In una cornice davvero suggestiva come quella della Stazione Leopolda di Firenze, si è tenuto qualche giorno fa l’evento Vinoè organizzato dalla F.I.S.A.R. (federazione italiana sommelier albergatori ristoratori).
Devo ammettere che l’impatto è stato quello dei grandi eventi, con – almeno vista dall’altra parte dei banchi d’assaggio – un’organizzazione impeccabile, quindi non mi soffermerei molto sull’evento che può considerarsi ben riuscito anche solo alla luce del grande flusso di sommelier, addetti ai lavori ed appassionati che hanno affollato la Leopolda in entrambi i giorni di programma.
Ciò su cui vorrei soffermarmi, come mio solito, sono i produttori, che con la loro personalità ed i loro vini hanno saputo colpirmi di più in questo contesto particolare.
Partiamo con i nuovi incontri, che come accade spesso, erano già in cantiere da mesi grazie ad una previa conoscenza tramite social, ovvero:
I Vini assaggiati a Vinoè
Monterotondo: Saverio Basagni è un produttore di grande umiltà e preparazione, queste sono le prime due doti che si sono palesate dopo appena 5 minuti di sana ed informale chiacchierata calice alla mano. Ero molto curioso di assaggiare i suoi Vini, perché il suo approccio al Vino mi è sempre sembrato in linea con il mio modo di viverlo e di percepirlo. L’etica e qualità si incontrano nel suo Chianti, frutto di un rispetto totale in vigna ed in cantina unito ad una competenza tecnica che non lascia nulla al caso. Ottimo il suo Chianti Classico Riserva Seretina 2012, giocato su equilibri ai limiti del poetico fra freschezza pienezza, profondità e struttura, il tutto avvolto in un fazzoletto di setosa eleganza. In ogni Vino assaggiato ho apprezzato molto la territorialità unita a quella buona dose di introspezione tipica di chi è abituato a lavorare in vigna godendo soltanto dell’assordante silenzio della natura.
Silvano Ferlat: altro incontro che attendevo da tempo quello col giovane enologo/vignaiolo Moreno Ferlat, che da bravo friulano vedeva pararsi di fronte a lui tutta la schiera delle referenze tipiche, dal pinot grigio, alla malvasia istriana, passando per il sauvignon ed il friulano nei bianchi, per poi passare ai rossi con merlot e cabernet franc sugli scudi. Oltre ai vini in purezza ho avuto modo di assaggiare anche due blend, un bianco ed un rosso (No Land Vineyard) entrambi molto ben ponderati, ma ciò che mi ha colpito di più è stata quella che Moreno stesso ha definito una piccola grande sfida, ovvero Il Vin dal Paron. Si tratta di un moscato giallo in purezza, vinificato secco, che trasforma il contrasto in puro godimento, alla faccia di chi sostiene che la concordanza naso-bocca sia imprescindibile all’assaggio! Un Vino che al naso mantiene gli aromi “dolci” tipici del varietale, ma che poi al sorso, asciutto, stupisce con la sua madornale mineralità. Mineralità salina che fa da fil rouge ed anche “fil blanc” tra un assaggio e l’altro, in un’interconnessione che vede le differenze unirsi in un crogiuolo di dinamica inclusione. Vini diversi, sì, ma tutti riconducibili all’approccio di Moreno, che vede in una finezza di stampo transalpino la sua firma.
Fruscalzo: di Daniela Fruscalzo vi parlerò presto in un articolo interamente dedicato ai suoi Vini che avevo già avuto modo di assaggiare, ma che è stato un piacere ritrovare a Vinoè. Senza anticiparvi troppo, posso comunque dirvi che anche nel caso di Daniela il rispetto parte dalla terra, per poi protrarsi alla vite, all’uva ed a tutti i processi di vinificazione. Un territorio, quello del Collio, capace di elevare i varietali tipici friulani con armonia ed eleganza, doti che ricorrono in tutti i bianchi che ho avuto modo di assaggiare, prodotti da questa realtà.
Roberto Rondelli: il Rossese di Dolceacqua e Dolceacqua in senso lato ha un nuovo player! Un player, non un top player, perché, come dice Roberto, in questa piccola denominazione, non sono solo varietale e territorio ad essere congiunti e coesi, ma anche i produttori che fanno quadrato intorno ai concetti ed ai valori alla base del successo del Rossese: identità, rispetto e tanta tanta qualità, sempre!
Nel Rossese di Roberto all’armonia intrinseca ai grandi Rossese si aggiunge una venatura salina, che è resa ancor più profonda da una freschezza di grande dinamismo. Vini in divenire, ma già molto carichi di personalità.
Villa Corniole (Cembrani doc): un’azienda magnifica, che ho avuto modo di visitare l’anno scorso in Val di Cembra. Se degli altri Vini ebbi già modo di parlarvi, quello che vorrei mettere in luce oggi è il loro Trento Doc Salisa, che di annata in annata cresce in maniera esponenziale. Se siete alla ricerca di un metodo classico Trento Doc (chardonnay 100%) elegante, ma non omologato, questo è uno di quelli da assaggiare!
Cataldo Calabretta: che dire, se non che è sempre un piacere incontrare uno dei vignaioli che di più interpretano il concetto di terroir senza estremismi, ma con profondo rispetto e tanta… tanta consapevolezza! Scelta nette, in vigna ed in cantina, dove non vedrete legno, bensì acciaio per i bianchi e cemento per il Cirò. Un Cirò che in tutte le sue sfumature riesce ad esprimere quanto l’artigianalità possa divenire l’esaltazione dell’equilibrio e dell’eleganza. E poi… questi Vini si fanno bere come pochi altri e non credo ci sia dote migliore in un Vino!
Accanto a Cataldo, ho trovato Giuseppe Calabrese, un agronomo, vignaiolo che sta portando avanti una micro-produzione davvero lodevole, che mi riservo di approfondire, specie per la sua interpretazione del Magliocco.
Sangervasio: di Luca Tommasini e della sua “green winery” a Palaia (PI) ne ho già scritto in passato, ma è ci sono produttori con i quali non mi stancherei mai di chiacchierare, perché veri e poco propensi alle manfrine… proprio come Luca! Vi potrei parlare dei suoi Vini, ma avendolo già fatto in passato posso solo dirvi che sono come lui, sinceri e senza troppi fronzoli! Lavorare bene in vigna per poi limitare al minimo gli interventi in cantina… sì, lo dicono in molti, ma Luca è uno di quelli che lo fa davvero.
Cantina della Volta: una certezza ormai quando si parla di metodo classico emiliano, ancor più se base Lambrusco. Le nuove sboccature del 36 e del Christian Bellei brillano di luce propria. Un’identità sempre più forte e costante nell’interpretare questo varietale in maniera così fine, senza snaturarne l’identità.
Per le Marche ho avuto il piacere di ritrovare la Cantina Marconi e la Cantina Federico Mencaroni, la prima si conferma in grande crescita con la nuova etichetta Lilith (blend “irriverente” di verdicchio e pecorino) ed in generale su tutta la linea, mentre Federico Mencaroni continua a stupire con i suoi metodo classico base Verdicchio di una profondità disarmante.
Purtroppo erano prese d’assalto e non sono riuscito a passare a riassaggiare i loro vini, ma conoscendoli già da tempo posso comunque citare queste tre interessanti cantine presenti: Siddura, Fiegl e Villa Matilde.
In conclusione, se in tre ore sono riuscito ad assaggiare tutto questo, potendomi permettere anche qualche piacevole chiacchierata e qualche extra (vedi gli assaggi presso lo stand di Luciano Ciolfi, che avevo già beccato a Sangiovese Purosangue), vuol dire che l’evento, seppur molto affollato – e ben venga per gli organizzatori -, permetteva una buona fruizione degli stand, con tutte le limitazioni del caso, ma sicuramente meglio di ciò che accada in ben più note manifestazioni. Quindi brava F.I.S.A.R…. buona la prima!
F.S.R.
#WineIsSharing
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