometrico del termine, nelle quali spicca, ovviamente, l’identificazione con un nobile vitigno, ancor più nobilitato da territori vocati alla viticoltura ed all’indurre stupore in chi abbia la fortuna di incontrarli con il proprio sguardo.
In molti li vedono come due competitors, come due rivali, ma in realtà, come già detto poc’anzi, le strade di queste due grandi denominazioni sono parallele e mai si scontrano, in quanto non c’è nulla che possa contrapporli, se non un sano spirito di rivalità nell’apprezzamento da parte degli amanti del vino di tutto il mondo.

Di certo c’è una cosa che le realtà ilcinesi potrebbero invidiare ai cugini langhetti, ovvero la zonazione del Barolo, che a Montalcino pare sia ancora in fase di discussione, ma che di certo farebbe gran bene ad un territorio in cui le stelle confondono ed ormai è palese che ci siano espressioni radicalmente differenti di ogni annata nelle quattro zone principali dell’areale. 
Eppure, sapete che vi dico? Girando tra i produttori di Barolo e Brunello presenti in degustazione ed assaggiando vini di territori e cru differenti, ho avuto come l’impressione che mentre per il Barolo ogni cru vive di una sua peculiarità di base, che si sviluppa poi molto attorno alla personalità ed all’idea di vino del produttore – moderno o tradizionale che sia – a Montalcino la “zonazione” ormai è già avviata ed è quella fatta dalle realtà più attente, rispettose e legate ad un concetto di Brunello che trascende la semplice diatriba fra tradizione e innovazione, optando per l’interpretazione più giusta del Sangiovese Grosso atto a Brunello (con, forse, solo un’eccezione). Parlo di rispetto e di giustezza perché, se un approccio comune dovrebbe indurre ad una parziale omologazione, in realtà a Montalcino si sta assistendo ad un’esaltazione delle identità davvero impressionante, vi basti pensare alle differenze espressive di 5 aziende delle aziende che mi hanno colpito di più negli ultimi anni e durante questo evento, ovvero Le Potazzine, il Marroneto, Salvioni e Pietroso e Baricci.
Se Le Potazzine vantano un loro naturale equilibrio fra spontaneità ed eleganza e brillano di annata in annata per profondità e pulizia, il Marroneto spicca per freschezza e finezza con un’innata vocazione alla longevità, mentre Salvioni è sempre sugli scudi per integrità e compostezza forte di un legame indissolubile con la tradizione, e Pietroso si presenta in continua e positiva evoluzione, che ad ogni anno in più dei vigneti, riesce a trarre più scheletro ed abbrivio dai suoi terreni. Baricci, infine è la mia sorpresa dell’evento, dato che da molto non assaggiavo i loro vini e devo ammettere che ho molto apprezzato l’armonia tra una forza importante e l’educazione del tannico, mai scontroso. Molto interessante, ma da riassaggiare, dato che si distanzia molto dallo stile dell’azienda, il Brunello 2011 Nastagio di Col d’Orcia, di una mineralità salina disarmante.
Tra i produttori di Barolo presenti, invece, ho riscontrato personalmente qualcosa che potrebbe sembrare un assurdo, data la premessa riguardante la zonazione, voluta proprio per delineare una serie di carte d’identità di cru di cui si hanno tracce, già, in scritti del XVIII secolo. Ho avuto, infatti, la percezione che all’univoca espressività della zona e del singolo cru si alterni, ed in alcuni casi si sovrapponga, la personalità del singolo produttore e quindi la sua interpretazione del nebbiolo proveniente dai propri vigneti, nel rispetto dell’annata (terroir). Questo alla luce delle diverse dimensioni delle aziende, dei diversi approcci tecnici in cantina, ma soprattutto, come già accennato sopra, di  un progressivo bisogno di alcuni produttori di Barolo di crearsi una propria identità, forte e riconoscibile. Se si pensa che il Barolo nasce come vino prodotto con uve di varie zone, nel quale era l’impronta del commerciante/imbottigliatore a determinarne equilibri e peculiarità specifiche, è comprensibile che ogni produttore voglia elevare il passato ad un’identità non solo commerciale, bensì territoriale e produttiva.
Per quanto riguarda i miei assaggi di Barolo, Rinaldi spicca per classe ed attitudine all’indurre chi beve al più sincero godimento,  Scavino continua imperterrito a stupire per tenuta nel tempo ed intensità, ma è Roberto Voerzio la star della manifestazione! Un produttore, un vignaiolo che abbina modernismo e tradizione, naturalità e maniacalità – nell’accezione positiva del termine – intraprendendo una strada che lo ha portato ad essere una delle firme del Barolo e del vino italiano più importanti al mondo. Usa le barrique e fossimo stati a Montalcino avrei storto il naso – beh, lo faccio anche col Barolo in realtà, sono sincero -, però vuoi per la maggior tannicità del nebbiolo, vuoi per l’impronta rivoluzionaria che i Barolo Boys hanno dato al Barolo, vuoi per l’utilizzo consapevole e poco invasivo (buona percentuale di legni “usati” e tostature accorte), questa è la sua cifra stilistica, questa è la sua identità, e finché il bicchiere parlerà così non credo sia criticabile. Eppure, più che i Barolo Boys a stupirmi – come già accennato in un precedente articolo –  in occasione di BaroloBrunello, è stata una Barolo Girl, la giovanissima Giulia Negri, che fa il suo “Barolo de garage” nel pieno rispetto della tradizione, steccatura compresa. Barrique il primo botti grandi la seconda, uno dei Barolo Boys il primo Barolo Girl la seconda, il coraggio di cambiare il primo il coraggio di tornare indietro la seconda… ci sarebbero gli estremi per un libro e magari sarà proprio il padre di Giulia, Giovanni Negri, a scriverlo, dato che oltre a produrre a sua volta grandi vini è un noto scrittore. Sta di fatto che il Barolo oggi è l’espressione di terroir più variegata che abbiamo in Italia, là dove per terroir si tenga in considerazione anche la personalità e la mano dell’uomo/produttore/vignaiolo, in addizione alle caratteristiche pedoclimatiche del vigneto ed alle peculiarità varietali.

Ricordiamoci, inoltre, che parliamo di due denominazioni che guardano ai mercati esteri come alle loro mete principali ed in alcuni casi totalitarie, eppure, va detto ed apprezzato, che esistono e resistono molti produttori che rifuggono l’idea di produrre un Barolo o un Brunello troppo “internazionale”, in ambo i casi forti di trascorsi non troppo positivi.
Io, da par mio, resto fedele al gusto, ma non nego di protendere per la tradizione almeno per quanto concerne l’utilizzo di botte grande, in ambo i casi, segnalando un ritorno al cemento in vinificazione per il Barolo che non mi dispiace affatto.

Fatte queste mie personali e quindi opinabilissime considerazioni riguardo le due denominazioni allo stato dell’arte, faccio i miei complimenti ai ragazzi di WineZone che hanno creato una format vincente e molto interessante per winelovers, media, buyers ed addetti ai lavori, ma ancor più per gli stessi produttori che hanno modo di confrontarsi  e di scambiare idee, visioni e valutazioni utili ad una crescita reciproca delle due più importanti terre del vino italiane, quanto meno in termini di notorietà e qualità media.

F.S.R.
#WineIsSharing

P.S.: attenzione alla 2012 del Brunello… Potazzine, Marroneto, Pietroso, Castello di Velona  tanta roba, ma io non vi ho detto niente! 😉

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